di MATTEO CORSINI
Dopo aver constatato di persona con quale ferocia i talebani delle energie rinnovabili e del gretathunbergismo dominante si scagliano contro tutti coloro che non solo non ripetiono i mantra ecologisti, ma perifno si spingono a mettere in luce i lati positivi di fonti energetiche verso le quali è stata emessa una fatwa (vedi il nucleare), il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, pare avere cambiato registro.
Ribadendo che “rimaniamo sulla strada dell’uscita dal gas”, Cingolani ha aggiunto: “Speriamo che dopo il primo trimestre del 2022, con nuovi equilibri internazionali e l’apertura di nuove pipeline, torneremo a prezzi più ragionevoli del gas.” Inoltre: “Non c’è alcun futuro per gli investimenti sui combustibili fossili.”
Ora, è evidente che, oltre alle strozzature nelle forniture dovute alle restrizioni imposte per il contrasto al Covid, sommando le politiche monetarie ultraespansive e l’atteggiamento attuale e prospettico dei governi nei confronti delle fonti fossili, si possano creare delle tensioni sui prezzi.
Ciò detto, secondo Cingolani le bollette “salgono approssimativamente per l’80% a causa dell’aumento del prezzo del gas e per il 20% per quello dell’anidride carbonica.” Quindi, “per il momento non sarebbe corretto dire che la transizione ecologica aumenti il costo dell’energia. Vogliamo uscire dal gas e per farlo servono investimenti sulle rinnovabili.”
Il che a me pare lievemente contraddittorio. Il costo dei certificati di emissione è certamente schizzato soprattutto per deisioni politiche sul lato dell’offerta e della regolamentazione, ma anche i prezzi del gas e di altre fonti fossili non sono estranei alle decisioni (geo)politiche.
E quando si afferma che non c’è futuro per gli investimenti sui combustibili fossili, non serve a molto aggiungere che “è impossibile raggiungere subito zero investimenti, perché la transizione implica che per un certo lasso di tempo ci sarà coesistenza tra rinnovabili e fossili. Ma la strada è ben chiara.”
Come spesso accade, pare essere di fronte alla pretesa che cambiamenti derivanti non da un processo spontaneo di mercato, bensì da decisioni politiche, possa andare liscio come negli auspici dei decisori. Ma, come in ogni forma di socialismo, i decisori vengono smentiti dai fatti. Salvo poi scagliarsi contro le imprese, gli speculatori o i capri espiatori di turno.