di PIERGIORGIO MOLINARI
Ciò che nelle società civili contemporanee impedisce che le tensioni e i conflitti degenerino nel sangue e nella violenza non sono le leggi in sé. Piuttosto, è la certezza – l’idea acquisita in secoli di evoluzione storica – che siano stati definiti dei limiti al sopruso dei gruppi e del potere, e che le cosiddette istituzioni – seppure in modo assai imperfetto – rappresentino un argine agli abusi più estremi.
In questo modo, nessuno ha da temere che al prevalere dell’una o dell’altra fazione siano messi a rischio tutti i suoi beni o addirittura la sua incolumità come ai tempi di Dante, o che il potere (lo stato) possa a capriccio decidere della vita e della morte dei sudditi come accadeva negli assolutismi antichi.
Specularmente, finché si muove nell’ambito di tali limiti, chi detiene il potere sa che nella peggiore delle ipotesi rischia di perdere la poltrona, e non la testa come succedeva talvolta ai monarchi e ai tiranni. La riduzione della violenza nei rapporti sociali moderni, insomma, non è il nobile prodotto di un’elevazione della natura umana, ma è il venir meno della necessità dei singoli e dei gruppi di doversi difendere con ogni mezzo dalle aggressioni più estreme. Si chiama stato di diritto.
Per lungo tempo date per acquisite, da due anni queste regole non valgono più. Un azzeccagarbugli semianalfabeta e un ottuso sicario sono stati gli strumenti di un mutamento radicale negli equilibri etici e morali della società. Il potere ha iniziato ad agire al di fuori di ogni norma, di ogni logica, e di ogni controllo.
Le famose istituzioni hanno dimostrato di non essere altro che gusci vuoti popolati da volenterosi servi, e il sanguinario gusto medievale delle fazioni e dei fanatismi è stato promosso a “senso civico” nonché a strumento di controllo sociale. La più massiccia distruzione di ricchezza e di libertà dai tempi del nazifascismo e della seconda guerra mondiale è stata posta in atto deliberatamente. Ai cittadini si impone ora di mettere a rischio la propria salute sottomettendosi a un rito di fedeltà travestito da pratica terapeutica, o in difetto di vedersi privati della possibilità di vivere, di lavorare, di esistere, in un crescendo di provvedimenti tanto sadici quando deliranti.
Ma se le regole di civiltà che limitavano gli abusi sono state disinvoltamente ed apertamente nullificate, ciò comporta che anche l’implicito divieto di ricorrere alla violenza come strumento estremo di difesa è venuto meno. Perché se chi è al potere sceglie di comportarsi da tiranno, allora deve accettare di poter essere combattuto come tale.
“Deve” accettare? E quali strumenti abbiamo per obbligarlo? Intanto stiamo accettando noi ogni sopruso. Sono loro ad affermare che noi dobbiamo accettare di subire in quanto sudditi. Non vedo grandi moti rivoluzionari in cammino.