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Guerra e democrazie? Evitate di credere a una storia aprioristica

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di MURRAY N. ROTHBARD

C’è ancora una tesi comune agli americani e anche ad alcuni libertari che può impedire loro di assorbire l’analisi di questo capitolo: il mito proposto da Woodrow Wilson che le democrazie debbano essere inevitabilmente amanti della pace mentre le dittature siano inevitabilmente bellicose. Questa tesi era per lui ovviamente molto conveniente per coprire la sua stessa colpevolezza nel trascinare l’America in una guerra inutile e mostruosa.

Ma semplicemente non c’è alcuna prova che giustifichi questa assunzione. Molte dittature si sono rivolte verso l’interno, prudentemente limitandosi ad aggredire il proprio popolo. Gli esempi vanno dal Giappone premoderno all’Albania comunista alle innumerevoli dittature del terzo mondo di oggi. L’Uganda di Idi Amin, forse il dittatore più brutale e repressivo del mondo attuale, non mostra alcun segno di mettere in pericolo il suo regime invadendo i paesi vicini. D’altra parte, una democrazia indubitabile come la Gran Bretagna ha diffuso il suo imperialismo coercitivo in tutto il mondo durante il XIX secolo e nei secoli precedenti.

La ragione teorica per cui concentrarsi sulla democrazia o sulla dittatura manca il punto è che gli Stati – tutti gli Stati – governano la loro popolazione e decidono se fare o meno la guerra. E tutti gli Stati, siano formalmente una democrazia o una dittatura o qualche altro tipo di governo, sono gestiti da un’élite al potere. Se queste élite, in ogni caso particolare, faranno o meno la guerra ad un altro stato è funzione di un complesso intreccio di cause, compreso il temperamento dei governanti, la forza dei loro nemici, gli incentivi alla guerra, l’opinione pubblica, ecc.

Mentre l’opinione pubblica deve essere tenuta da conto in entrambi i casi, l’unica vera differenza tra una democrazia e una dittatura nel fare la guerra è che nella prima si deve fare più propaganda ai sudditi per ottenere la loro approvazione. Una intensa propaganda è necessaria in ogni caso – come possiamo vedere dallo zelante impegno che tutti i moderni stati in guerra dedicano alla formazione dell’opinione pubblica.

Ma gli Stati democratici devono lavorare di più e più velocemente. E ancora, lo Stato democratico deve essere più ipocrita nell’uso della retorica per fare appello ai valori delle masse: giustizia, libertà, interesse nazionale, patriottismo, pace nel mondo, ecc. Così che negli Stati democratici l’arte della propaganda che l’élite usa sui suoi sudditi deve essere un po’ più sofisticata e raffinata. Ma questo, come abbiamo visto, è vero per tutte le decisioni di governo, non solo per la guerra o la pace.

Perché tutti i governi – ma soprattutto i governi democratici – devono lavorare duramente per persuadere i loro sudditi che tutte le loro azioni di oppressione sono in realtà nell’interesse dei sudditi stessi. Quello che abbiamo detto sulla democrazia e la dittatura si applica ugualmente alla mancanza di correlazione tra i gradi di libertà interna di un paese e la sua aggressività esterna. Alcuni Stati si sono dimostrati perfettamente capaci di permettere un considerevole grado di libertà interna mentre conducono una guerra aggressiva all’estero, mentre altri si sono dimostrati capaci di un governo totalitario all’interno mentre perseguono una politica estera pacifica. Gli esempi di Idi Amin, Albania, Cina, Gran Bretagna, ecc., si applicano ugualmente bene in questo confronto.

In breve, i libertari e gli altri americani devono guardarsi da una storia a priori: in questo caso, dall’assunzione che, in ogni conflitto, lo Stato che è più democratico o che permette più libertà interna è necessariamente o anche presuntivamente la vittima dell’aggressione da parte dello Stato più dittatoriale o totalitario. Semplicemente non c’è alcuna prova storica per una tale presunzione.

Nel decidere su diritti e torti relativi, sui gradi relativi di aggressione, in qualsiasi controversia riguardante gli affari esteri, non c’è alcun sostituto per una dettagliata, empirica, indagine storica della controversia stessa. Non dovrebbe essere una grande sorpresa, quindi, se una tale indagine conclude che gli Stati Uniti, democratici e relativamente molto più liberi, sono stati più aggressivi e imperialisti negli affari esteri di una Russia o Cina relativamente totalitarie. Al contrario, lodare uno stato per essere stato meno aggressivo negli affari esteri non implica in alcun modo che l’osservatore sia in qualche modo comprensivo dei risultati interni di quello stato.

È vitale – anzi, è letteralmente una questione di vita o di morte – che gli americani siano in grado di guardare con la stessa freddezza e lucidità, liberi dal mito, ai risultati del loro governo negli affari esteri, come sono sempre più in grado di fare nella politica interna. Perché la guerra e una falsa “minaccia esterna” sono stati a lungo i mezzi principali con cui lo stato riconquista la lealtà dei suoi sudditi. La guerra e il militarismo sono stati i becchini del liberalismo classico; non dobbiamo permettere allo stato di farla franca con questo stratagemma mai più.

TRATTO DA “For a New Liberty”

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