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Occidente e Italia: crisi e parossismo parassitario

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di MARCO BASSANI

Quello che sta accadendo in Europa e, in misura minore, in America è molto simile al crollo del comunismo cui abbiamo assistito oltre trent’anni fa. Stiamo soccombendo sotto il peso del settore pubblico più pesante mai costruito nella storia dell’umanità. È la storia, piuttosto lineare, di un equilibrio impossibile da mantenere fra due gruppi che mettono in scena un’alternativa statalista della lotta di classe: quella fra consumatori e produttori di tasse.

Si potrebbe sostenere che il capitalismo sia vittima del suo stesso immenso successo: se nell’Ottocento si riteneva che una tassazione oltre il 10% della ricchezza prodotta avrebbe ottenuto il risultato di distruggere l’economia, nei secoli successivi le classi al potere si sono invece convinte che si potesse andare avanti all’infinito, tassando le generazioni future e chiunque producesse ricchezza.

Le aree italiche sono ormai pienamente naufragate nell’unità, nel centralismo esasperato e in una statolatria talmente esasperata da aver soppiantato l’antico sentimento religioso che albergava in queste terre. Per dirla con Luigi Sturzo, “Dio è scomparso e l’uomo è divenuto schiavo”: tanto più l’uomo si affranca da Dio, tanto più diventa schiavo di provvidenze tutte terrene. Se allora il problema era la figura dello Stato provvidenza, o del “panteismo di Stato” per utilizzare la sua espressione preferita, oggi ormai dalle Alpi a Capo Passero la situazione sta semplicemente precipitando. L’Italia è talmente all’avanguardia nel declino dell’Occidente dall’essere ormai considerata una vera spia del futuro. Visto con distacco, appare il Paese più arretrato fra le aree meno arretrate, ma ormai stretto in una morsa che lo sta trascinando in un terzo mondo indifferenziato. Anche le aree un tempo più avanzate stanno ormai precipitando in una spirale di miserevoli paghe pubbliche. Milano, un tempo l’undicesima area metropolitana più ricca del mondo per PIL pro-capite, sta scalando al contrario tutte le classifiche e fra pochi anni abbandonerà anche le prime cento città più ricche. Questo destino da terzo mondo e l’incapacità di offrire un avvenire dignitoso ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro appaiono ineluttabili, ma hanno cause molto semplici e facili da identificare.

Negli ultimi quattro decenni abbiamo assistito al più grande trasferimento di risorse dal settore privato a quello pubblico. Ed è un movimento continuo che risulta tecnicamente impossibile da bloccare. L’Italia, da oltre mezzo secolo, non può che riprodursi di fallimento in fallimento, continuando a drenare risorse dai settori produttivi. Mentre state leggendo queste righe le generazioni future continuano a essere sempre più indebitate, quelle presenti sempre maggiormente tassate e non esiste alcun programma di nessun partito per porre fine a tutto ciò. Poco più di dieci anni or sono fu chiamato Mario Monti per mettere in sicurezza i conti pubblici. Da allora la tassazione è letteralmente esplosa (con una spesa pubblica di circa mille miliardi in rapporto ai 1800 di ricchezza prodotta) e i conti pubblici sono saltati al punto che il rapporto debito/PIL, che era del 106% nel 2006, è ormai al 155%.

E il perché è ovvio: l’Italia incarna la differenza fra avere ed essere: non ha problemi, è il problema. (Fonte)

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