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La dottrina Stranamore, intervista a Paolo Borgognone

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di BARBARA BOATTINI

Classe 1981, astigiano, laureato in Scienze Storiche all’Università di Torino, Paolo Borgognone è autore, storico e saggista. Ha già all’attivo diversi libri su argomenti di varia natura come Russia, storia dell’Iran islamico, globalizzazione e critica del radicalismo liberale, le origini sociopolitiche del Grande Reset, formazione e disinformazione del consenso attraverso i media – in tre volumi –, i giovani della generazione Erasmus e la società del capitale, la funzione del Covid 19. Con la sua vena ironica è il punto di riferimento lucido e pacato di chi cerca una voce critica sui fatti storici e sociali degli ultimi anni e in particolare di quest’ultimo biennio.

Paolo, proprio in questi giorni sta per uscire un tuo nuovo libro, il titolo è La dottrina Stranamore. Ovvero come abbiamo imparato ad amare la guerra e la Nato, edito da La vela. Di cosa si tratta?

È un’analisi politica e sociologica di come l’apparato della propaganda ha svolto un’azione e un tentativo di persuasione di massa per portarci ad amare la guerra che la Nato – perché di questo si tratta – sta conducendo contro la Russia in Ucraina. La guerra è diventata l’elemento per dirimere le controversie e per farci amare lo strumento politico e militare con cui la si attua, cioè la Nato. L’alleanza atlantica è il cane da guardia dei ricchi oligarchi occidentali e noi popolo dobbiamo amarla perché questo significa amare le fortune dei potenti e prepotenti; l’apparato propagandistico ha usato il suo potere di fuoco multimediale per far schierare l’opinione pubblica dalla parte della Nato nel conflitto che è in corso, andando a stabilire una narrazione dicotomica e manichea dove tutti i “buoni” stanno da una parte e i “cattivi” dall’altra, dividendo così il mondo in due ed eliminando la complessità a favore di una polarizzazione sempre più netta. Qui ribadisco anche quella pretesa superiorità morale appannaggio dell’Occidente che permette a noi di compiere azioni che ad altri sono negate: l’Occidente può fare la guerra in Libia o espandere la Nato ai confini della Russia, ma ai russi non è concesso difendersi. Dimostro anche che sono stati inseriti nella narrazione dei cortocircuiti politici. Ad esempio: perché la resistenza irachena all’America era terroristica, mentre quella ucraina alla Russia è eroica? Perché i bombardamenti americani sulla Jugoslavia erano buoni, giusti e umanitari, mentre quelli russi sull’Ucraina sono cattivi e criminali? E che dire delle bombe della Nato che, per sua grottesca dichiarazione, detiene l’esclusiva del possesso di quelle intelligenti? La Nato è a guardia di fortune, ricchezze e proprietà stabilite dalla classe dominante occidentale dopo la Seconda guerra mondiale.

A che tipo di guerra stiamo assistendo in Ucraina?

Assistiamo a una guerra per procura degli Stati Uniti nei confronti della Russia. Oggi la Von derLeyen, presidente della Commissione europea, può permettersi di dire che la Russia deve essere sconfitta perché rappresenta una minaccia per l’ordine economico occidentale. Possiamo poi notare come ci sia un grande incitamento a fare presto; questo perché le classi egemoniche occidentali sanno bene che il loro tempo sta per scadere e l’Occidente perderà la sua egemonia, soprattutto se la Russia si avvicinerà alla Cina. Di fatto l’Occidente sta ottenendo il risultato opposto a quello prefissatosi. Questa è soprattutto una guerra contro l’Europa, dove gli Stati Uniti stanno ribadendo il proprio dominio: laddove gli Stati Uniti perdono dominio a livello globale, lo rafforzano verso l’Europa attuando politiche di sanzioni boomerang che isoleranno l’Europa stessa dal resto del mondo e in particolare da Russia e Asia. Non sarà quindi la Russia a essere isolata, ma siamo noi europei che ci stiamo isolando dal 90% dell’umanità e siamo dipendenti dagli Stati Uniti perché abbiamo tagliato i rapporti con chi ci fornisce le materie prime, condannandoci a una costosa dipendenza che provocherà recessione e impoverimento economico e culturale della popolazione. È vero che abbiamo goduto di settant’anni di benessere, ma di fatto è stato perché compravamo gas a buon mercato dalla Russia; ora che in Europa e in Italia non c’è più il pericolo di uno scivolamento nel blocco sovietico, l’America ci presenta il conto del Piano Marshall impartitoci, nel 1947, per la ricolonizzazione dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale.

Com’è oggi la situazione dei paesi coinvolti?

Di fatto oggi la Russia è per la Cina quello che l’Ucraina è per la Russia, cioè uno stato cuscinetto che la separa dalla Nato, le cui mire lambiscono i confini della Cina stessa. I Paesi occidentali dovrebbero capire che fare i bulli con una nazione come la Russia è un azzardo, soprattutto perché si tratta di un paese con migliaia di testate atomiche. Nel libro Invincibile Russia edito da Carocci, Santangelo di racconta come le precedenti invasioni da parte delle forze occidentali abbiano trovato nella Russia un avversario invincibile. E allora l’invasione si tenta per procura, non attraverso mezzi militari puri come i carri armati, ma attraverso sanzioni che comunque la Russia può affrontare: è ricca, ha materie prime, è indipendente, può fare a meno di interconnettersi con l’Occidente. Chi forse non può fare a meno di interconnettersi con l’Occidente è quella parte minoritaria che è occidentalizzata come l’élite di Mosca e San Pietroburgo che si irrita se Visa o Netflix lasciano il territorio russo, mentre il russo medio di provincia è del tutto disinteressato a questo.

Da un sondaggio di La7 emerge che il 60 per cento degli italiani è contraria all’invio di armi all’Ucraina e non si ritrova nella posizione dell’Unione Europea e neanche in quella della Nato.

A quanto pare l’azione propagandistica della Nato attraverso i canali mediatici non è riuscita. In questo gli italiani hanno dimostrato di essere molto più smaliziati che rispetto al Covid: di fatto l’opinione pubblica italiana non è addentro alla questione, non conosce le radici storiche e culturali del conflitto in corso che va avanti da anni e tende a pensare che si tratti di una guerra regionale. Gli italiani si trovano davanti a una narrazione contraddittoria dove accade che i nazisti all’improvviso diventino buoni; pensano che di fatto i russi non ci hanno fatto niente di male, non interpretano il conflitto in maniera empatica e non ritengono di schierarsi. Gli elettori del Pd sono favorevoli all’invio di armi, mentre gli elettori dei partiti di destra sono contrari o più restii. Non dimentichiamo che in Italia c’è stato il più grande partito comunista occidentale e abbiamo sempre avuto un rapporto positivo con la Russia, siamo vicini dal punto di vista culturale. Anche se ci sono stati due mesi di ossessionante propaganda televisiva contro Russia e Putin, è difficile scardinare certe convinzioni. Putin è molto popolare e più lo si demonizza, più lo si rende simpatico a chi già precedentemente aveva un giudizio positivo nei suoi confronti.

Qual è il ruolo dell’Italia in questo conflitto?

L’Italia non ha altro ruolo che quello dell’amplificatore della propaganda americana. Credo che si arriverà a una spartizione dell’Ucraina, come poteva essere fatto già da tempo, ma gli Stati Uniti desiderano che la Russia paghi un prezzo carissimo. Il governo ucraino è eterodiretto dalla Nato e nel tempo si arriverà a un congelamento del conflitto sulle linee divisorie che saranno stabilite dagli esiti sul campo e da una conferenza di pace, se ci sarà. Si instaurerà la nuova cortina di ferro del XXI secolo con un conflitto yo-yo tra momenti di stallo e di escalation, ma una pace di lunga durata al momento la vedo difficile. La pace non interessa agli Stati Uniti che vogliono indebolire la Russia, non interessa alla Russia perché deve riprendersi il Donbass per liberarlo o occuparlo – a seconda di dove ci si schiera nella visione della guerra –, non interessa alla Polonia che vuole occupare la parte occidentale dell’Ucraina, non interessa alla Gran Bretagna che ha fatto enormi investimenti militari in Ucraina e vuole trarne i dividendi. Interesserebbe a Francia, Germania e Italia, ma sono nazioni che poco contano sullo scacchiere politico. La Francia, in particolare, che sempre ha avuto un ruolo di amicizia nei confronti della Russia, oggi sta tradendo la sua tradizione gaullista e autonomista per fare la cameriera della Nato; potrebbe avere voce in capitolo, ma con i governi Hollande e Macron si è autoconfinata a un ruolo subalterno e da grande potenza che era si comporta da stato satellite di Usa e Gran Bretagna. Quando, nel 2012, l’allora presidente francese Sarkozy tentò di negoziare una pace separata nel Vicino Oriente, fu la NATO stessa a defenestrarlo favorendo, nella successiva campagna elettorale, il suo rivale Hollande, che si era detto pronto, subalterno rispetto agli USA, a proseguire il conflitto per procura in Siria. L’Unione europea, del resto, nata nel secondo Dopoguerra come amministrazione americana in funzione antirussa, sta facendo quello per cui è stata costituita, cioè servire da rampa di lancio per un attacco degli USA contro la Russia.

Veniamo da due anni di emergenza sanitaria, gli italiani, spesso indicati come coloro che non stanno alle regole, si sono invece dimostrati estremamente ligi. Che considerazioni fai?

In realtà dal punto di vista politico gli italiani sono sempre stati alle regole. La tendenza dell’italiano medio consiste nel tentare di comportarsi da furbastro con chi ritiene più debole di lui, e nel servire disciplinatamente il padrone di turno. È la storia di questo paese dalle guerre rinascimentali in poi. Negli ultimi anni, inoltre, con il processo di irreggimentazione sociale in atto, è chiaro che sono stati più propensi a stare alle regole. Non lo sono state le persone più mature dal punto di vista anagrafico, la fascia dei 40-60enni è quella che ha disubbidito di più, mentre i più disciplinati sono stati i ventenni e gli over 65.

Nel tuo libro del 2017 Generazione Erasmus avevi indicato i giovani come i cortigiani della società del capitale. Come ne escono i giovani dalla pandemia?

In quel libro esprimevo una critica documentata alla società del libero mercato, sponsor di una “rivoluzione” giovanilistica mirata a eliminare le ultime forme organizzate di resistenza al capitalismo selvaggio. I giovani sono stati illusi dalla chimera inerente il concetto di cittadinanza globale, mentre il sociologo Formenti afferma giustamente che la nozione di cittadinanza ha una sua ragion d’essere nella misura in cui si condivide un progetto comune in un determinato territorio. Ebbene, la generazione Erasmus, quella dei giovani che intendono il mondo come un’immensa pista da ballo e vedono la vita come una vacanza permanente, è stata propedeutica a costruire una base di consenso per il regime neoliberale. Una generazione che ha chiuso la sua esperienza storica negli hub vaccinali, ha vissuto una vita improntata all’obbedienza ideologica al mondo liberal per poi porgere il braccio pur di andare in palestra o in vacanza; e qualcuno ha anche pagato questa scelta con la vita. Per fortuna è emerso anche un movimento di resistenza ai ricatti governativi che mi auguro possa avere un futuro politico e sociale per costruire qualcosa di concreto. Quando ho iniziato ad andare a parlare alle manifestazioni di piazza dissi fin da subito: “Se siamo qui finché dura il green pass possiamo anche andare a casa. È necessario invece strutturarci e pensare a un’azione collettiva che sia continua e omogenea, per non arrivare divisi al nuovo stato di emergenza”.

Che cos’è il Grande Reset di cui si parla?

È un processo di riformulazione dell’economia e della società che non prevede ceti medi, un ritorno a una specie di feudalesimo, tecnologizzato e con aspetti inediti che non prevede più la socialità così come l’abbiamo conosciuta finora. Andrà a favorire le classi agiate, con la ricchezza concentrata nelle mani di pochissimi, a dispetto dei meno abbienti e creerà una forbice sempre più ampia tra le due classi, con una massa di nuovi sudditi molli e recessivi, dove il divano di casa sarà la nuova prigione soft per i nuovi galeotti consenzienti. Ma il vero obiettivo del liberalismo è la riduzione della popolazione per assicurare l’accesso esclusivo e indiscriminato alle risorse da parte delle élite, dei loro servi, scudieri e cortigiani. L’obiettivo del depopolamento non può essere rivelato ai popoli. Se venissero rivelati i fini reali del Grande Reset, cioè il depopolamento, il liberalismo sarebbe finalmente smascherato per quello che è, cioè l’ideologia del più grande genocidio della storia dell’umanità perché condurrebbe alla soppressione della libertà fondamentale, quella della vita. E questo non si può dire perché il liberalismo non può in alcun modo essere messo in discussione dalle classi dominanti capitalistiche occidentali che, tuttora, fondano su questa cultura politica le proprie pretese di legittimazione universale.

Come è possibile opporsi a tutto ciò?

Ci si può salvare attraverso un’azione di mobilitazione collettiva di coscienza e risveglio, anche di tipo spirituale. Il risveglio in realtà è già in atto e mentre la maggior parte delle popolazione è impegnata a guardare l’ennesima serie su Netflix c’è una guerra ideologica tra fautori del Reset e fautori del Risveglio, in due parti della società che si stanno affrontando. Lo si può vedere in tutte le manifestazioni di mobilitazione sociale, politica e spirituale realizzate negli ultimi due anni, nello sviluppo di media alternativi al mainstream e che stanno diventando punto di riferimento per tanti, in tutte le persone critiche verso la gestione della pandemia prima e della guerra ora che si stanno unendo, in tutti coloro che sono arrivati a sacrificare lo stipendio pur di mantenere integrità e dignità. Mi auguro che tutto ciò non sia dissipato e che serva per un salto evolutivo di comprensione e unione di tutte le coscienze.

Sei stato invitato a parlare in qualche trasmissione tv nazionale?

Sì, certo, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo della guerra in Ucraina. La mia posizione è stata quella di non prendere parte al circo mediatico mainstream perché non voglio alimentare la macchina propagandistica di certi programmi che non fanno altro che gettare benzina sul fuoco e usare i cosiddetti dissidenti dal pensiero conformista per avere un capro espiatorio, indicato come corresponsabile morale del Male Assoluto (nel caso in questione, i russi) da dare in pasto all’opinione pubblica. Queste trasmissioni fingono di dare voce a tutti per poi fare in modo di rendere antipatico e trasformare in una sorta di bersaglio, di capro espiatorio su cui far ricadere la responsabilità per tutti i mali del mondo, chi ha un pensiero critico rispetto alla narrazione dominante. Io penso che se i dissidenti si rifiutassero in blocco gli inviti del mainstream compirebbero un atto rivoluzionario e contribuirebbero al crollo dell’audience, dunque dei profitti, delle trasmissioni di regime. Un monologo tra eguali è infatti meno accattivante, per il pubblico, rispetto a un confronto tra diversi. E il mainstream occidentale recluta i dissidenti per legittimarsi, ovvero per poter sostenere di essere “più aperto, pluralistico e democratico” dei competitor dell’Occidente e perché, per sostentarsi, è obbligato a fare audience. I dissidenti, in questo senso, vengono strumentalizzati due volte dal mainstream: in primo luogo, perché contribuiscono alla sua pretesa di legittimazione, in secondo luogo perché contribuiscono a fargli ottenere quell’audience essenziale ai media di regime per campare. Se i dissidenti lo mollassero, il mainstream si troverebbe di fronte a un bivio: cambiare o morire.

Dove ti si può trovare quindi?

Ho deciso di puntare sumedia indipendenti, che sono il futuro dell’informazione: Visione TV di Francesco Toscano, Byoblu di Claudio Messora, 100 Giorni da Leoni di Riccardo Rocchesso, Contro.tv di Massimo Mazzucco, Il Vaso di Pandora di Carlo Savegnago, Becciolini Network di Stefano Becciolini, La Fabbrica della comunicazione di Beatrice Silenzi e molti altri ancora, che ringrazio per darmi spazio e per essersi interessati al mio lavoro. Oltre naturalmente ai miei profili Facebook e Telegram. Questa scelta mi consente maggiore libertà e, soprattutto, mi autorizza a effettuare una critica radicale e inattaccabile di un sistema mediatico ufficiale che ritengo essere non una parte terza bensì uno strumento politico dei processi di de-emancipazione sociale e culturale propri del Grande Reset.

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1 COMMENT

  1. Peccato che come al solito si dia alle parole un significato opposto a quello reale. Come si fa a sostenere che gli obiettivi volti alla sudditanza siano peculiarità del liberalismo? Cosa ci sarebbe di liberale nell’assoggettamento delle popolazioni? Evidentemente l’intervistato confonde anche lui “liberale” con “liberal”, termine peraltro abusivo pure nell’ originale inglese visto che chi si definisce tale è l’esatto contrario della libertà. Alla fine ricompare quanto semanticamente paventato da Orwell perfino nelle menti di alcuni che si sono giustamente opposti ai passaporti vaccinali interni. Per il futuro, in caso di sia pur difficile vittoria, evitiamo di creare il nuovo Partito d’Azione che mischiando ossimoricamente il liberalismo con il socialismo finì nel 1948 per avere gli stessi consensi ottenuti nel 2018 dalla lista denominata Il Popolo della Famiglia. Spariamo insieme addosso ai nazisti ma a guerra finita ognuno rientri nei propri ranghi di appartenenza.

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