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Hunter Biden e il fascio-comunismo della grande stampa igienica

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di PIETRO AGRIESTI

La storia di Hunter Biden è stata portata avanti da piccoli media (qui i nostri articoli pubblicati sul Miglioverde) e da giornalisti indipendenti (o che si sono resi indipendenti per poterla portare avanti come Greenwald). Se non fosse stato per il New York Post, Greenwald, Taibbi e pochi altri sarebbe stata semplicemente sepolta dai grandi media mainstream. New York Times in testa, visto che è stato uno dei primi giornali a liquidarla come disinformazione russa, e uno degli ultimi a riconoscere che non lo era, e che le notizie erano autentiche.

I grandi social hanno censurato la storia, impedendo la condivisione degli articoli, e bloccando i profili del New York Post che aveva lanciato lo scoop per primo. Parallelamente hanno dato credito all’accusa che fosse disinformazione russa. Un’accusa letteralmente basata sul nulla, visto che ha avuto origine da una lettera firmata da una serie di pseudo esperti e ex funzionari dell’intelligenza, che affermava non abbiamo alcuna prova ma riconosciamo a vista tutti i segni della disinformazione russa.

Questa affermazione già di per sé avventata è stata trasformata nell’affermazione che fosse sicuramente disinformazione russa. E questa accusa è stata ripetuta a macchinetta su tutti i più grandi giornali e canali televisivi. In pratica la vera campagna di disinformazione è stata questa.

Nonostante la censura e questa campagna di disinformazione alcuni giornalisti e alcuni media hanno caparbiamente portato avanti la storia, tanto che anche i grandi media mainstream hanno dovuto riconoscerla vera, controvoglia e senza mai chiedere scusa. Che l’abbiano riconosciuta vera non vuol dire che la stiano trattando in modo decente. Ne che abbiano ammesso di avere portato avanti una campagna di censura e disinformazione sotto elezioni perché avevano paura la storia facesse vincere Trump. Ne che ora stiano riconoscendo a pieno cosa viene fuori dai documenti trovati sul laptop di Hunter Biden. Il che significherebbe ammettere che Biden padre ha mentito e che è coinvolto nello scandalo. Tuttavia questi piccoli media e giornalisti indipendenti sono esattamente quel tipo di outlet e di persone che vengono regolarmente accusati di essere inaffidabili, che sono oggetto di downgrade e di misure per ridurne la visibilità sui social e sui motori di ricerca, che vengono presi di mira dai fact checker, che vengono messi sotto tiro dai politici.

Negli ultimi anni funzionari, politici e media di primo piano hanno più è più volte sostenuto che la disinformazione mette in pericolo la democrazia e che per combatterla – ricordo articoli sul New York Times in proposito – bisognava togliere visibilità alle fonti di notizie inaffidabili e darla a quello più affidabili: dove le fonti affidabili sono in primis le fonti istituzionali e i grandi media, il New York Times, la CNN, etc… Si tratta di un discorso demenziale e incoerente. Se il discorso pubblico deve essere controllato, filtrato, censurato, prea-pprovato, allora siccome non c’è nessuna trasparenza, affidabilità, imparzialità, né ci può essere, in questo processo, questo significa che non c’è più alcuna democrazia. E infatti questa sorta di paternalismo dirigista, che viene proposto per salvare la democrazia, è un sistema in cui lo stato, i grandi media, i grandi social e le grandi aziende tech collaborano a gestire la società, non ha niente di democratico è puro fascio comunismo.

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