di MATTEO CORSINI
Da anni in Italia chi chiede il voto da posizioni di centro-destra promette riduzioni di tasse e altri provvedimenti che aumentano la spesa pubblica. Poi generalmente, quando al governo, non riduce realmente le tasse, ma fa correre la spesa pubblica, con conseguente aumento di deficit e debito. Senza che si materializzi la crescita del Pil che, secondo una versione peninsulare di keynesismo, dovrebbe essere pari a un multiplo della maggior spesa.
Per contro, chi chiede il voto da posizioni di centro-sinistra promette riduzioni di tasse ai meno abbienti e altri provvedimenti di spesa, finanziati tassando i ricchi, identificati poi con coloro che hanno redditi annui superiori a 35mila euro lordi.
Poi ci sono quelli, come il M5S, che promettono assistenza, ma senza dire dove prenderanno i soldi, se non promettendo un futuro radioso fatto di energie rinnovabili e crescite del Pil miracolose. Una versione del keynesismo peninsulare a tinte green.
Di recente qualcosa di simile a quanto accade in Italia si è visto nel Regno Unito, dove il nuovo governo conservatore ha presentato un pacchetto di tagli di tasse e deregulation che è stato accolto negativamente sui mercati finanziari.
Ben vengano i tagli alle tasse e la deregulation, ma il tutto non può essere accompagnato da una spesa pubblica che non cala e che, anche dopo essere scesa dal picco durante la pandemia, resta attorno al 45% del Pil con entrate al 37% del Pil.
Margaret Thatcher, a cui il nuovo primo ministro Liz Truss dice di ispirarsi, partì da una spesa pubblica di 6 punti inferiore a quella attuale ed entrate poco sopra il 36% del Pil. Lasciò il governo nel 1990 con spesa al 35% ed entrate al 33.6% del Pil. Durante gli oltre 20 anni alla guida del governo, il deficit non fu mai a livelli simili a quelli attuali, e il debito pubblico passò dal 43% al 28.5% del Pil. Oggi è attorno al 90% del Pil.
Senza ridurre la spesa, Liz Truss sarà molto più simile a certi colleghi del sud Europa (o dell’America Latina) piuttosto che alla Lady di ferro.