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Non sono altro che volgari ladri di cavalli

Da leggere

di ROBERTO PORCÙ

Ripenso alla mia gioventù, a quel Far West che mi affascinava e ricordo che c’era una stranezza che allora mi dava da pensare.

Primo caso: un cow boy ubriaco sparava, rompeva il grande specchio del saloon e lo sceriffo gli faceva passare la sbronza con qualche giorno nella cella attigua al suo ufficio.

Secondo caso: dei banditi rapinavano la diligenza, lo sceriffo, a capo di volontari del paese, dava loro la caccia e, se riusciva a prenderli vivi, li cacciava nella stessa  prigione dalla quale, dopo il processo, sarebbero usciti per andare a spaccare i sassi a Yuma.

Terzo caso: veniva preso uno che aveva rubato cavalli, e che si fosse trattato di uno solo o di una mandria poco importava, sempre un ladro di cavalli era, da impiccare al primo albero o, dopo regolare processo, alla forca eretta nella piazza del paese.

Da ragazzo pensavo che un cavallo che mangia erba in un posto dove di erba ce n’era tanta e che si riproduce naturalmente, tant’è che sembrava bastasse andare nella prateria con un lazo per catturarne a iosa, doveva avere un valore molto inferiore ad un grande specchio, prodotto in una grande città della costa atlantica e trasportato attraverso il continente, con mille accorgimenti, su carri, senza pneumatici ed ammortizzatori, e che l’abigeato era considerato più grave di una rapina. Poi, crescendo, ebbi altro da pensare che non appurare se la grande avversione verso i ladri di cavalli, illustratami da tanti registi, fosse frutto di fantasia o rispecchiasse la realtà del luogo e del momento storico.

Oggi ritengo che impiccare, nel contesto del Far West, i ladri di cavalli, fosse la naturale conseguenza dell’amore per la libertà degli americani. Chi aveva un cavallo poteva spostarsi ed andare a cercarsi il lavoro dove meglio gli era retribuito, chi era a piedi, poteva al più spostarsi da una città ad un‘altra con la diligenza e cercare qui a piedi quello che a piedi altrove non aveva trovato. Privare un uomo del suo cavallo era privarlo della libertà di poter cercare quella sua felicità sancitagli dalla Costituzione degli Stati Uniti.

E’ una sensazione che provano tutti i giovani che cercano lavoro e che improbabilmente  riescono a trovare nello stesso isolato o a qualche fermata del pulman.

Il mio primo lavoro io finii con il  trovarlo in Lombardia, in un paesino della Brianza con collegamenti pubblici impossibili, … ma avevo la Lambretta di un mio fratello.

I Signori che hanno fatto dello Stato “cosapropria”, ostacolano il trasporto individuale (il cavallo di oggi) ricorrendo a due scuse. Gli uni sostengono che chi si sposta con mezzo proprio è un danaroso ed allora va alleggerito con ogni mezzo, con tassa del 20% all’acquisto e poi con tasse sul carburante, con tasse sulla assicurazione, con tasse sul diritto di fermarsi in qualche luogo, con tasse sull’autostrada che avrebbe già dovuto essere liberalizzata … e con multe comminate da solerti agenti che si appostano dove la rapina viene facile.

Già! Il danaroso viene alleggerito nel nome della solidarietà, peccato che poi la solidarietà sia solo quella che costoro hanno fra loro nello spartirsi il bottino.

Gli altri sostengono che chi usa un mezzo a motore, è un maledetto inquinatore da cacciare dalle città e punire in ogni modo, anche non adeguando la viabilità alle aumentate esigenze della vita, e poco importa se i mezzi in coda inquinano molto di più e se su strade caotiche molti ci lascino la vita, importante è la tutela di piante ed animali selvatici.

Da ragazzo io ero un boy scout, e tale continuo a considerarmi anche oggi che sono vecchio, trascuravo tutto per aiutare chi era in bisogno (fui tra quelli che accorsero a Longarone quando la Protezione Civile non era ancora inventata) e vivevo la natura, che allora non andava di moda tra i miei coetanei, che, per lo più, ricordo infervorarsi per il Vietnam facendo gazzarra con la Polizia ed imbrattando i muri della mia città con le bombolette ai clorofluorocarburi.

Adesso, non so come abbia potuto avvenire, ma, li vedo, sono gli stessi che si ergono a paladini del sociale e dell’ambiente. Penso che questi camaleonti si credano tanti Padreterno e vogliano avere il controllo di tutto e di tutti, vogliano vederci ordinati in fila alla fermata di un bus che ci porti dove loro hanno deciso e tremino all’idea che ognuno possa andare dove diavolo vuole, a fare quello che gli pare.

Penso che essi tremino all’idea che qualcuno osi essere un Uomo Libero. Penso che questi siano volgari ladri di cavalli e che come tali vadano impiccati.

*Articolo scritto il 13 Novembre 2000

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