di MATTEO CORSINI
Negli anni scorsi, soprattutto quando fu decretato il lockdown, fu ampliata fortemente la fornitura di garanzie pubbliche sui prestiti bancari alle imprese.
Come sempre, a sud delle Alpi (ma anche altrove, per la verità) non furono fatte molte riflessioni su ciò che sarebbe potuto accadere. Perché per alcuni debitori le difficoltà si sarebbero rivelate temporanee e la loro attività sarebbe ripresa regolarmente (e producendo utili) una volta terminato il lockdown, mentre per altre le difficoltà sarebbero state irreversibili.
Ma quando i governi prendono questi provvedimenti, ciò che si vede è l’aiuto immediato (peraltro il lockdown era stato imposto proprio dal governo);
ciò che non si vede, o che non si vuole vedere,
è quello che succederà una volta scaduti quei prestiti. Ossia che una parte più o meno consistente non sarà ripagata per intero, rendendo necessaria l’escussione della garanzia a carico, in ultima analisi, dei pagatori di
tasse.
Se poi si passa da tassi rasoterra a quelli attuali, i debitori in difficoltà non possono che aumentare. E allora ecco che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti afferma sconsolato che le garanzie “a questo punto scadono, e quando il settore riemerge dalla garanzia Covid con i tassi d’interesse che sono più elevati di quelli di due anni fa, rischia di annegare e diventare Npl“.
La risposta classica è quella di calciare avanti il barattolo, ed è quello che pare voglia fare il governo. Ma questo ovviamente non è gratis, e significa più deficit (come da manovra proposta, ndr), ossia maggiori tasse future, dato che di ridurre la spesa pubblica non se ne parla. O meglio, se ne parla, ma poi non si fa nulla di tangibile.