di MATTEO CORSINI
Lo scorso 13 dicembre, in occasione dell’ultima riunione del 2023 del Federal Open Market Committee, la Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi di interesse (come da attese), ma ha lasciato intendere che nel corso del 2024 inizierà ad abbassarli. Il tutto pur non prevedendo una recessione per l’anno prossimo, e con prezzi al consumo le cui variazioni non sono ancora entro il target, soprattutto nella componente “core”.
Ciò nonostante la politica monetaria appare oggi, secondo Powell, “in territorio ben restrittivo“, con enfasi maggiore rispetto a poche settimane fa, nonostante le condizioni finanziarie fossero allora oggettivamente più restrittive di oggi. Al tempo stesso, la Fed non ritiene più necessario, per la riduzione dell’inflazione, “un periodo di crescita sotto il potenziale e qualche indebolimento del mercato del lavoro” (eufemismi per non dire “recessione” e “aumento della disoccupazione”). Addirittura la Fed potrebbe dover iniziare a ridurre i tassi di interesse “ben prima” che l’inflazione dei prezzi al consumo sia scesa al target del 2% annuo.
In sostanza, un cambio di atteggiamento del tutto in contrasto con il metro di giudizio tenuto fino a novembre. Ma si sa, il 2024 è un anno elettorale, e il consenso per Joe Biden è già sufficientemente basso da rendere al momento non probabile una sua rielezione. Naturale che la politica monetaria vada in soccorso, anche perché Jerome Powell, in caso di vittoria di Trump (ma anche di altri candidati repubblicani), avrebbe molto probabilmente i giorni contati alla presidenza della Fed.
E il mantenimento della poltrona val bene un cambio di politica monetaria…