di PAOLO L. BERNARDINI
Nel mondo, per fortuna, la statualità si esprime in modi e forme varie, che lasciano intendere che lo “stato” può anche rimodellarsi o crearsi ex novo in forma di comunità di uomini e donne liberi, magari a partire da una situazione di estrema emergenza.
Con vivo piacere ho letto e segnalo dunque il volume “Statelet of Survivors: The Making of a Semi-Autonomous Region in Northeast Syria”, di Amy Austin Holmes (Oxford University Press, 2023), frutto di dieci anni di rigorose ricerche. La nostra di massacri, discriminazioni e pulizie etniche nella regione è ben nota, a partire dalle mostruosità avvenute in epoca ottomana, fino ad oggi. Meno noto è il fatto che dinanzi alla minaccia del califfato islamico la milizia conosciuta come YPG/YPJ, guidata dai curdi, è riuscita a mettere insieme prima un esercito, poi una vera e propria “comunità”, fatta di arabi, assiri, siriani cristiani, armeni, yazidi, circassi, turcomanni, che hanno dato vita alle Syrian Democratic Forces (SDF), e sono riusciti a sconfiggere il Califfato. Anche il territorio originario dei curdi siriani, il Rojava.
Come nota l’autrice, nel tremendo conflitto sono morti almeno 11.000 di questi miliziani, uniti dalla battaglia politica anche se divisi dal credo religioso. Siamo nel 2019, e da allora, cosa meno nota, questi miliziani hanno creato uno stato “de facto”. Non amato ma forse malamente tollerato dal regime di Assad, e ovviamente dall’ISIS e dalla Turchia. Ma esiste, sarà pure, giusto il titolo di questo ottimo libro, uno “statelet of survivors”, ma chissà come potrebbe evolvere in futuro. Ora ha un nome che in inglese suona: “Autonomous Administration of North and East Syria (AANES)”.
Come nota l’autrice, si tratta di un fenomenale esperimento multi-etnico e multi-religioso, in cui, nella tradizione curda, le donne hanno un notevole peso. La Siria è divisa in quattro come la Libia in tre. Ognuna di queste regioni ha un governo differente, e dunque non sarebbe certo pensabile di trasformare la Siria in una vera federazione, anche perché assurdamente Assad e famiglia pretendono di governare tutta la Siria, mentre ne hanno realmente in mano meno di un quarto. Ancora troppa instabilità. Ma è lo stesso modello di Stato occidentale, fallimentare, a vacillare in Medio Oriente, quando in qualche modo è stato imposto e non creato ex nihilo come nel caso di Israele.
Quante forme di statualità si conoscono? Si pensi a Gaza, alla Cisgiordania, ora sotto gli occhi di tutti, ma anche ad un caso a me particolarmente noto e caro, il Kurdistan iracheno, regione autonoma e governata in modo differente, più illuminato, democratico, occidentale, da Barzani, con tutti i limiti certo che ha manifestato dopo il referendum del 2017 in cui tutti i curdi o quasi (il 97%) si sono espressi a favore dell’indipendenza. Quanto ha a che fare il Kurdistan iracheno con il resto del Paese malamente amministrato e ampiamente corrotto, tanto che, non ostante si trovi de iure in pace, non è neanche censito nello Index of Economic Freedom? Il quale di solito non parla solo delle nazioni in guerra.
Eppure Erbil, nel Kurdistan iracheno, è una capitale globale, una città cosmopolita molto più di Baghdad, e la regione è in continua crescita, si sta aprendo anche al turismo, con tutti i caveat: passeggiare sui campi minati non è come farlo a Madonna di Campiglio. Siamo in territori precari, ma di forte ripensamento di un modello statuale ampiamente importato – insieme ai confini tracciati col gesso a tavolino – in quella parte del mondo, centrale anche storicamente: nelle valli del Tigri e dell’Eufrate ampiamente in territorio del Kurdistan iracheno si dice enfaticamente, ma non erroneamente, che sia “nata la civiltà”, con i Sumeri e i Babilonesi. Non è cosa da poco.
Vedremo cosa succederà al Kurdistan iracheno, e cosa allo “staterello di sopravvissuti” di cui parla questo libro. Potrebbero evolversi in diverse forme, in zone in cui, se vi includiamo lo Yemen e il Somaliland (facendo un salto di continente ma non di zona geopolitica), vi sono più situazioni di instabilità e incertezza che non realtà consolidate: l’unico Stato moderno, Israele, con la sua democrazia e la potenza economica, è, non a caso, minacciato da ogni parte.
Dal Medio Oriente, di nuovo, dipendono le sorti del mondo e non è detto che tutto finisca in tragedia.