di MATTEO CORSINI
Una delle ricorrenti lamentele dei sindacati riguarda la scarsa remunerazione percepita da larga parte del personale del pubblico impiego. Di qui le altrettanto ricorrenti richieste di aumenti nelle retribuzioni stesse in occasione di rinnovi contrattuali che, sovente, avvengono ben oltre la scadenza di quelli in essere.
In un contesto del genere, uno dovrebbe aspettarsi una certa disaffezione verso il pubblico impiego. Al contrario, per ogni posto messo a bando si iscrivono ai concorsi centinaia o migliaia di persone. C’è quindi una abbondanza di offerta, il che in un contesto di mercato eserciterebbe una pressione ribassista sui prezzi. Ma chiaramente la pubblica amministrazione non è un contesto di mercato.
E’ pur vero che i partecipanti ai concorsi sanno ex ante a cosa vanno incontro in termini di stipendio. Se partecipano numerosi significa che valutano la prospettiva del pubblico impiego migliore rispetto alle alternative a loro disposizione. In parte può anche significare che nella valutazione rientrano elementi non direttamente monetari.
Per esempio, quanto vale la sicurezza del zaloniano “posto fisso” nel pubblico impiego rispetto a un contratto a tempo indeterminato in una piccola o micro azienda? La valutazione è come sempre soggettiva, ma pare proprio che per molti individui, soprattutto per i più avversi al rischio, quel valore non sia irrisorio. Di qui uno dei motivi dell’eccesso di offerta. Che anche in un sistema non di mercato un qualche effetto ribassista sui prezzi probabilmente lo ha.