di MATTEO CORSINI
Non passa mese in cui non si registri un calo delle immatricolazioni di nuove automobili, con la quota di mercato delle full electric che, con buona pace dei Timmermans di questo mondo, resta attorno a un (giustamente!) misero 4%.
I motivi sono abbastanza noti e ricorrenti, per cui non mi ci soffermerò più di tanto. Ma, in sostanza, le auto elettriche costano troppo per l’automobilista medio e, checché ne dicano i cantori, non sono considerate un prodotto migliore da chi guida. Altrimenti non ci sarebbe questa domanda asfittica.
Da anni ormai il mercato vive di ondate di doping da incentivi, che, come ho più volte sostenuto, funzionano (a prescindere da ciò che si possa pensare in merito alla loro (in)opportunità) solo se riservati a una platea contenuta. Altrimenti i costi per la generalità dei pagatori di tasse diventano eccessivi. Eppure dal lato dell’offerta, dopo aver clamorosamente sbagliato i calcoli sull’appoggio ovino alla transizione forzosa, l’unica cosa che si sente è la richiesta, come un disco rotto, di nuovi incentivi.
Secondo Michele Crisci, presidente di Unrae, l’associazione dei costruttori di auto esteri, “emerge con chiarezza l’urgenza di rifinanziare l’Ecobonus per i prossimi anni. Risulta prioritario revocare la decisione di tagliare il Fondo automotive, ma anche individuare nuove misure che consentano di raggiungere gli sfidanti obiettivi fissati dall’Ue”.
Stessa musica da parte di Anfia, l’associazione delle imprese della filiera automotive. E invece no.
Gli incentivi non sono un pasto gratis e non di rado sono pure regressivi. Questi signori hanno pensato di poter continuare ad adottare una strategia da lacché dei politici europei ipotizzando di riuscire a scaricare su altri i costi della transizione idiota pensata da Timmermans e simili. Abbiano la decenza di ammettere che hanno sbagliato e di smetterla di chiedere agli Stati di far pagare a tutti quanti per queste follie. Magari, riservino le loro energie per chiedere un ripensamento delle follie medesime.