di MATTEO CORSINI
Intervenendo a un convegno su “Etica e Fisco”, il direttore dell’agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, richiamando la Costituzione, ha detto che “l’imposizione è un mezzo per realizzare i diritti sociali”. Il che è anche banale, ma dovrebbe portare a interrogarsi sui cosiddetti diritti sociali. Che, in buona sostanza, sono diritti stabiliti per via legislativa. Siccome sempre per via legislativa sono stabilite le forme di tassazione, non è difficile realizzare la popolarità del principio della imposizione fiscale progressiva.
Dalla combinazione sorge la possibilità di far proliferare i diritti, che assicurano voti, usando il randello fiscale su una minoranza. E infatti tutto l’apparato della spesa cosiddetta sociale in Italia è finanziato dalle tasse di meno di un pagatore di tasse su dieci.
Si dice sia così per via dell’evasione fiscale (lo fa anche Ruffini, ovviamente), che se tutti pagassero ci sarebbe un calo delle aliquote, quindi tutti pagherebbero meno. Ma ciò è semplicemente falso, prova ne sia che ogni incremento di gettito, sia esso dovuto a recupero di evasione o a un aumento degli imponibili per via della crescita nominale, è prontamente speso. L’unico modo per ridurre le tasse strutturalmente consiste nel ridurre altrettanto strutturalmente la spesa pubblica, inclusa quella per i cosiddetti diritti sociali. Che però la maggioranza (che ne fruisce) non vuole siano toccati. E quelli sono voti, e sono molto più numerosi di quelli di chi paga il conto.
Ruffini tratteggia anche come sarebbe una società senza tasse: sarebbe “senza servizi, non in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini”. Non sarebbe, in realtà, una società senza servizi. Sarebbe una società in cui i servizi sono offerti in concorrenza e pagati da chi ne fruisce, o da chi aiuta volontariamente i fruitori. Sarebbe una società in cui non spetterebbe al legislatore inventare diritti sociali.
Nella foto un tipico effetto del servizio pubblico
Molti paventano che aumenterebbe il numero degli indigenti. Ed è curioso, perché l’applicazione coerente del modello preferito da costoro è il socialismo integrale, che non ha portato benessere diffuso nei (non pochi) Paesi in cui è stato sperimentato. Il tutto anche volendo prescindere dalla soppressione della libertà, che comunque non è un dettaglio da poco.
Le tasse andrebbero viste per quello che sono: una violazione della proprietà. Diritto che non se la passa troppo bene a sud delle Alpi (e non solo, ahimè).