di MATTEO CORSINI
Secondo Leonardo Becchetti e Guido Cozzi, l’introduzione dell’euro digitale potrebbe favorirne l’utilizzo per fornire un reddito di base alle persone bisognose, a maggior ragione se perderanno il lavoro o avranno impieghi parziali e poco retribuiti a causa degli sviluppi dell’intelligenza arficiciale.
- “In questa economia profondamente mutata diventa essenziale un reddito di base fornito a chi è nel bisogno e destinato a sostenere le spese in beni essenziali, la formazione e l’assistenza sanitaria inclusa la non autosufficienza per sé e i propri familiari. Un reddito siffatto, gestito in modo efficiente non è affatto un disincentivo per i beneficiari a rendersi utili per sé stessi e per la società, ma il fondamento indispensabile che rende possibile il loro investimento in capitale umano (salute ed istruzione)”.
A prescindere da cosa uno pensi del welfare state in generale, è del tutto soggettivo individuare l’equilibrio tra incentivi e disincentivi. Se si accetta che l’incentivo a cercare di procurarsi un reddito per accedere ai beni di prima necessità è tanto più forte quanto minori sono la ricchezza liquidabile e il reddito di partenza, si deve concludere che un reddito di base fornito dallo Stato, per quanto basso, riduce quell’incentivo.
In ogni caso, Becchetti e Cozzi ritengono che
- “il modo nuovo e più efficace per fornire questo reddito di base sia da collegare all’introduzione della moneta digitale che le banche centrali possono direttamente accreditare sui conti correnti digitali dei beneficiari aperti presso istituti di credito con la condizione che la nuova moneta (per quanto riguarda il reddito di base) sia soggetta a riserva obbligatoria del 100%. Con questo accorgimento le banche private non potrebbero semplicemente convertire tutti gli euro digitali depositati in base monetaria normale. L’euro digitale non funzionerebbe come i tradizionali depositi bancari, perché non rientrerebbe nel regime di riserva frazionaria. Le banche non potrebbero moltiplicarlo attraverso prestiti, né potrebbero trasferirlo nel circuito della moneta bancaria. L’euro digitale sarebbe gestito con una riserva obbligatoria molto alta e verrebbe utilizzato come mezzo di pagamento diretto. Le banche, quindi, non avrebbero la possibilità di espandere la massa monetaria a partire dagli euro digitali, che rimarrebbero vincolati a essere utilizzati nella loro forma digitale senza generare debito aggiuntivo. La riserva obbligatoria sull’euro digitale, pur partendo dal 100%, potrebbe essere gradualmente ridotta nel tempo, mantenendo comunque un livello sostanziale. Questo offrirebbe alla Banca Centrale Europea (Bce) un ulteriore strumento di policy ed un importante strumento di flessibilità. In un periodo di crescita economica, la riserva potrebbe essere abbassata, permettendo una maggiore circolazione di moneta senza eccessi inflazionistici. Viceversa, in momenti di crisi, mantenere una riserva più alta garantirebbe una funzione di stabilizzazione, limitando l’espansione incontrollata del credito. I vantaggi nell’usare questo approccio sono molteplici”.
Mantenere un coefficiente di riserva del 100% limiterebbe l’effetto inflattivo dell’emissione dal nulla degli euro destinati ai beneficiari del reddito di base in questione, ma non sarebbe un pasto gratis. Il potere d’acquisto fornito ai beneficiari del reddito di base redistribuirebbe in qualche misura la ricchezza reale esistente.
Per di più gli stessi autori prima sostengono che la riserva dovrebbe essere al 100%, poi aprono da subito la porta a sue revisioni al ribasso. Peraltro in modo controintuitivo: per evitare effetti prociclici, il coefficiente dovrebbe semmai essere più alto in periodi di crescita economica e più basso in momenti di crisi, e non il contrario, come proposto da Becchetti e Cozzi.
Come dicevo, poi, non sarebbe un pasto gratis, anche se pare che gli autori lo vogliano considerare tale. Infatti:
- “Il finanziamento diretto delle banche centrali vorrebbe dire nell’Unione Europea bypassare i problemi legati ai debiti pubblici nazionali e i vincoli di bilancio che impediscono di destinare le risorse che sarebbero necessarie per affrontare il problema, vincoli destinati a diventare più stringenti con l’entrata in vigore delle nuove regole sul bilancio producendo indesiderati effetti pro-ciclici. La scelta contribuirebbe in modo importante alla reputazione della Bce e dell’Unione Europea presso i cittadini degli Stati membri. La Bce potrebbe inoltre introdurre gradualmente la misura verificandone l’impatto sulle dinamiche inflazionistiche. Sarebbe possibile un sistema omogeneo a livello europeo di verifica dell’efficienza della misura (in modo simile a quanto sta avvenendo con il Pnrr) utilizzando un approccio di universalismo selettivo, ovvero condizionando la misura alla verifica degli Stati membri della prova dei mezzi e allo svolgimento di un colloquio regolare con gli assistenti sociali dei beneficiari per una corretta profilazione degli Stati tra gli occupabili e i non occupabili. Il quantitative easing ha avuto un ruolo fondamentale e ci ha aiutato a superare passaggi difficili della nostra storia recente. Più recentemente si è ragionato su come un green quantitative easing (e il green tilting della Bce) possa favorire il finanziamento della transizione ecologica. Per gestire assieme transizione ecologica e digitale in modo socialmente sostenibile salvando consensi e fiducia nelle istituzioni democratiche abbiamo più che mai bisogno d’ora in avanti di un social quantitative easing. In questo articolo abbiamo provato ad abbozzarne i lineamenti sperando che il nostro sforzo possa risultare utile a costruire una misura capace di rispondere alle sfide più urgenti del nostro prossimo futuro”.
In ultima analisi, dato che gli appelli a emettere debito comune cadono regolarmente nel vuoto, qui si vorrebbe passare direttamente alla monetizzazione della spesa per il reddito di base europeo da parte della BCE. L’effetto redistributivo, tanto all’interno degli Stati quanto tra cittadini di diversi Stati, ci sarebbe in ogni caso, così come le prevedibili discussioni su come gestire l'”universalismo selettivo”.
Si arriva sempre al solito punto: un nome nuovo (social quantitative easing) per le consuete e illusorie politiche inflattive.