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Se la soluzione fosse la gestione statale, il socialismo avrebbe funzionato

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di MATTEO CORSINI

Il dibattito sulla proprietà e gestione pubblica di aziende di servizi va avanti da decenni, e ogni volta che alla privatizzazione di una società non segue un miglioramento del servizio e/o si verifica un rincaro per gli utenti, tornano in auge le nazionalizzazioni.

Uno degli esempi di programmi di privatizzazioni più esteso è quello britannico, voluto negli anni Ottanta del secolo scorso da Margaret Thatcher. I programmi di privatizzazione partono quasi sempre motivazioni economiche, ossia da governi che hanno la necessità di fare cassa senza (tar)tassare ulteriormente cittadini e imprese. Se così non fosse, suppongo che in Italia avremo ancora un IRI vivo e vegeto, con tanto di panettoni e automobili di Stato. In alcuni casi vi sono poi anche convinzioni politiche, come nell’esempio britannico.

Non sempre l’esito delle privatizzazioni è positivo, e questo, come accennato, fa rialzare la cresta ai nazionalizzatori in servizio permanente. Matthew Brooker in un articolo su Bloomberg Opinion si occupa proprio del caso britannico, notando come recenti sondaggi vedano oltre tre quarti degli interpellati preferire un servizio ferroviario pubblico, che scendono a due terzi (pur sempre ampia maggioranza) se si tratta di bus. Per non parlare di acqua ed elettricità, con percentuali tra il 70 e l’80% a favore di un servizio erogato dallo Stato.

A suo parere le privatizzazioni sono state spinte troppo, sia per via dei primi successi, sia per motivi ideologici: “Tutte le rivoluzioni divorano i loro figli. Quando un dogma è investito della qualità di assoluta verità, diventa un invito all’eccesso. La fede nel mercato e in investimenti non statali come risposte a tutti i mali economici guidarono i pionieri delle privatizzazioni a spingere la formula in aree dove era più difficile farle funzionare”. Secondo Brooker, “la maggior parte dei clienti non sono preoccupati di poter scegliere il fornitore di acqua o elettricità; vogliono solo un servizio affidabile a un prezzo ragionevole”. Chiedendosi poi: “Aveva senso estendere lo scopo di lucro e i principi della concorrenza in ogni angolo della vita economica”?

Brooker riconosce che le privatizzazioni devono essere accompagnate da liberalizzazioni e che quando si è in presenza di condizioni che difficilmente possono differire dal monopolio, allora è necessario che le regole limitino le rendite monopolistiche.  Se questo non avviene, però, a me pare chiaramente un fallimento del regolatore, non del mercato. Né mi pare che abbia senso avere una visione angelica di ogni dipendente pubblico. Secondo Brooker, i servizi pubblici “tendono ad attrarre certi tipi di persone, spesso guidati da coscienza sociale e dalla volontà di contribuire”. il che mal si concilierebbe con stili manageriali privatistici.

Si potrebbe ribattere che non è credibile che tutti i dipendenti pubblici siano così, perché esistono evidentemente anche i Checco Zalone di “Quo Vado?”. Altrimenti i problemi economici che portano alla necessità di privatizzare non ci sarebbero. Più seriamente, non si può non consigliare la lettura di “Burocrazia” di Ludwig von Mises (libro scritto ottant’anni fa).

Quanto ai cittadini favorevoli alle (ri)nazionalizzazioni, probabilmente molti di loro non hanno sperimentato i servizi a gestione pubblica, oppure, quando si lamentano dei costi, ignorano che se una azienda a controllo pubblico fornisce un servizio operando in perdita, quelle perdite sono ripianate dalle tasse anche di chi non utilizza il servizio. E qui sarebbe sempre all’opera la tendenza a volere consumare tasse altrui, ossia l’illusione di tutti di poter vivere alle spalle degli altri.

In definitiva, non ha senso supporre che gli individui siano angeli, né in un contesto di mercato, né in uno pubblico. Ed è certamente vero che le condizioni di mercato puro non si verificano in tutti i casi. Spesso, però, è la regolamentazione stessa a essere di impedimento. Se la soluzione fosse la gestione statale, il socialismo avrebbe funzionato. La storia dovrebbe avere insegnato che non è stato così. Mai.

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