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Domenico pittarini, lo sconosciuto omero del veneto

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di ETTORE BEGGIATO “Ghe cago ai talgiani”, “ste sènache porche” (sènache, persone magre e patite), “i ne monde, i ne tosa, i n’inciòa, gnancora saemo un fiol de na scroa” (ci mungono, ci tosano, ci inchiodano come un figlio di una scrofa), “marsoni” (massoni), “dente salvadega che magna i cris-ciani, pì pedo dei Truchi e dei Luterani” (gente selvaggia che mangia i cristiani, peggio dei turchi e dei luterani): non sono le imprecazioni di un pericoloso indipendentista veneto del terzo millennio, ma le potete trovare citate in un prestigioso volume “Il Veneto” di una prestigiosa casa editrice “Giulio Einaudi Editore” stampato nel 1984 nella collana “Le regioni dall’unità a oggi”. A pagina 8 l’autorevolissimo prof. Silvio Lanaro parla di “secca avversione per –Talgia- e –talgiani- che dilaga dopo l’annessione del 1866”: e prende ad esempio le colorite espressioni di Andola nella commedia “La politica dei villani” di Domenico Pi
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