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Un ricordo di Bobby Sands, un martire per l’indipendenza

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di REDAZIONE

Come oggi, il 5 maggio, non si può non ricordare Bobby Sands, patriota irlandese, nel giorno dell’anniversario della sua morte, avvenuta quarant’uno anni fa.

L’eroismo della sua figura è riconosciuto in modo trasversale da tutti coloro che condividono le aspirazioni all’autodeterminazione dei popoli e al rispetto dei diritti inviolabili della persona umana e fu proprio per affermare questi principi che il primo marzo del 1981 Bobby Sands, detenuto nei famigerati blocchi H del campo di concentramento inglese di Long Kesh, nei pressi di Belfast, iniziò uno sciopero della fame che dopo 66 giorni lo portò, a soli 27 anni, alla morte.

Bobby Sands, nato nel 1954 in una famiglia cattolica in un sobborgo di Belfast, era un ragazzo irlandese come tanti, gli piaceva giocare a calcio e andare a pesca, ma ben presto dovette rendersi conto che la sua non poteva essere una vita normale: sin dall’inizio, la sua famiglia fu costretta a trasferirsi più volte a causa delle minacce dei protestanti che costituivano la maggioranza del quartiere e nel 1972 dovette lasciare il suo lavoro di apprendista carrozziere a causa delle continue intimidazioni dei colleghi protestanti. La sua colpa più grande era quella di essere nato irlandese in un lembo di terra d’Irlanda (l’Irlanda del Nord) rimasta sotto l’occupazione militare inglese dopo la divisione forzata del paese nel 1922.

Quando Bobby aveva solo diciotto anni, il 30 gennaio 1972 le forze di occupazione inglesi furono responsabili della strage divenuta famosa come “Bloody Sunday” (“Domenica di sangue”) : i movimenti per i diritti civili, che erano nati alla fine degli anni sessanta per reclamare la fine di un sistema politico e sociale discriminatorio dei confronti degli Irlandesi, manifestavano pacificamente per le vie della cittadina di Derry, armati di “pericolosissimi” fazzoletti bianchi, quando all’improvviso i paramilitari inglesi di “Sua Maestà la Regina” iniziarono a sparare sul corteo; quattordici (di cui otto tra i 17 e 20 anni) furono gli inermi manifestanti a cadere ammazzati.

La carneficina della “Domenica di sangue”, le azioni violente dei gruppi paramilitari lealisti inglesi assecondati da polizia e esercito, la discriminazione politica (un particolare sistema elettorale, il “Gerrymandering”, sovrarappresentava la comunità protestante e sottorappresentava quella cattolica) , la discriminazione sociale (i protestanti venivano privilegiati nell’assegnazione degli alloggi pubblici e nell’assunzione negli uffici pubblici) , la legislazione d’emergenza in vigore dal 1922 (anno in cui l’Inghilterra impose la divisione arbitraria dell’Irlanda tra stato libero e le sei contee dell’Ulster sotto dominazione inglese) , l’internamento di migliaia di cattolici che dall’inizio degli anni settanta venivano incarcerati senza accuse né processi, furono tutti elementi che spinsero moltissimi giovani, tra cui Bobby Sands, ad aderire all’I.R.A. (l’esercito repubblicano irlandese) , che ai loro occhi rimaneva l’unico difensore della popolazione cattolica.

Nel 1977 Bobby fu arrestato poiché nei pressi di uno scontro a fuoco fu ritrovata una pistola nella macchina in cui si trovava insieme ad altri compagni di militanza, e , in base alla legislazione d’emergenza, il solo possesso di un’arma costituiva prova di colpevolezza. Ai duri interrogatori Bobby non rispose e non rispose neppure durante il processo non riconoscendo la legittimità della corte inglese a giudicarlo.

Fu condannato a scontare quattordici anni di reclusione per possesso di arma da fuoco e fu internato nel carcere di Long Kesh dove i prigionieri politici come lui venivano sottoposti a qualsiasi tipo di umiliazione, sevizia e tortura (umiliazioni verbali, continui pestaggi, perquisizioni corporali) : i combattenti nazionalisti irlandesi iniziarono così una serie di forme di protesta per ottenere il riconoscimento dello status di prigioniero politico (status già riconosciuto in passato ma poi revocato dalle autorità inglesi) , che avrebbe garantito loro il diritto di indossare i propri abiti e non quelli dei detenuti comuni, essere esentati dai lavori del carcere, godere della libertà di associarsi con gli altri detenuti politici durante le ore di svago, avere la stessa riduzione di pena prevista per i detenuti normali e di ricevere una persona e una lettera a settimana.

La protesta degli “hunger strikes” conquistò da subito la comunità cattolica irlandese ma ottenne anche un vasto sostegno internazionale soprattutto dopo che Bobby Sands il 9 aprile 1981, candidato da incarcerato, vinse clamorosamente le elezioni suppletive per un seggio rimasto vacante, divenendo così membro del parlamento britannico. Purtroppo l’allora governo conservatore inglese guidato dalla fredda Margaret Thatcher si dichiarò sempre indisponibile ad acconsentire alle richieste dei nazionalisti irlandesi e dopo Bobby Sands, che morì stringendo tra le mani una croce d’oro donatagli da Papa Giovanni Paolo II, altri nove patrioti perirono portando a compimento il loro estremo sacrificio ((Francis Hughes, Raymond McCreesh, Patsy O’Hara, Joe McDonnell, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kieran Doherty, Thomas McElwee e Michael Devine) . Da segnalare che dopo la sospensione dello sciopero della fame e dopo la morte di dieci uomini, nell’ottobre del 1981 il governo della Lady di ferro, che aveva sempre cinicamente rifiutato qualsiasi dialogo con i nazionalisti irlandesi prigionieri, con una tempistica agghiacciante, acconsentì a quasi tutte le richieste dei prigionieri politici.

Centomila persone parteciparono ai funerali di Bobby Sands, ancora una volta a testimoniare la partecipazione sofferta di tutta la comunità irlandese alla causa degli hunger strikes e per un’Irlanda indipendente.

Il testamento umano e politico di Bobby Sands è contenuto nel suo famoso diario che fu scritto su pezzi di carta igienica, fatti uscire clandestinamente dal carcere: la sua testimonianza è impressionante e commuovente, e niente di meglio delle sue parole può rendere onore al suo sacrificio per l’indipendenza della sua terra: «Sono un prigioniero politico. Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra. Io difendo il diritto divino della nazione irlandese all’indipendenza sovrana… Questa è la ragione per cui sono carcerato, denudato, torturato. Nella mia mente tormentata c’è al primo posto il pensiero che l’Irlanda non conoscerà mai pace fino a quando la presenza straniera e oppressiva della Gran Bretagna non sarà schiacciata, permettendo a tutto il popolo irlandese di controllare, unito, il proprio destino come un popolo sovrano, libero nella mente e nel corpo, definito e distinto fisicamente, culturalmente ed economicamente. Credo di essere soltanto uno dei molti sventurati irlandesi usciti da una generazione insorta per un insopprimibile desiderio di libertà. Sto morendo non soltanto per porre fine alla barbarie dei Blocchi H o per ottenere il giusto riconoscimento di prigioniero politico, ma soprattutto perché ogni nostra perdita, qui, è una perdita per la Repubblica e per tutti gli oppressi che sono profondamente fiero di chiamare la “generazione insorta”».

“Tiochfaidh àr là” (“Il nostro giorno verrà”)

Scritto da Dario Pederzani

 

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