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Ripartiamo dalle cittá, l’indipendenza parte dal proprio territorio

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7di GIORGIO BARGNA

Sono e rimarrò sempre convinto di un idea: le piccole realtà sono di fatto le più grandi depositarie di rapporti sociali e civici robusti. Chiunque si adoperi nella loro consolidazione e proposizione, opera, senza dubbio, a favore della ricostruzione sociale e politica di un Paese.

Non illudiamoci, comunque, che le nostre “piccole patrie”siano integralmente immuni dalla disgregazione civica, sociale e (soprattutto) morale che sta attanagliando la nostra epoca … questo va esplicitato.

Vale a dire che dovremo andare a ridisegnare da capo il senso di città, di comunità,di civicità; sensi che negli anni hanno subito una deviazione non indifferente. Occorrerà, certamente, sviluppare il senso di città considerando anche la propria specifica dimensione storica e la proiezione universale imprescindibile.

Ne ho già scritto, amo il modello medioevale basato si su una identità specifica, ma aperto, in modalità universale, sia commercialmente che culturalmente, sempre più dialogante che offensivo.

Non si può prescindere, riflettendo politicamente di città e comunità, da riflessioni storiche, sociali, politiche, urbanistiche su ogni singola città.

La città

Una città, necessariamente la riconosci e la puoi interpretare, rimodellare solo attraverso quanto ha prodotto in passato; mi viene da aggiungere una citazione di Robert Park: “La città è qualcosa di più di una congerie di singoli uomini e di servizi sociali, come strade, edifici, lampioni, linee tranviarie e via dicendo; essa è anche qualcosa di più di una semplice costellazione di istituzioni e di strumenti amministrativi, come tribunali, ospedali, scuole, polizia e funzionari di vario tipo. La città è piuttosto uno stato d’animo, un corpo di costumi e di tradizioni, di atteggiamenti e di sentimenti organizzati entro questi costumi e trasmessi mediante questa tradizione”.

Quanto qui sopra potrebbe apparire retorica, invece la scommessa si gioca proprio sulla capacità di realizzare fusione di culture e di comportamenti che solo forme elevate di  espressioni e di insediamenti umani possono determinare.

Urbanistica

Abbiamo citato tra l’altro l’urbanistica, non abbiamo scritto una cosa da poco; scriveva Raffaele La Capria: “Cambiare la struttura urbanistica di una città significa cambiarne la morale”.

Scriveva più pesantemente, ci sono anche situazioni non chiare di forma più leggera, ma quanto segue da un certo senso, Carlo Alberto Dalla Chiesa: “La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. A me interessa conoscere questa “accumulazione primitiva” del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancor di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere”.

Senso civico

Abbiamo scritto di riflessioni sociali, il “senso civico” in questa categoria gioca un ruolo determinante, direi fondamentale. Gli atteggiamenti di fiducia o sfiducia hanno radici storiche ed economiche, l’atteggiamento di sfiducia nel prossimo è sintomatico delle società dove non conviene o non è concessa la cooperazione, società cioè povere e/o istituzionalmente disorganizzate in questo senso.

Comprensibilmente il senso civico esce screditato dall’osservare l’inefficienza e la corruzione degli amministratori pubblici, la prevalenza degli interessi particolari sugli interessi generali, la sistematica violazione delle norme e/o la scarsa equità delle istituzioni verso i cittadini. Con quali modalità  è possibile migliorare? Come promuovere il senso civico e le reti orizzontali?

Ribadiamo che a livello individuale il senso civico e capitale sociale sono maggiori quanto più una persona:

– È cresciuta in un contesto familiare caratterizzato da fiducia e disponibilità a collaborare verso con gli altri

– Ritiene di poter soddisfare i propri bisogni di vita attraverso l’iniziativa personale e/o la collaborazione con gli altri

– E’ oggetto di atteggiamenti di rispetto e cooperazione da parte degli altri e verifica che chi viola le regole paga pegno

– Ritiene di poter influire sulla gestione della cosa pubblica e/o che la cosa pubblica sia bene amministrata.

Per ottenere questi risultati è possibile agire su più ambiti, quali singoli cittadini possiamo:

– Manifestare un atteggiamento di gentilezza e cooperazione verso gli altri e rifiutare la violenza come modo per risolvere i conflitti

– Rifiutare di essere parte di sistemi clientelari

– Sostenere quelle forze politiche e associazioni che condividono questi valori

– Utilizzare una parte del nostro tempo libero per intervenire a livello individuale e/o impegnarci assieme ad altri in attività sociali

In mancanza di un contributo sociopolitico risulta però molto più complicato ottenere risultati incisivi e duraturi, solo la presenza di una società dove l’individuo può farsi valere per le proprie capacità  e la partecipazione a reti orizzontali permette di ottenere risultati positivi. Se non arriva l’input da parte degli attori che gestiscono o influenzano la gestione dei servizi e la distribuzione delle risorse pubbliche  si complica alquanto lo sviluppo del senso civico, necessita che ognuno di essi, nel proprio ambito, si spenda per:

– Istituzioni pubbliche il cui funzionamento (inclusa la gestione del personale e l’assegnazione di risorse pubbliche) sia basato sul merito e reso trasparente, anche attraverso il coinvolgimento degli utenti

– Sanzioni efficaci con chi non assicura il rispetto o non rispetta le regole e regole facili da comprendere e rispettare (ad esempio senza cestini sulla spiaggia la quantità di spazzatura abbandonata è maggiore)

– Attività educative che evidenzino i vantaggi del senso civico, del capitale sociale e della meritocrazia

– Assicurare possibilità di avanzamento sociale ai meno abbienti, fra i quali spesso la mancanza di senso civico è particolarmente diffusa.

– Una valutazione preventiva di tutte le scelte politiche e delle normative sulla base di questi criteri.

Senso civico significa non solo riconoscersi nell’inno nazionale o nella bandiera, ma anche in tutti quegli elementi che costituiscono gli emblemi della cultura  e del paesaggio comunitario; il vantaggio che offre ad una comunità l’avere il senso civico è, oltre alla possibilità di usufruire nell’immediato dei beni pubblici, un risparmio economico per gli enti locali, i quali non si troverebbero più nella necessità di dover  riparare o comprare nuove panchine oppure i vetri delle pensiline, pagando, inoltre, chi li installerà, fermo restando i costi di manutenzione ordinaria.

Oltre le città

E’ scattato, a mio vedere, opinabile se volete, un meccanismo di autodifesa negli ultimi anni, un netto radicamento della popolazione sul territorio, praticamente un “effetto non desiderato” dalla nomenclatura europea, la quale sperava che con la crisi si potesse spazzare via ogni residuo di identità nazionale e si ritrova invece con tanti popoli che rivendicano se non l’autodeterminazione quantomeno l’autogoverno. Potrebbe essere questo lo scenario futuro europeo: una serie di tanti Stati, piccoli sì, ma più radicati con i popoli e quindi sempre più espressione di una forte identità nazionale, da cui poter far ripartire il corso democratico interrotto con l’avvento della dittatura della finanza internazionale.

Si delinea su alcuni fronti una volontà popolare orientata verso una maggiore identificazione con la propria terra, in risposta alle mire di un sistema senza Stati teorizzato e portato avanti dagli architetti del nuovo ordine mondiale. Anche se qualche globalizzatore nega questa possibilità esistono innegabili le radici “vere” della nostra identità, il legame con la madre terra; la cultura, la storia, la lingua, identificano legando l’uomo al territorio che calca o in cui è nato, ogni tentativo posto in essere a negare l’esistenza di tali elementi, subirà una reazione del tutto opposta da parte dell’individuo stesso. Certamente i caratteri regionali non sono dati eterni e immutabili, ma sono anche, ma non solo,  il frutto dell’interpretazione che gli attori sociali ne danno nel corso del tempo.

Attualmente localismi e regionalismi sono una risposta ribelle all’affermazione degli stati nazionali e alla conseguente costituzione di centri di potere, burocrazie e istituzioni in grado di esercitare influenza sulla periferia non solo nella sfera politica, ma anche in quello della rappresentazione simbolica del senso di appartenenza.

Certamente è un ovvietà affermare che le piccole patrie di per se stesse poi non reggono,  più difficile potrebbe essere invece tracciare quel percorso di confederazione aperta ed elastica che occorre per ridisegnare una cartina decisamente più funzionale, libera e sostenibile.

Un possibile percorso

Scrivo, penso, da sempre sia inutile per ogni movimento che sogna autonomia e/o indipendenza fare voli pindarici, essenziale è  restare coi piedi per terra, non sognare grandi alleanze extraterritoriali, ma impegnarsi sui propri territori a cementare comunità vere e vive … diventare “catalani”, “scozzesi” richiede un processo lungo che richiede la presenza di grandi spinte politiche. Potremmo descrivere quantità immense di esempi, ognuno di essi però poi andrebbe testato in una realtà contingente, che prima occorre creare.

Una minima traccia però possiamo seguirla. A mio avviso è necessario ripartire dal “Locale” quale arma sia ecologica, che di rilancio culturale e tradizionale; l’esperienza accumulata in milioni di anni non è poca cosa.

Nel Locale troviamo quello spazio naturale in cui l’individuo, reso tale dal modernismo e dal liberismo, torna ad essere un tassello organizzativo, torna a sentire in se stesso lo status di appartenenza, torna a sentirsi responsabile del proprio territorio; in questo “terreno fecondo” possono crescere la vera democrazia partecipativa, il vero federalismo, il commercio sostenibile e l’abbattimento del consumo energetico.

Non isolamento, però, attenzione, la sfida di questo millennio è costruire un Locale che sappia relazionarsi, federarsi e confrontarsi verso il resto della comunità, vicina, ma anche mondiale … dunque basi solide e apertura verso l’esterno, purchè “virtuosa”.

Approfondiamo però per qualche istante su alcuni possibili percorsi.

Occorre sicuramente  ri-localizzare quelle risorse che risultano fondamentali alla comunita’; potremmo inserire in scaletta ad esempio cibo, energia, edilizia, sanita’, oggetti  ad uso essenziale.

Ogni buon amministratore locale dovrebbe riuscire, innanzitutto, ad analizzare le ricchezze della propria comunita’ e costruire un piano di trasformazione che miri al massimo dell’autonomia, intesa nel significato completo del termine. Vi sono esempi pratici disseminati, se pur non ancora molto diffusi, sul pianeta.

Si può puntare tranquillamente allo sviluppo di orti (privati, ma anche no), classici o anche pensili (sui balconi, ma anche in casa, l’agricoltura idroponica ad esempio può aiutare), alla piantumazione di alberi fruttiferi nei parchi pubblici e nei viali, allo sviluppo, magari, di fattorie collettive.

Con la stessa fantasia (e lo stesso coraggio, va detto) si possono stimolare anche gli artigiani e le piccole imprese nel produrre in prospettiva al consumo locale e non di quello esportativo. I manufatti che passano direttamente dal produttore al consumatore si ritrovano ad essere sgravati dei costi dei sistemi di distribuzione, inoltre un trasporto a breve raggio permette di abbattere una delle cause dell’inquinamento.

Chi amministra un ente locale spesso si ritrova in difficoltà quando cercando di adempiere ad un proprio compito cerca soluzioni di rilancio economico e produttivo. La cosa vista con  superficialità appare spesso arida di soluzioni, ma esistono visioni più profonde e coraggiose.

Possiamo pesare la ricchezza della comunita’, se la vogliamo intendere veramente per tale, anche tramite la capacità di autoprodurre quanto poi viene acquistato ed usufruito sul territorio, sia come servizi, che come consumo generico.

Possiamo su questo tema aiutare sia chi produce che chi consuma; ad esempio l’acquisto consociativo di cibo e beni essenziali si traduce in risparmio.

La  creazione di una rete di produzione locale efficiente e che porti realmente ad un servizio valido, ad un abbattimento dei costi ed una certa sostenibilità consente di proporre di investimenti localmente.

Cittadini ed imprese spesso e volentieri investono i propri risparmi o gli utili in titoli di stato o in svariati fondi di investimento; occorre invece dirottarli verso un investimento locale, economicamente anche più sicuro e controllabile.

Aldilà dell’investimento su un edilizia cooperativa e solidale i nostri amministratori possono puntare anche verso lo sviluppo di una rete di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che renda autosufficiente il territorio.

Potrebbero (in parte, in realtà, in alcuni casi, si fa già) investire e far investire aziende e consumatori indicando la via di un perfezionamento energetico degli edifici tramite azioni quali l’ isolamento dei tetti, tripli vetri, muri coibentati.

Non va sottovalutato neppure l’aspetto monetario locale. Se ben intesa e sviluppata la moneta locale crea un meccanismo di doppio prezzo, spendendo denaro locale (che viene così reinserito in circolo) hai uno sconto sulle merci. Se ben intesa la moneta locale significa anche ciò che molti definiscono  “banche del tempo” (per me si tratta essenzialmente di baratto). Questo meccanismo crea economia e moneta virtuale, col tuo lavoro prestato acquisti un servizio, un interscambio di servizi ben veicolato consente di maturare il servizio acquisito  tramite una terza persona, che poi si rivolgerà ad una quarta e via proseguendo … in tempi di vacche magre non è male, e forse un tempo funzionava così automaticamente.

In questi momenti di crisi economica il nostro amministratore deve avere la lungimiranza di intervenire su quello che gli è concesso. Se magari non può permettersi di modificare un economia globale in toto, cerca di viverne ai margini e creare contromosse.

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3 COMMENTS

  1. http://tinyurl.com/ngd66h5
    http://deathofjohannesburg.blogspot.com

    Pensare che sia principalmente la cultura a creare le città è tragicamente errato. Sono i distinti popoli ognuno con le sue distinte caratteristiche formate nel corso di migliaia di anni di evoluzione a creare le culture e perciò le città. Johannesburg non somiglia più alla città europea che era in passato, ma a una africana ed è logico che sia così. Nella stessa maniera Reykjavik è una citta ordinata e pulita non perché la cultura l’ha fatta così ma piuttosto perché la gente è ordinata e ci tiene allo spazio pubblico e ai valori civici.

    Se gli indipendentisti non sono capaci di riconoscersi parte di un’etnia unica e distinta allora saranno i nuovi arrivati a ricordarglielo con la violenza.

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