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Calderoli, lo strenuo difensore del centralismo italiano

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calderoli-occhi-sgranatidi GIACOMO CONSALEZ

Roberto Calderoli, esponente storico dei vertici della Lega Nord, è stato, nella sua carica di ministro delle riforme, l’autore principale della legge n. 270 del 21 dicembre 2005, una legge che ha modificato il sistema elettorale italiano e ha delineato la disciplina attualmente in vigore, salvo alcune modifiche decorrenti dal 16 gennaio 2014, in seguito all’annullamento di alcune norme da parte della Corte Costituzionale. Lo stesso Calderoli, rinnegando la sua legge in perfetto stile leghista, la definì «una porcata» in un’intervista televisiva. Per questo la legge 270 fu rinominata da calderolum a porcellum (termine che ebbe molta fortuna e diffusione) dal politologo Giovanni Sartori.

La legge contravveniva in modo smaccato all’esito del referendum del 18 aprile 1993, il quale, con un consenso dell’82,7% dei voti e un’affluenza del 77%, aveva portato all’abrogazione di alcuni articoli della vecchia normativa elettorale proporzionale del Senato, configurando un sistema maggioritario, delineato in seguito dalle leggi n. 276 (per il Senato) e n. 277 (per la Camera, nota anche come legge Mattarella) del 4 agosto 1993. Abolendo i collegi uninominali, la legge n. 270 ha introdotto il premio di maggioranza senza soglia di sbarramento per la coalizione vincente alla Camera, ricalcando due leggi elettorali italiane del passato: la legge Acerbo del 1923 e la cosiddetta “legge truffa” del 1953. Inoltre, fatto a mio avviso scandaloso, con la legge 270 l’elettore si limita a votare per delle liste di candidati, senza la possibilità di indicare preferenze. L’elezione dei parlamentari dipende quindi completamente dalle scelte e dalle graduatorie stabilite dai partiti, in base a logiche che lascerei giudicare ai lettori.

Recentemente, Calderoli è tornato in due clamorose occasioni a dar mostra della propria natura di arcigno difensore dell’autoreferenzialità ed impunità dello stato centralista romano. Tra la fine di giugno e i primi di luglio del 2014, assieme ad Anna Finocchiaro (PD) ha depositato un emendamento che introduce l’immunità parlamentare, un vero e proprio scudo giuridico per gli amministratori locali che diventeranno senatori. Questo provvedimento è stato seguito da un impressionante scaricabarile tra i redattori del provvedimento e il resto della compagine governativa (di cui la lega nominalmente non fa parte – Calderoli, in questo, svolge solo un ruolo di “basista”, se posso usare giocosamente questo termine). Negli stessi giorni, l’ineffabile odontotecnico si è prodotto in un nuovo festoso parto. Assieme all’anima phoca_thumb_l_61_CALDEROLIgemella Finocchiaro, per la quale pare nutrire un trasporto intellettuale incontenibile, Calderoli ha promosso la modifica del terzo comma dell’Art. 71 della “Costituzione più bella del mondo che tutti ci invidiano”. In virtù di questa modifica, il numero di firme necessario ai promotori per presentare una legge di iniziativa popolare sale da cinquantamila a trecentomila. E, aggiunge il testo redatto tra gli altri dallo statista orobico, “La discussione e la votazione finale delle proposte di legge d’iniziativa popolare sono garantite nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari”.

Cioè se e quando garba a lor signori. In pratica, da molti anni, la Lega e Calderoli in primis sono insieme garanti e stampelle di un processo irreversibile che conduce alla completa autoreferenzialità dello stato romano. Uno stato blindato nel proprio fortilizio a strenua difesa di un castello di privilegi insostenibili, e a sostegno di un sistema di voto di scambio che ha ridotto in pezzi l’economia dell’invaso a forma di stivale. Comprese le quattro regioni che, uniche nel loro genere, producono più di quanto non consumino, Lombardia e Veneto in testa. In questo contesto, l’alleanza ormai strategica tra PD e Lega agisce con la grazia di un cancro per distruggere i flebilissimi ambiti di autonomia locale e potere di iniziativa dal basso concessi ad oggi dall’ordinamento ipercentralista italiano. Ma la Lega non doveva essere la paladina di queste regioni contro le cattive abitudini di altre realtà del cosiddetto “Paese”?

Come dice una persona brava e seria di mia conoscenza, la Lega è una orrenda convivenza tra vecchio marcio e conati di nuovo. Restiamo in attesa che i conati si materializzino, perché il dominio incontrastato del vecchio marcio è sotto gli occhi di tutti, checché ne dica Salvini, e il vomito ce l’abbiamo noi che, stoltamente, anni addietro, ci avevamo creduto.

*Portavoce di Pro Lombardia Indipendenza

www.prolombardia.eu

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