di GRETA SCLAUNICH
I triestini non potranno votare: loro fanno parte della Venezia Giulia, mica del Friuli. E quindi sulla possibile indipendenza del Friuli (area che comprende le province di Udine, Pordenone e Gorizia) non avranno voce in capitolo. Il resto degli abitanti della regione Friuli Venezia Giulia, invece, potrà dire la sua con un semplice click: per tutto il mese di ottobre i friulani potranno pronunciarsi a favore o contro l’indipendenza del Friuli grazie ad un sondaggio su internet. Dopo quello del Veneto, anche il Friuli è pronto a lanciare il suo «web referendum» per l’indipendenza. Se i sì dovessero superare i no i promotori dell’iniziativa, le associazioni culturali «Res publiche furlane» e «Parlamento furlan» si metteranno in contatto con l’Onu per approfondire gli aspetti giuridici per ottenere l’indipendenza del Friuli. Area che comprende le province di Udine, Pordenone e Gorizia. Ma anche, spiega Adriano Biason (uno dei promotori del referendum) «alcuni centri in Veneto e pure dei Comuni sloveni. Insomma, quello che è stato il Friuli storico e che ancora oggi ha nostalgia dell’indipendenza persa nei secoli». Nostalgia che, per gli indipendentisti, si riassume in un «vonde» («basta» in friulano) all’Italia.
Referendum da 200mila votanti
Se per gli indipendentisti veneti la questione centrale era quella di «una vera potenza economica che cerca la sua indipendenza», come l’aveva definita il promotore del referendum Gianluca Busato, per il Friuli la consultazione ha basi diverse. «Noi friulani – spiega Biason (40 anni, insegnante di scuola privata, nato in provincia di Pordenone e ora residente in quella di Udine) – abbiamo ancora oggi nostalgia della nostra patria, la Patria del Friuli. E’ esistita per oltre 350 anni, dalla fine del 1.000 al 1.400, ma a causa della posizione strategica dell’area ha dovuto subire diverse invasioni. Eppure, a distanza di secoli, i friulani hanno mantenuto la loro identità e sono pronto a scommettere che la gran parte dei votanti del nostro referendum dirà sì all’indipendenza». Gli organizzatori sperano di arrivare a coinvolgere 200mila o 300mila persone, molto meno dei circa 750mila aventi diritto al voto dell’area. Ma potrebbero anche ottenere numeri molto più bassi. Da qui la decisione di non fissare un quorum, «vincerà l’opzione che avrà più voti, punto», sottolinea Biason. Dall’esperienza del Veneto gli indipendentisti friulani hanno imparato però parecchie cose. Prima di tutto che devono fare attenzione, molta attenzione, ai numeri. Così stanno studiando un modo per mantenere la percentuale di voti falsi sotto il 2%. Ma vogliono anche, a urne chiuse, contattare agenzie quotate per «ufficializzare» i risultati, commissionando sondaggi per confermare il totale dei votanti. Due armi per difendersi dall’eventuale accusa di voti falsi. Così era finita, infatti, la consultazione online in Veneto: i 2 milioni di votanti sbandierati dagli organizzatori si erano ridotti, dopo analisi sul traffico, ad un massimo di centomila potenziali elettori.
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L’indipendenza economica? Con i prodotti made in Friuli
In caso i sì vincessero sui no, la strategia di Biason e dei suoi prevede due percorsi. Da un lato, gli indipendentisti vogliono prendere contatti con l’Onu per iniziare la lunga strada verso la creazione di uno stato indipendente: «Sulla carta è possibile grazie al principio di autodeterminazione dei popoli, ma dobbiamo anche dimostrare che siamo in grado di mettere in piedi una struttura statale. Abbiamo messo in conto almeno tre o quattro anni prima di riuscire a farcela», puntualizza Biason. Dall’altro lato, invece, ci sarà una lunga lista di proposte concrete da avviare per far sì che i friulani (e quindi il Friuli) riescano a reggersi da soli. Un esempio? «Individuare i prodotti made in Friuli e promuoverli in modo che i friulani li comprino. Così dovremmo riuscire a sviluppare un’economia nostrana più solida», conclude. Sponde politiche, invece, non le cercano e non ne vogliono. Che si tratti del governatore Serracchiani o della Lega Nord. Anche se il presidente della provincia di Udine, il leghista Fontanini, da mesi continua a sostenere la necessità di un referendum online sull’esempio di quello veneto.