La Triplice sindacale, ed i suoi iscritti, trovano sempre un motivo per fare sciopero o per minacciarne una dozzina. La difesa di Alitalia, uno degli ultimi esempi di mobilitazione, è solo la riprova di quanto il sindacato italiano sia retrogrado, parassita, intellettualmente marcio. Che lo sciopero sia un diritto sancito dalla costituzione è il refrain col quale ci sentiamo ammonire ogni qual volta una categoria decide di non presentarsi sul posto di lavoro. Che qualche grande studioso abbia, però, dimostrato che di diritto non si tratti, si parla poco.
Oltre ad aprire strade nuove e ad elaborare teorie originali nell’ambito della filosofia del diritto e della scienza della politica, Bruno Leoni fu sempre molto attento alle esigenze del mondo produttivo, esercitando la professione d’avvocato e d’amministratore di patrimoni, collaborando a quotidiani e periodici, intervenendo nel dibattito politico ed economico.
In un libro antologico di scritti degli anni Sessanta, pubblicato qualche anno fa e in cui compaiono alcuni importanti testi sui temi del lavoro e dell’economia pianificata (“La libertà del lavoro”, il titolo), Bruno Leoni dimostra perché è necessario schierarsi a difesa della libertà contrattuale e del principio di responsabilità. Tale sua consapevolezza muove da una profonda conoscenza della teoria socialista (a partire da Karl Marx) e delle critiche alla pianificazione economica e sociale elaborate dagli autori di Scuola austriaca (Ludwig von Mises, Friedrich A. von Hayek e Murray N. Rothbard ad esempio).
Nel momento in cui Leoni mette in discussione quello che definisce «il cosiddetto “diritto” di sciopero», che da liberale autentico egli considera un’inadempienza contrattuale (al pari della serrata), Leoni compie molto più che una semplice provocazione: in effetti egli aiuta ad individuare criteri etico-giuridici in grado di difendere la libertà degli individui (imprenditori e lavoratori), sempre più compressa dall’invadenza della legislazione, dagli arbitri del potere politico, dal prevalere di interessi corporativi e sindacali.
In tempi di crisi economica, manifestazioni come quelle del sindacato, sempre pronto a difendere gli improduttivi e gli incapaci – che ricordano tanto quelle inscenate dai loro omologhi in altri paesi del Terzo mondo europeo – non fanno che evidenziare quanto le democrazie stataliste moderne abbiano irresponsabilmente fatto credere ai più che si potesse vivere al di sopra delle proprie possibilità, magari a spese degli altri. Ed è per questa ragione, sintetizzabile anche in “Welfare State” antieconomico, difeso a spada tratta dal sindacato e dai governi tutti, che l’Italia dalla crisi non uscirà affatto, ma continuerà il suo lento declino verso la miseria.
In “La libertà del lavoro”, Bruno Leoni – interprete di un liberalismo schierato a difesa dei diritti individuali e della proprietà privata – mette fine a certe mistificazioni. Ma più di lui, a mettere fine a rivendicazioni senza senso, ci sta pensando la “Nuova e Continua Grande Depressione” di Pulcinella-Land. Ripeto ancora: ciò che ci separa oggi dal default ufficiale sono solo i tantissimi risparmi accumulati dai cittadini, risparmi ai quali il governo Renzi (come da esempio dei suoi predecessori) continuerà ad attingere a piene mani.
Quanto al sindacato, per me è obsoleto da quando ho l’uso della ragione.
E’ una palestra di prepotenti spostati e fancazzisti a tempo pieno.
Una fucina di statalisti , ricattatori e terroristi ancor oggi.
Un centro di potere privilegiato e complice delle malefatte statali.
Un vero e proprio bubbone.
Sono fuori dal tempo e dalla ragione.
Ci separa dal default l’attitudine psicologica della maggior parte della gente che continua a pagare tasse, a chiedere aiuto al carnefice-stato, che ha paura del fisco, che è ignorante alla grande, che investe in titoli di stato, che tiene i soldi in banca ed in euro.
Nei numeri è vero che nominalmente esiste una massa di risparmio notevole.
Una enorme riserva di caccia per politici, burocrati, amministratori, banche.
Ma fintanto che non saranno fisicamente nelle casse pubbliche, essi rimangono numeri utili solo per statistiche addomesticate, previsioni farlocche, rassicurazioni di circostanza.
Io, quando converso con gente ed amici scontenti e che si lamentano minacciando chissà che cosa, suggerisco sempre loro di vuotare i conti correnti, vendere i titoli di stato, ridurre i versamenti al fisco, portare soldi fuori dall’europa , acquistare un poco di oro, ridurre l’esposizione di capitale in italia.
Qualcuno mi ha risposto che sta valutando il costarica, altri la svizzera, e via dicendo.
Nessuno finora mi ha detto di aver intrapreso azioni concrete.
Ecco perché, da come la vedo io, non si è ancora in default.
Perché la gente tollera, non reagisce e tiene a diposizione del brigante statale la saccoccia dei soldi.