di GIANLUCA MARCHI
Roberto Maroni insiste: la grande campagna d’autunno sarà la trasformazione della Lombardia in Regione a statuto speciale. O meglio la battaglia da condurre in Consiglio regionale per approvare la legge che prevede l’indizione di un referendum consultivo per chiedere ai cittadini lombardi se sono favorevoli a che la loro regione diventi “speciale”. “Il mio modello – dice il governatore leghista – è quello della Sicilia, dove la Regione si trattiene tutte le tasse pagate dai contribuenti”.
In termini assoluti, ma anche molto teorici, l’obiettivo maroniano non farebbe una grinza: vi immaginate cosa sarebbe la Lombardia si trattenesse tutte le tasse che oggi vanno a Roma e non tornano più indietro sotto alcuna forma (servizi vari), una cifra oscillante fra i 50 e i 60 miliardi di euro al’anno? Qui gli enti territoriali potrebbero lastricare le strade d’oro oppure, cosa più saggia, sarebbero in grado di ridurre le imposte sulle persone e sulle aziende al punto da far concorrenza ai Paesi Ue meno tassatori.
Dicevo, e sottolineo teorici, perché quello di Maroni appare tutto fuorché un percorso destinato a condurre direttamente all’obiettivo dichiarato. Perché? Per una serie di motivi. Innanzitutto perché i soldi che lui ha fatto accantonare alla Regione Lombardia per lo svolgimento del referendum (30 milioni di euro) non significano affatto che il referendum si svolgerà per certo. Affinché ciò possa accadere bisogna che il Consiglio regionale lombardo approvi la legge di indizione del referendum, e siccome una tale norma richiede la maggioranza qualificata dei consiglieri (i due terzi), non basteranno i voti della maggioranza di centrodestra che sorregge la Giunta, ma serviranno anche i voti delle opposizioni o almeno di una parte di esse. Ma dal Pd è alquanto difficile attendersi una mano al riguardo, mentre non è affatto chiaro che idee abbiano i grillini al riguardo.
Ammesso e non concesso che la legge venga approvata e che il referendum consultivo venga celebrato, l’esito pressoché scontato dello stesso – difficile immaginare che molti lombardi siano contro la regione a statuto speciale, cioè a trattenere più soldi sul territorio – non significherebbe per nulla l’automatica trasformazione della Lombardia in regione speciale, per il semplice fatto che una decisione del genere può essere assunta solo dal Parlamento italico con una legge costituzionale che quindi prevede la doppia lettura di Camera e Senato. E ce le vedete voi le assemblee parlamentari romane, a trazione centro-meridionale, votare una legge che, d’improvviso, priverebbe la gran parte delle Regioni della metà dei soldi con cui mettono a posto i loro bilanci deficitari? E’ come credere che gli elefanti domani spiccheranno il volo. Va infatti ricordato che in Italia solo quattro Regioni hanno un residuo fiscale attivo, cioè pagano più tasse rispetto ai soldi che ricevono indietro sotto forma di servizi pubblici. Sono la Lombarda, l’Emilia Romagna, il Veneto e il Piemonte per un totale di 100 miliardi di euro l’anno che vanno a Roma per mantenere tutte le altre Regioni e i lombardi contribuiscono per oltre il 50% a questo dare/avere per loro in perdita di circa 6 mila euro procapite ogni anno.
Per riassumere: la “grande battaglia d’autunno” lanciata da Maroni dovrebbe prima ottenere il via libera del Consiglio regionale, il che non è scontato, e poi approdare al Parlamento nazionale dove avrebbe una speranza su cento di essere approvata, anche se i lombardi dovessero essersi espressi al 90% a favore dello statuto speciale. A quel punto qualcuno potrebbe chiedere conto al governatore lombardo: “Scusa, Maroni, ma non ci avevi promesso la Lombardia a statuto speciale?”. E lui come risponderebbe? “Sì, io ho fatto il possibile, ma Roma non è d’accordo”. Più o meno la stessa risposta che ha dato qualche mese fa ai giornalisti che gli chiedevano che fine avesse fatto il progetto, con cui ha vinto le elezioni del 2013, di trattenere in Lombardia il 75% delle tasse: “Bisogna chiedere a Roma”. Grazie al c…, per sapere tutto questo non c’è bisogno di spendere 30 milioni di euro allo scopo di consultare i lombardi. Lo sappiamo già da oggi, anzi da sempre che, al di là del parere dei cittadini di Lombardia, Roma non ci sente e non ci sentirà mai su tale argomento.
La morale è che una iniziativa del genere rischia di essere solo fumo negli occhi e di esaurirsi in pura propaganda politica. Se una realtà territoriale vuole mutare il proprio rapporto con lo stato centralista non otterrà mai alcunché finché si presenta con il cappello in mano. Bensì deve ingaggiare un braccio di ferro con il centro per poter poi sedersi a negoziare per ottenere o la separazione o un rapporto basato su condizioni diverse. Il resto è solo “facite ammuina”ovvero fare il maggior rumore e confusione possibile senza la possibilità di cambiare nulla.
Un’analisi impeccabile.
Espatrio, prima soluzione, ma non per tutti.
Protesta fiscale massiccia, seconda soluzione.
Spranghe, mazze, bastoni, terza soluzione.
Astensione massiccia dal voto, quarta soluzione.
Io chiederei a Maroni : ” come pensi di riuscire nel tuo intento se sei costretto a operare entro limiti imposti da chi ti vuol tenere legato?”
Attendo riscontro.
La strada per la pensione è lastricata di finte consultazioni.