di GIANLUCA MARCHI
da Barcellona
Undici chilometri di due delle vie più importanti e grandi di Barcellona, la Diagonal e la Gran Via alle 17.14 di oggi sono state riempite all’inverosimile dal popolo catalano a formare la V della Diada per rivendicare il diritto di votare sull’indipendenza il prossimo 9 novembre. Quante persone? Gli organizzatori dell’Assemblea Nazionale Catalana, come ha ribadito la presidente Carmen Forcadell, non forniranno alcuna cifra: per loro parlano le immagini e il successo della giornata. E tuttavia una prima cifra, invece, l’ha fornita la polizia di Barcellona, parlando di 1 milione e 800 mila partecipanti, dunque è stato superato il milione e 600 mila partecipanti della catena umana dello scorso anno. Così qui alcuni media già parlano della più grande manifestazione di popolo mai avvenuta in Europa. Tenendo conto che i cittadini della Catalunya sono 7,5 milioni, tanto per fare un raffronto è che come se a Milano dovessero riunirsi 2,5/2,7 milioni di lombardi per qualsiasi rivendicazione. Impensabile. Più tardi è poi arrivata la stima del governo di Madrid, che parla al massimo di 520 mila persone. Insomma, la solita guerra di cifre, questa volta non tra organizzatori e forze dell’ordine, bensì fra istituzioni pubbliche.
La V della Diada perché i catalani (disposti diligentemente a righe rosse e gialle, come la loro bandiera) hanno formato questa enorme “V umana” affollando le due vie che convergono nella piazza de Glories, come si può vedere dalla foto che pubblichiamo, per appunto 11 chilometri. Tutto in forma pacifica (non c’è notizia di un solo incidente), civile, anzi festosa, con intere famiglie mobilitate in “camiseta” rossa o gialla, dai nonni ai genitori ai figli, sia quelli grandi che quelli piccolissimi. E tutti, rigorosamente tutti, con un evidente simbolo catalano addosso. Ma V sta anche per “Voto” il 9 novembre e pure per Via Catalana, la catena umana promossa lo scorso anno dall’Assemblea Nazionale Catalana, la piattaforma trasversale della società civile unità nella volontà di rivendicare il proprio diritto alla sovranità. E nella punta della V umana sono state sistemate, impilate fra loro, ben 947 urne simboliche, quanti sono i Comuni catalani, con due striscioni dal significato inequivocabile a completare la scena: 9-N voteremo, 9-N vinceremo.
Il popolo catalano, dunque, ha detto la sua in maniera forte e chiara: vuole andare a votare per il proprio futuro e non comprende come ci possano essere poteri costituiti che vogliano impedire questo diritto sacrosanto. D’altra parte non c’erano dubbi che la volontà della gente sarebbe stata urlata in maniera forte e chiara, anche se pacifica. Ma potrebbe non essere più così se il diritto al voto e alla libertà di decidere venisse negato dall'”architettura legale”, come l’ha definita stamattina il presidente della Generalit Artur Mas nell’incontro riservato alla stampa internazionale, al quale hanno partecipato decine e decine fra giornalisti e troupe televisive provenienti soprattutto dall’Europa, con una assenza evidente che vi lascio immaginare.
Mas ha ribadito davanti ai media stranieri di essere determinato a convocare il referendum per il 9 novembre, aggiungendo che tutto è pronto perché i passi necessari vengano compiuti. Il 19 settembre, cioè il giorno dopo il referendum scozzese, il Parlamento Catalano darà l’avvallo al decreto già varato dal governo. Di conseguenza si pensa che il presidente della Generalitat potrebbe indire la convocazione alle urne il 22 settembre. Dopo di che il governo di Madrid opporrà il proprio ricorso al Tribunal costitucional e metterà in campo, come annunciato dal premier Mariano Rajoy, tutte le misure pensare per bloccare la consultazione.
Il braccio di ferro fra Barcellona e Madrid è perciò pienamente in atto, anche se Mas, fidando nella grande prova di forza espressa dalla V della Diada, si è augurato che il governo nazionale possa prendere atto della volontà della Catalunya di decidere sul proprio futuro e, sempre davanti ai giornalisti stranieri, ha detto che “se la Scozia può decidere della propria indipendenza, non si capisce perché non lo possa fare anche la Catalunya”. Poi ha concluso con queste due considerazioni: “è praticamente impossibile impedire il voto dei catalani a tempo indefinito…” e “gli attuali rapporti fra Catalunya e Spagna possono essere risolti solo con una consultazione riconosciuta a livello internazionale”. Frasi, queste ultime, considerate un po’ sibilline dai critici dello stesso Mas, che continuano a pensare che lui sia propenso, nonostante le dichiarazioni ufficiali, a rinviare il referendum a tempi migliori.
Ma queste sono le schermaglie della politica, che diventeranno protagoniste nelle prossime settimane. Oggi, e per i giorni a venire, vale sopra ogni cosa il grido del popolo catalano, che era anche lo slogan del raduno odierno: “Ara ès l’hora”, ORA E’ L’ORA!!!
Non conosco bene la situazione catalana, ma per quella scozzese so che l’ingresso nel Regno Unito avvenne per il passaggio della corona scozzese al Re (Regina) d’Inghilterra.
Fondamentalmente organizzare un referendum significa avvallare lo status attuale e chiederne un cambiamento.
Così ha fatto diverse volte in passato il Quebec e così ha fatto di recente la Crimea.
Diverso il discorso se ci troviamo di fronte a Stati “artificiali”, le due entità costituenti la Cecoslovacchia m(stato mai esistito, popolo mai esistito, si sono riunite e di comune accordo hanno deciso come effettuare la separazione (non se farla o non farla…). Quando non c’è accordo, perché una parte del paese succhia risorse dalle parti più prospere e riempie l’apparato pubblico di propri cittadini, come faceva la Serbia nella Jugoslavia (altro Stato artificiale) ecco che nascono i problemi, minimi per la Slovenia, più grossi con la Croazia. Ma anche in questo caso non c’è stata una votazione: appena Croazia e Slovenia ne hanno avuto la possibilità hanno scelto l’indipendenza. Stesso discorso per le Repubbliche Baltiche, inglobate controvoglia nell’Unione Sovietica, appena ne hanno avuta la possibilità si sono distaccate “senza alcun voto”.
Questo ci insegna che per le popolazioni e gli Stati componenti la Padania, pensare di avere l’indipendenza con il voto significa solo avvallare l’illegale occupazione italiana. L’esperienza jugoslavia ci insegna che l’italia mai concederà l’indipendenza o il voto e se lo facesse avremmo brogli colossali (oppure voto concesso a chi non è padano, come gli immigrati italiani…). La presenza di popoli e Stati storici contrapposti ad uno Stato artificiale (l’italia) ci porta all’unica soluzione: dichiarazione unilaterale d’indipendenza.
Accidenti che nostalgia.
Queste immagini mi riportano ai tempi del 1996 quando il popolo padano si riunì a creare la catena umana sul Po.
Fino alle manifestazioni in Catalunya la più grande manifestazione di un popolo in Europa era stata la nostra del 1996. Eravamo più avanti perfino di loro.
E ora guarda come siamo messi.
Si è concluso meno di zero, a causa di alleanze e di errori uno dietro l’altro.
Invece di pensare a coltivare una cultura dell’indipendenza e a sviluppare la nostra identità completamente opposta a quella italiota si è pensato di più a prendere poltrone.
20 anni buttati nel cesso e molti passi indietro.
Quanto dobbiamo imparare dalla Catalunya, soprattutto dal punto di vista dell’identità.
Poi l’indipendenza diventerà una conseguenza logica.