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Abbiamo bisogno di un’altra stampa, di altri Social e di altri Media

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di PIETRO AGRIESTI

Sia l’amministrazione Trump che quella Biden hanno fatto pressione su Twitter – e una quantità di altri social e di altre aziende – perchè moderassero e censurassero secondo le linee guida ufficiali sul covid, considerando per esempio disinformazione il parere di esperti che dissentivano dalle indicazioni date.

Quindi non essere d‘accordo è stato equiparato a dare informazioni false, e su questa base il governo ha censurato il dissenso e il dibattito, attraverso queste aziende, senza alcuna resistenza e anzi spesso con entiusiasmo da parte loro, in una chiara violazione del Primo emendamento e dei principi fondamentali di una democrazia.

Questo è un esempio di come i governi collaborano con i social per combattere la disinformazione. Questo è quello che intendono quando parlano di combattere la disinformazione: sul covid, sul cambiamento climatico, sul razzismo, su qualsiasi cosa.

La stampa e i media, anche quelli italiani, al posto di difendere l’indipendenza dell’informazione e il suo ruolo di controllo critico verso il potere politico e statale, specialmente in un momento in cui i governi attivano una serie di poteri emergenziali straordinari, hanno accettato tutto questo, hanno fatto propria questa missione, e si sono messi a disposizione, con rare eccezioni.

L’unica conclusione che se ne deve trarre è che abbiamo bisogno di un’altra stampa, di altri social e di altri media, per poter avere un dibattito pubblico onesto, dove anche le voci critiche e il dissenso possano trovare spazio, e dove si possa dibattere idee, proposte e critiche senza manipolazioni e censure governative. Perché quelli che abbiamo attualmente, per un motivo o per l’altro, per interesse o per convinzione, poco importa, hanno completamente abdicato al loro ruolo di “fare la guardia” al potere politico. E questo fatto da solo vuol dire che le nostre democrazie sono attualmente ben poco democratiche.

Se non vogliamo che le cose peggiorino ulteriormente, dobbiamo rompere lo status quo – come ha fatto Elon Musk in America – e far entrare nel dibattito le idee, le voci, gli argomenti, i problemi, le questioni che mancano. Ma non è solo giusto, è anche un’opportunità imprenditoriale.

In Usa lo ha capito Musk che ha comprato Twitter, lo hanno capito Greenwald, che si è messo a fare un programma su Rumble, Bari Weiss che ha fondato “The free press” su Substack (da cui l’articolo sotto), e tanti altri, alcuni dei quali pare guadagnino un sacco di soldi. Il che è giusto e bello, perché anche l’informazione dovrebbe vivere sul mercato, cioè dell’apprezzamento che suscita e dei profitti che ne ricava, e non di contributi pubblici. Se no come fa a essere indipendente?

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1 COMMENT

  1. Abbiamo bisogno di un’altra informazione. Ma chi la finanzia? Musk lo ha capito, dove sono in Italia i suoi omologhi? Musk stesso capirà che per ragioni geopolitiche (e per il fatto di essere considerato territorio sperimentale) conviene per lui investire anche in Italia nel settore dell’informazione? Greenwald, Bari Weiss ed eventuali altri: se ci sono battano il fatidico colpo.

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