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Addio a Lorenzo Infantino, Maestro di Libertà!

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di PAOLO L. BERNARDINI

Con vivo dolore accolgo la notizia della morte di Lorenzo Infantino, avvenuta a Roma oggi, il 18 gennaio. Per utilizzare la ben nota immagine virgiliana, ebbene, i liberali classici, e soprattutto i liberali classici strutturati in ambito accademico, sono davvero “rari nantes in gurgite vasto”. Nuotano coraggiosamente soli, pochissimi, nel gorgo vasto, nel “maelström” di Edgar Allan Poe, fatto di socialismo, collettivismo, neo-marxismo, ambientalismo, wokismo, comunismo, centralismo, re-distribuzionismo, decrescitismo felice, e chi più ne ha, di cotale immonda materia – il demonio, suppongo – più ne metta.

Difficile sopravvivere, in tale melma. Poi si rischia di sopravvivere mutati e malati e impazziti, stravolti, precocemente invecchiati come il protagonista del ben noto racconto di Poe, l’unico superstite del naufragio. Non solo in Italia, occorre dire, non solo in Europa, sono così pochi, i liberali veri. Ma soprattutto in Italia, e soprattutto in Europa. Ove il liberalismo fa parte del DNA di una nazione, negli USA – “concepiti nella libertà” secondo la sempiterna lezione di Murray N. Rothbard – i liberali classici e i libertari sono un pochino di più, sia in ambito accademico, sia, soprattutto, al di fuori di esso.

Lorenzo Infantino invece non fu come il naufrago di Poe. È stato un Maestro lucido, attento, costante negli studi e nell’attività pubblica, fino all’ultimo. Lo rimpiangeremo, lo rimpiangeranno i suoi numerosi allievi, la comunità scientifica internazionale. Lascio ad altri, più competenti di me, una disamina scientifica del suo pensiero, della sua capacità – con la caparbia dei calabresi migliori, più tenaci, più intelligenti, e il mondo del sapere ne conta molti, non necessariamente semifolli, per quanto a loro modo geniali, come Tommaso Campanella, nativo di Stilo – di introdurre, tradurre e commentare, nel discorso italiano, i classici del pensiero liberale contemporaneo, insieme a suoi compagni di strada, altrettanto caparbi e costanti, come Raimondo Cubeddu, Dario Antiseri, pochi altri.

Una generazione estremamente meritoria. Meritoria perché il liberalismo classico sembrò eclissarsi, a lungo, dopo aver raggiunto in qualche modo un picco storico. Forse inutile, ma da ricordare. Infantino nacque a Gioia Tauro l’8 gennaio 1948. Da una settimana l’Italia aveva una Costituzione, in vigore, in cui qualche fuoco liberale pure è presente. Ma non troppo vivace, purtroppo. De Nicola – figura, meridionale anch’egli, da riscoprire, proprio nella sua dose di liberalismo ottocentesco, e in fondo perché rifiutò, tra l’altro, ogni indennità da Presidente della Repubblica, cosa non scontata, mostrando sempre umiltà e riserbo in ogni sua condotta – avrebbe lasciato l’incarico a Luigi Einaudi. Che sarebbe diventato, il primo eletto per via parlamentare, Presidente il 12 maggio 1948. Per rimanere tale fino all’11 maggio 1955. Forse non il primo, ma certamente l’ultimo presidente liberale puro della Repubblica Italiana. Purtroppo, era solo il secondo.

Ho parlato di quando nacque. Una nota la merita anche il dove. Gioia Tauro, costa tirrenica della Calabria (il mare degli dèi è dall’altra parte, lo Ionio, si sa) tradizionalmente porto fondamentale per il Mediterraneo, tuttora tra i maggiori porti merci d’Italia. Credo ottavo nel Mediterraneo. Piana splendida e fertile d’intorno. Che soffre di devastazioni ambientali di stato da un secolo almeno. L’ultimo – di tantissimi – nel sito dell’ex- mattatoio comunale (denunciato dal sindaco nel 2023). Ma occorre andare molto indietro. La tragedia – anche e soprattutto per i contribuenti – del progetto siderurgico nella piana è oramai storia. Il “quinto centro” siderurgico italiano, nato come risposta, dal governo Colombo, orribilmente mal concepita, alla rivolta di Reggio Calabria del 1970. Un aborto di Stato. Tra i tanti. Comincia l’impresa mala nel 1979. Si doveva compensare, tra l’altro, Reggio, per la perdita della posizione di capoluogo di regione (a favore di Catanzaro), avvenuta proprio nel 1970. Povero Sud, oggetto di esperimenti mostruosi. Dal 1861, si intenda.

Lorenzo Infantino ci lascia dunque una carriera accademica limpida, esemplare, segnata tra l’altro dal lungo soggiorno a Oxford, al Linacre College. Uno dei più recenti della prestigiosa università britannica, fondato nel 1962, ma con un’impressionante lista di “alumni”, e di “fellows”.

In questo 2025 il suo primo libro come autore – ne aveva già curato alcuni, tra cui “Il mito del collettivismo”, uscito nel 1982 – compie 40 anni. Si tratta di “Dall’utopia al totalitarismo”, si occupa di Marx e dei modi sinistri in cui l’utopia apparentemente umanitaria di Marx si rovescia nel suo contrario, con grande attenzione all’idea di Dio e alla secolarizzazione sottesa a tutta la mostruosa filosofia del parassita tedesco. Il libro, del 1985, fu poi ripubblicato nel 2000 dal medesimo editore. Un testo ancora citato ora, e ampiamente, nel contesto della critica liberale al marxismo. Costante nella produzione scientifica, accademico eccellente, Infantino vide le sue opere circolare, e diffusamente, anche nell’ambiente anglosassone. Vale la pena di ricordare “Ignorance and Liberty”, forse la sua opera più originale, pubblicata Routledge nel 2003, e ripubblicata nel 2014, “Individualism in Modern Thought: from Adam Smith to Hayek”, una sintesi mirabile sulla nozione e sullo sviluppo del concetto di individualismo, uscito sempre da Routledge in prima edizione nel 1998, poi nel 2014; e “Unintended Consequences and The Social Sciences: An Intellectual History”, uscito da Elgar nel 2023, uno dei suoi ultimi libri. Grandiosa, sicura, costante, entusiastica,anche la sua attività di divulgazione, portata avanti con passione, si pensi agli oltre 140 interventi solo su “Radio Radicale”.

Vorrei allora concludere questo ricordo che scrivo forse troppo in fretta, con le lacrime agli occhi, con un passo, quello iniziale, da una sua intervista a Emanuele Raco pubblicata interamente su “Il Caffè online”.  Ecco qui: “Professore, quali rischi corrono oggi le libertà personali per effetto dell’incremento dell’invasività della presenza pubblica? I nemici della società aperta approfittano dell’emergenza”?

Ecco l’esemplare, attualissima risposta: “Come i grandi maestri del liberalismo ci hanno insegnato, il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza. Non possiamo distrarci nemmeno per un momento. C’è un’esemplare e nota pagina, in cui David Hume ci esorta a preferire le regole agli uomini. Quando per una qualunque emergenza le regole vengono allentate o addirittura messe da parte, la nostra vigilanza deve aumentare. Non tutti comprendono i vantaggi di cui ci rende beneficiari la società aperta. Molti s’illudono che la semplificazione prodotta dalla centralizzazione delle decisioni possa essere la permanente soluzione di ogni problema. E si rendono in tal modo disponibili alla propaganda di facili demagoghi. Gli impresari della menzogna hanno più volte, nel corso della storia, portato all’imbarbarimento di popoli che pur sembravano percorrere le vie della civiltà. Uno sguardo rivolto al Novecento e alle sue tragedie dovrebbe essere sufficiente a ricordarcelo”.

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