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Africa: quando la proprietà privata è dimenticata!

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di ANNA MAHJAR BARDUCCI*

Recentemente, si è ricominciato a parlare di continente africano, dopo il summit Italia-Africa, organizzato a Roma lo scorso gennaio. Al vertice, hanno partecipato i leader di vari Stati africani, fra cui anche noti dittatori, che hanno contribuito al declino economico delle loro popolazioni.

Mi chiedo pertanto se, un eventuale prossimo summit, non dovrebbe invece avere come protagonisti economisti e imprenditori africani, che in questi ultimi anni hanno finanziato think tank e centri di ricerca in Tanzania, Ghana e Uganda per offrire vere proposte per lo sviluppo del continente africano.

Uno dei maggiori problemi dell’Africa sub-sahariana è quello dell’assetto fondiario. Tradizionalmente, in questa zona, la terra è un bene comune, che veniva sfruttata attraverso il sistema dell’agricoltura itinerante. C’era uno “chef de terre” incaricato di assegnare a ciascun agricoltore un lotto di terra, che cambiava periodicamente fino a quando non fosse esaurita la fertilità naturale. Si ritornava poi sullo stesso lotto dopo circa venti anni, quando la fertilità si era rigenerata. Con l’aumento della popolazione, però, questo strumento è andato in crisi, il che ha portato a una degradazione sempre più accelerata del patrimonio naturale. La mancanza di una proprietà privata non ha infatti incoraggiato gli agricoltori ad apportare le migliorie fondiarie necessarie per sostenere un’agricoltura praticabile. Mancando la proprietà privata, nessuno ha un interesse diretto a investire in qualcosa che invece è patrimonio comune.

Mugabi John Socrates, fondatore ugandese del centro Action for Liberty and Economic Development, ha riassunto alla perfezione questa problematica, che è essenziale per lo sviluppo del continente africano. La proprietà privata – tanto invisa a Marxisti di ogni tendenza – è infatti un potente motore di miglioramento nonché di diritti (i governi dispotici hanno capito da tempo che se controllano la proprietà, allora possono controllare i media, i luoghi di culto, il processo politico stesso). Socrates ha scritto: “In Uganda le persone non riescono a dimostrare di possedere la terra su cui vivono, perdendo una preziosa fonte di ricchezza personale. Senza la possibilità di rivendicare la proprietà, le persone non sono in grado di partecipare ad alcuna rivalutazione del capitale della terra su cui vivono. Inoltre, non possono vendere la terra e trattenere i proventi, né possono ipotecarla per generare denaro per altre iniziative imprenditoriali che creerebbero crescita economica”.

Inoltre, come spiegava il noto economista del Ghana, George Ayittey (scomparso nel 2022), lo stato di diritto non esiste in molti paesi africani, dove gli stessi leader e i loro ministri si fanno beffe della legge, impadronendosi “arbitrariamente” e “impunemente” della proprietà privata dei propri cittadini. “Le persone non possono ottenere sollievo dal sistema giudiziario, perché la magistratura è solo un altro organo del governo cleptocratico… Saccheggi e sequestri illegali di proprietà da parte anche di soldati fuori controllo sono diventati dilaganti in gran parte dell’Africa, scoraggiando non solo gli investimenti esteri ma anche quelli nazionali”, aveva scritto l’economista ghaneano.

Sono pertanto voci come quella di Socrates, che trattano delle problematiche reali dei paesi africani, che vorremmo ascoltare in un prossimo vertice sullo sviluppo in Africa. Come scriveva Ayittey, l’Africa ha bisogno della “generazione dei cheetah”, ovvero quella dei giovani africani con spirito imprenditoriale, che vogliono prendere il futuro nelle proprie mani, e non della “generazione degli ippopotami”, rappresentata dai  leader e dai burocrati del continente, che vivono di sussidi, arricchendosi con gli aiuti internazionali, senza fare niente per cambiare lo stato delle cose.

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*Anna Mahjar-Barducci è una ricercatrice italo-marocchina, esperta di aiuti internazionali, che ha vissuto lunghi anni in Zimbabwe, Senegal, Gambia e Guinea-Conakry.

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