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Alba-langhe: in 30 anni da zona depressa a territorio prospero

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di GIANLUCA MARCHI

bovio 2Langhe, Roero e Monferrato sono stati recentissimamente elevati dall’Unesco a patrimonio mondiale dell’umanità, cinquantesimo sito italiano a raggiungere questo obiettivo, che fa della penisola il primo luogo al mondo per concentrazione. Ho concluso una vacanza-visita in questi luoghi quasi incantanti proprio due giorni prima che l’Unesco si pronunciasse definitivamente. E devo ammettere che la cosa mi ha fatto molto piacere, perché le sensazioni e le emozioni che mi sono state trasmesse in quel frangente difficilmente potranno essere dimenticate.

Innanzitutto il paesaggio: gli infiniti filari, nella pienezza verde del mese di giugno, hanno un ordine tale da conferire alle colline un fascino tutto particolare. E quando non sono viti, sono noccioli. La tranquillità e la pace che si respirano percorrendo le strade tortuose che salgono e ridiscendono questi colli hanno pochi eguali. Diciamo che uno resta estasiato e si sente in un altro mondo a un’ora e mezza da Milano e molto meno da Torino.

Ma non voglio dilungarmi nelle mie sensazioni, quanto parlare di una zona, di un territorio – un terroir per la precisione – che attraverso il recupero di se stesso ha fatto la propria fortuna. Lo scorso anno l’afflusso turistico nella zona di Alba è cresciuto a due cifre, oltre il 13%, nonostante nel resto di Italia sia stato caratterizzato solo da segni meno. E per quest’anno le previsioni sono altrettanto positive. Alba e le Langhe vivono una stagione prolungata di successi e una volta tanto non c’entra la Ferrero, che pure è il colosso mondiale da tutti conosciuto. Gli svizzeri, i tedeschi, i nordici, gli americani e persino i francesi (chi l’avrebbe mai detto!) arrivano qua soprattutto per il vino e per le cantine. E allo stesso tempo per assaporare una cucina magari fatta da un numero limitato di piatti, ma costruita su ingredienti sopraffini. E’ un turismo che viene definito di “passaggio”, basato su alcuni giorni di sosta in attesa di dirigersi altrove, ma che per migliaia e migliaia di stranieri si è trasformato in una tappa fissa. Tra settembre e novembre, poi, cioè nel periodo della vendemmia, dei tartufi e dei colori magici dell’autunno, l’afflusso è invece senza sosta.

san biagio 2Eppure solo 30 anni fa, a parte i colossi tipo Ferrero e Miroglio, e poche grandi cantine, le Langhe erano considerate una zona depressa, dalla quale si cercava di scappare. Gran parte dei piccoli proprietari dei vigneti o conferivano le uve alle grandi cantine oppure producevano vino cosiddetto del contadino, non certo di grandissima qualità stando ai parametri moderni. Poi è successo qualcosa che ha cambiato il senso della storia. E soprattutto dell’economia. Il titolare dell’Hotel Santamaria, nell’omonima frazione di La Morra, ci ha raccontato questa storia che ha dell’incredibile: “Fino a metà degli anni Ottanta i pochi stranieri che arrivavano ad Alba venivano per la Ferrero. Posso dirlo perché conducevo uno dei pochi alberghi della città. Poi un bel giorno cominciarono ad arrivare gli svizzeri, soprattutto dalla Svizzera tedesca, clienti abbastanza insoliti per noi. Chedavamo cosa li portasse in zona e con nostra grande sorpresa ci sentivamo rispondere: il vino. Ohibò cosa era successo? Si stenterà a crederlo ma era avvenuto questo: nel marzo del 1986 era scoppiato lo scandalo del vino al metanolo che, al di là dei danni provocati, ebbe un merito indiretto, cioè far sapere agli europei e non solo che le Langhe erano una zona di produzione di vino, al di là della solita Toscana. Da quel momento è cominciato un flusso di turisti interessati al vino che è andato via via sempre crescendo e che ha spinto i piccoli produttori a migliorarsi, a modernizzarsi, a mutuare dai francesi il meglio della lavorazione vinicola – perché è inutile girarci intorno, tutto nasce dai cugini -, fino a creare cantine che oggi sono dei veri gioielli, anche quelle molto piccole”.

Vero o romanzato che sia il racconto del nostro albergatore, resta un dato di fatto: da quel periodo a oggi le Langhe e il Roero si sono sono trasformate in un’area rigogliosa, dove ogni aspetto dell’enogastronomia è stato spinto verso l’eccellenza. Insomma, il territorio è stato riscoperto non sfruttandolo fino alla distruzione, ma esaltandolo in tutte le sue migliori potenzialità.

san biagioCiò ha significato e significa che anche i giovani sono tornati alla loro terra, per fare un lavoro pieno di fascino e per fare business. Ne ho avuto prova facendo visita a una piccola azienda vinicola di La Morra, la San Biagio, dal nome del bricco su cui sorge, sempre in frazione Santa Maria. Piccola azienda, dicevo, che produce 60mila bottiglie l’anno circa, giunta alla terza generazione. Il proprietario, Giovanni Roggero (nella foto con la famiglia), grazie alla profonda conoscenza dei migliori cru della zona, ha via via acquistato importanti vigneti, fino ad arrivare agli attuali 18 ettari. Lui rappresenta la seconda generazione, ma i suoi tre figli, tutti laureati, dopo aver lavorato in grandi cantine della zona tipo Fontanafredda, hanno deciso all’unisono di tornare a casa e di prendersi cura dell’azienda paterna. Con la passione, lo studio e l’applicazione oggi producono vini rossi che ottengono riconoscimenti in tutte le manifestazioni a cui partecipano. Vendono in ogni parte del mondo e non si fermano nonostante i balzelli e gli ostacoli creati dallo stato e dalla burocrazia italici. E di sicuro trasmetteranno questo spirito indomito ai loro giovani rampolli.

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