di MATTEO CORSINI
I principali esponenti della scuola austriaca di economia fornirono ormai cent’anni fa contributi determinanti per demolire il socialismo. Si pensi, per esempio, alla dimostrazione dell’impossibilità di calcolo economico in un sistema integralmente socialista elaborata da Ludwig von Mises, o ai contributi di Friedrich von Hayek in merito alla diffusione della conoscenza tra una moltitudine di soggetti partecipanti al mercato che necessariamente manca se le decisioni sono centralizzate in capo a pochi individui, con ripercussioni sulla formazione dei prezzi e sul loro valore segnaletico su domanda e offerta.
A mio parere, però, l’argomento più convincente a difesa del libero mercato resta sempre quello basato sul rispetto del principio di non aggressione. In un sistema basato sul rispetto del principio di non aggressione le interazioni e gli scambi sono necessariamente azioni volontarie, quindi gli esiti sfavorevoli per Tizio non sono attribuibili a una compressione di un suo diritto da parte di altri.
Al contrario, ogni intervento statale viola tale principio, limitando e vincolando sia le scelte dei consumatori, sia quelle delle imprese. A ciò si aggiungono poi le controindicazioni sopra richiamate in merito ai limiti della pianificazione centralizzata.
Purtroppo ogni giorno sono innumerevoli gli esempi degli effetti deleteri dell’interventismo e delle conseguenze non sempre intenzionali dello stesso. Si pensi alla inesauribile legislazione europea che vuole imporre la transizione ecologica secondo la visione del talebanesimo ambientalista.
I pianificatori hanno imposto tempi e modi di transizione basandosi su informazioni necessariamente parziali (e di parte), e le conseguenze iniziano già a essere evidenti. L’elettrificazione di massa e a tappe forzate dei veicoli aveva fin dall’inizio controindicazioni sia in merito alla libertà di scelta di imprese e consumatori, sia relativamente alla fattibilità economica.
Si finisce per avere automobili mediamente troppo costose per il consumatore medio, oltre a un chiaro problema di dipendenza nel reperimento delle materie prime per costruire le batterie. Tutte cose che i talebani che hanno preso queste decisioni hanno ignorato, e poco importa se per incompetenza o pur essendo consapevoli delle conseguenze.
Fatto sta che è la stessa Corte dei conti Ue a rilevare la “
incertezza relativa alla sicurezza degli approvvigionamenti delle materie prime necessarie“. Ma che vi fosse in materia una posizione dominante cinese era noto anche anni fa.
Il rischio, quindi, è di non centrare l’obiettivo del 2035 o di farlo “per lo più grazie a batterie o veicoli elettrici importati, a discapito della catena del valore delle batterie europea e dei relativi posti di lavoro“. Il tutto per arrivare a evidenziare “il rischio di una penuria di materie prime per batterie a partire dal 2030“.
Non che le cose vadano meglio in agricoltura, dove la battaglia contro i pesticidi la Commissione si limita a osservare che basterà portare la quota di coltivazioni biologiche al 25% del totale, e se anche questo non sarà sufficiente, bisognerà concentrare i tagli sui settori “non essenziali” alla sicurezza alimentare, come per esempio “il vino o i pomodori“.
Un atteggiamento alla Maria Antonietta, dato che i prodotti bio, avendo una resa inferiore, tendono a essere più costosi. Quindi delle due l’una: o diventano inaccessibili a una parte di consumatori, o non economicamente sostenibili per i produttori. Ora, l’obiettivo imposto per vere un sostanziale dimezzamento dell’uso dei pesticidi entro il 2030, il che è ritenuto irrealistico da diversi addetti ai lavori.
Ma irritante è anche la pretesa di stabilire quali produzioni siano “non essenziali”, dato che dovrebbero essere i consumatori a scegliere cosa sia per loro essenziale e cosa no. Questi sono solo alcuni esempi degli effetti deleteri della versione ecologica del socialismo europeo, che temo non cambierà (comunque non abbastanza) neppure in caso di diversa maggioranza dopo le elezioni europee del prossimo anno.