Nella interminabile vicenda di Alitalia, mi sono fatto l’idea che il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli stia facendo di tutto per sembrare perfino peggio del suo predecessore Giggino Di Maio. Dopo la nomina da parte del governo di un nuovo commissario e un ulteriore calcio avanti del barattolo di sei mesi, oltre al nuovo prestito ponte (che mai verrà restituito, al pari dei precedenti) di 400 milioni, Patuanelli ha affermato:
- “Alitalia rimane una risorsa e un asset importante per il nostro Paese, se non fossi convinto che ci sono ottime possibilità di rilanciarla ne avrei preso atto”. Aggiungendo poi che “un grande paese come il nostro può e deve avere una compagnia aerea di bandiera finalmente risanata”.
Purtroppo i fatti raccontano una realtà diversa. Alitalia è probabilmente un asset per chi da decenni usa i soldi altrui per mantenerla in vita, ma per il Paese è una liability, ossia una passività. E anche per il mercato, altrimenti non sarebbe tenuta in vita artificialmente da tanto tempo.
Per dirla con Nassim Taleb, chi non ha “skin in the game” non ha alcun incentivo a prendere atto della realtà, ossia che Alitalia è irrisanabile, quanto meno alle condizioni alle quali ci si è accaniti finora per tentare di rilanciarla. Alitalia così non può far altro che produrre fallimenti a catena.
Né è necessario avere una compagnia di bandiera. Anche in questo caso chi lo sostiene lo fa senza dover pagare di tasca propria il conto delle gestioni fallimentari. L’unica certezza, quindi, è che i pagatori di tasse continueranno a pagare il conto.
Alitalia è solo un esempio del modo con cui il governo persegue il “pubblico interesse”:Siamo alle solite.