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Alla bocconi non piace il bitcoin: meglio lo stato e la banca centrale

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bitcoin-mining-exchange-5di MATTEO CORSINI

“È ben probabile che, grazie al carattere open source e alla concorrenza di altre criptovalute, siano superati i problemi tecnici, di sicurezza e di scalabilità, di Bitcoin come sistema di pagamento. Ma i difetti in quanto sistema monetario non sono emendabili. La quantità limitata lo rende deflativo. Quanto questo sia un problema per le imprese produttive lo stiamo apprendendo: quando i prezzi diminuiscono, è più facile fare perdite che profitti. Ma il problema sarebbe ancor più grave se Bitcoin dovesse essere utilizzato per effettuare anche prestiti. Ripagare un debito denominato in un Bitcoin che continua ad aumentare di valore sarebbe sempre più pesante in termini reali. Lungi dal favorire un sistema più equo, Bitcoin, in quanto moneta scarsa, sbilancerebbe ancor più l’equilibrio in favore dei creditori”. Luca Fantacci, docente di storia economica all’Università Bocconi, mette in guardia rispetto a quelli che ritiene essere “difetti non emendabili” del Bitcoin in quanto moneta.

La moneta è un bene la cui funzione fondamentale consiste nell’essere mezzo di scambio accettato in contropartita di tutti gli altri beni e servizi. Le attuali monete, totalmente fiduciarie e la cui quantità è potenzialmente illimitata, devono ormai la “fiducia” per lo più alla consuetudine al loro utilizzo, ma non può certo dirsi che rappresentino un ordine spontaneo. Il passaggio dal rappresentare una certa quantità di metallo prezioso (tipicamente l’oro) all’essere totalmente prive di ancoraggio a un bene reale e scarso è stato imposto dagli Stati mediante coercizione.

Per chi la pensa come Fantacci questo passaggio forzoso è stato un bene, perché una moneta che non sia riproducibile in quantità potenzialmente illimitata tende ad avere un potere d’acquisto crescente nel tempo, a maggior ragione se, come nel caso del Bitcoin, la quantità non potrà mai superare un determinato limite. Una circostanza che “sbilancerebbe ancor più l’equilibrio in favore dei creditori”. Che adesso la bilancia penda dalla parte dei creditori non credo sia sostenibile con certezza; l’esperienza empirica dimostra, al contrario, che l’uso dell’inflazione ha storicamente penalizzato i creditori a vantaggio dei debitori.

Ogni transazione creditizia presuppone per il creditore l’assunzione di un rischio di insolvenza del debitore, oltre a quello di erosione del potere d’acquisto della somma data a prestito. In un mercato non distorto dalla politica monetaria, le oscillazioni del potere d’acquisto della moneta non sarebbero nulle, ma il rischio sarebbe quanto meno simmetrico per creditore e debitore. Se, poi, la quantità di moneta fosse fissa (o avesse un limite massimo a cui tendere) e ciò determinasse una prevedibile tendenza all’aumento del suo potere d’acquisto, nulla vieterebbe alle parti di stipulare contratti creditizi che ne tenessero conto. Non è tipico di un mercato libero avere perduranti sbilanci tra domanda e offerta; quella è semmai una conseguenza dei vincoli legislativi e regolamentari imposti all’interazione di domanda e offerta. Quindi non sarebbe la fine del mondo se si passasse da monete fiat tendenzialmente inflattive a monete non soggette a inflazione.

Ancor più errato è sostenere che i profitti si facciano in un contesto inflattivo e non in uno deflattivo. I profitti derivano dalla differenza tra ricavi e costi, quindi nulla vieta che tale differenza sia positiva anche in un contesto deflattivo. In diversi settori ciò è vero anche in un contesto moderatamente inflattivo, grazie ai forti aumenti di produttività dovuti alle innovazioni tecnologiche. I prezzi unitari di vendita diminuiscono, mentre non tutti i costi diminuiscono, ma, aumentando l’output a parità di input, i margini di profitto non diminuiscono (o addirittura aumentano).

Si potrebbe obiettare che nei settori maturi ciò non funzionerebbe. Di certo non in un contesto come quello attuale, dove non tutti i prezzi sono flessibili. Ma la rigidità dei prezzi non è un fatto ineluttabile e immodificabile. Spesso dipende da vincoli legislativi e regolamentari, non da vincoli contrattuali (che, peraltro, generalmente hanno delle scadenze e possono quindi essere rinegoziati). Ciò detto, nel caso in questione l’equità non si misura in base a chi ex post ha avuto benefici dall’andamento dei prezzi, bensì verificando che l’andamento dei prezzi non sia risultato distorto da interventi legislativi e regolamentari.

Fantacci tenta anche di replicare a una possibile obiezione dei “bitconiani”: I bitcoiniani ribattono, appellandosi alle dottrine di Von Hayek e alla sua idea della concorrenza monetaria: la creazione monetaria rappresenterebbe l’ultimo baluardo dell’intervento pubblico da sottrarre al monopolio delle Banche centrali per essere consegnato a un regime di competizione fra privati. In questa prospettiva, Bitcoin non ambisce a diventare la moneta unica globale, bensì soltanto una delle innumerevoli monete, pubbliche e private, cartacee e virtuali, in competizione fra loro. Ma è illusorio affidare al mercato la definizione della moneta migliore. Il mercato funziona bene quando è questione di scambiare beni e servizi. Lì vige la legge della domanda e dell’offerta: un aumento del prezzo segnala una scarsità e, al contempo, incentiva la produzione e scoraggia il consumo. Viceversa, in ambito monetario, la concorrenza funziona alla rovescia: quanto più una moneta si apprezza, tanto più aumenta la sua domanda, facendone aumentare ulteriormente il prezzo, e viceversa. Siamo sicuri di voler consegnare il sistema monetario e finanziario a una volatilità ancora più selvaggia?

A parte il fatto che la creazione monetaria non è affatto l’ultimo, bensì uno dei tanti baluardi dell’intervento pubblico, non si vede per quale motivo per la moneta non dovrebbe valere la legge della domanda e dell’offerta. In fin dei conti, in un ordine spontaneo la moneta diventa tale in quanto bene generalmente e volontariamente accettato come contropartita di tutti gli altri beni e servizi. Se si ritiene che non si possa lasciare a chi compra e vende beni e servizi la decisione di quale mezzo di scambio utilizzare, significa che si suppone che esista un soggetto (sia esso lo Stato o la banca centrale) in grado di sapere meglio di una moltitudine di individui quale sia il mezzo di scambio migliore per tutti.

A quel punto, perché lasciare a chi effettua gli scambi la possibilità di scegliere quali beni e servizi produrre e scambiare? In altri termini, se si ritiene di dover pianificare a livello centrale cosa deve essere la moneta, perché non pianificare tutto il resto?

In realtà, se si ritiene che il mercato possa funzionare per tutti gli altri beni e servizi non vi è motivo per diventare socialisti quando si tratta di moneta. Se un bene utilizzato come moneta perdesse la preferenza da parte di chi scambia beni e servizi, semplicemente in un libero mercato sarebbe sostituito da un altro bene. Al tempo stesso, se si è sostanzialmente socialisti in ambito monetario, prima o poi si tenderà a esserlo anche in altri ambiti o, quanto meno, si risulta meno credibili se si difende il libero mercato in altri ambiti. E’ quando c’è un monopolio, soprattutto se sancito a livello legislativo, che non ci sono alternative, tipiche della concorrenza. Se le monete fiat fossero davvero migliori, chi le sponsorizza non dovrebbe temere la concorrenza di altre monete. E invece la temono, e non poco.

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1 COMMENT

  1. Considerando che la Bocconi ha partorito quel gran “genio” dell’economia che risponde al nome di Mario Monti, se la Bocconi parla male del bitcoin allora vuol dire che il bitcoin va benissimo per la popolazione.

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