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Amici veneti, l’indipendentismo fai da te e rissoso e’ senza sbocco

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di GILBERTO ONETO

rissa venetiPer anni una bella fetta dei vertici leghisti si è data un gran da fare per sputtanare ogni progetto federalista e indipendentista, e per svillaneggiare l’idea stessa di Padania. E c’è riuscita.

Le reazioni allo stomachevole spettacolo sono state di vario genere, dentro e fuori dal partito. Quel che è successo dentro lo sappiamo. Fuori c’è chi si è allontanato schifato da tutto, chi ha correttamente accusato la dirigenza di “corruzione di idee”, ma c’è anche chi ha associato la pessima gestione del progetto alla qualità dello stesso. Non era, per costoro, una certa Lega che sputtanava l’idea di Padania, ma era l’idea di Padania che induceva a certi sbrodolamenti culturali, politici e morali. Smessa la camicia verde, taluni hanno profuso troppo impegno nello svillaneggiare l’idea di indipendentismo padano (c’è anche qualche mesto passerino che storpia il nome in Padagna, rincorrendo l’eleganza del lessico bossiano…) negandone l’efficacia e rifugiandosi in passioni sempre più micronazionalistiche, a scala regionale o addirittura inseguendo sogni di secessioni di valle, sulla base della territorialità dei battaglioni alpini. Molti si sono rifugiati in progetti geopolitici meno impegnativi criticando – cosa del tutto legittima, se argomentata e inquadrata in un disegno strategico complessivo  – l’impiego della dimensione padana, ma troppi si sono messi a dedicare il loro impegno a combattere la padanità ancor più dell’italianità, con effetti grotteschi e qualche volta ignobili. Una larga fetta dei  nuovi virilissimi antipadanisti ha avuto in passato dalla Lega (e cioè dal progetto Padania) cariche, onori, visibilità e prebende. Per troppi di loro la via di Damasco micronazionalista ha coinciso con la fine del mandato o la mancata ricandidatura.

Il fenomeno è piuttosto esuberante in Veneto: i piemontesisti sonnecchiano e i lombardisti pagano l’indeterminatezza del loro progetto e l’inevitabile confusione fra la Lombardia storica (e identitaria) e quella burocratico-istituzionale della manopola del rubinetto camuno. I venetisti si agitano e mostrano una invidiabile vitalità che è però guastata da un po’ di cose: l’eccesso di acrimonia nei  confronti della Lega e il timore di uno strampalato lombardocentrismo  che esiste solo nei loro incubi; la confusione programmatica; il settarismo virulento che  scompone le loro fila in particelle sempre più minuscole; la pasticciata e forzatissima sovrapposizione identitaria fra Serenissima e Veneto; il cattivo uso di elementi culturali qualificanti (il dibattito sul referendum indipendentista in Consiglio regionale si è tenuto scrupolosamente in italiano, a volte in pessimo italiano…); la poco entusiasmante qualità intellettuale e morale di troppi capataz venetisti: sono spesso peggio dei vituperatissimi leghisti. Tutti gli indipendentisti (questa testata ne è testimone) hanno sinceramente tifato (e ancora lo fanno) per l’indipendenza del Veneto per almeno tre buone ragioni: 1) l’affermazione del principio di autodeterminazione; 2) la definizione di un prezioso precedente; 3) il comune vantaggio che deriva dall’indebolimento del nemico italiano.

Oggi il venetismo si dibatte fra scissioni, polemiche, voti elettronici falsi e quattrini veri, annaspa in un brodo culturale rudimentale da cui emergono riferimenti storici da figurine Liebig, citazioni paflagonico-etiliche e gli spigoli di qualche tanko. Ampolle, corna celtiche e gioielli in Tanzania non erano poi tanto peggio. Nel complesso, lo spettacolo è quello di una rissa da saloon in assenza di sistematici controlli col palloncino.

Serve un bel arimortis, serve che i fratelli veneti che sono davvero indipendentisti e hanno del sale in zucca si fermino un attimo a riconsiderare seriamente tutta la vicenda. Serve che si riprenda un serio cammino istituzionale utilizzando la Regione, serve che si faccia ordine nei riferimenti identitari, che si scelgano persone più responsabili e presentabili di certi professori isterici e avvocati bombardini, serve soprattutto che si riconsiderino i progetti di battaglia comune contro Roma. La Padania che i padanisti dabbene vogliono non è un Italia più piccola ma il contrario dell’Italia, una libera aggregazione di popoli liberi che uniscono le loro forze per ottenere la libertà e per mantenerla. L’antipadanismo d’accatto porta solo male, l’indipendentismo “fai da te” è senza sbocco. È pur vero che ogni situazione locale è diversa, ma è inevitabile unirsi per squagliarsela dalla stessa prigione tutti assieme: serve un’evasione di massa, non tanti piccoli abati Faria rancorosi che si scavano il proprio tunnel e sabotano quello degli altri. Come diceva Miglio,  solo la Padania tutta assieme può battere Roma. Il resto sono chiacchiere da bar, rodomontate, un “tu vò fà ‘l catalano” senza avere capito come funziona…

 

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3 COMMENTS

  1. Oneto ha ragione, e non può che trovarmi d’accordo.Tuttavia, non è una idea da poco il cammino istituzionale utilizzando la regione, ma tale cammino non può che nascere dalle comunità locali. Il motivo è presto detto : solo valorizzando le comunità comunali, si potranno evitare quelle diaspore, che Gilberto Oneto ha ben descritto qui sopra. Purtroppo, chi pensa alle regionali per la sedia, non pensa a costruire un vero percorso regionale.Solo un agente esterno può modificare un assetto interno, e i comuni, quelli rappresentati da gente normale e non dai partiti, sono gli unici a poter imporre al presidente della regione Veneto un referendum.Imporre,e non subire, perchè lo prevede lo Statuto Veneto approvato dalle due Camere italiane. Altre vie, come quelle istituzionali regionali votate, sono solo pane per i denti del sistema di potere che vive di burocrazia.In sostanza, i veneti hanno bisogno di una vera casa e di un focolare capace di riunirli tutti.

  2. Concordo in pieno e per dare un’idea di come si comportano certi venetisti faccio presente la reazione dell’avv. morosin su canale 5 la sera del referendum della Scozia. La prima cosa che ha detto quando gli hanno dato la parola è stato che con l’indipendenza del veneto sarebbe scomparsa la …. la repubblica italiana???? NO, la Lega!!!!!!!!!!!!!! Sei su canale 5, ti vedono in tutta italia, c’è la scozia che forse se ne va e dà un precedente fantastico a tutti e la tua prima parola è spesa per dire che sparisce la Lega?????????? Ma chissenfrega della Lega!!!!!!!!!!!! Ma io sono indipendentista perchè non sopporto l’italia!!!!!!!!
    Morosin è stato consigliere regionale in veneto fino al 1998.

    Oneto come sempre è un passo avanti e gli altri ad inseguire, almeno quelli che hanno 2 dita di cervello.

  3. Ottimo articolo. Sono piemontese, ogni qui tanto mi tocca pure beccarmi pure degli insulti da qualche mente “fragile”.
    L’unione fa la forza, “divide et impera” è la strategia romana, da soli difficilmente si va da qualche parte, solo un progetto comune, “l’evasione di massa” come la chiama Oneto, può dare risultati.
    E se qualcuno, bontà sua, ancora dice che la Padania, i padani, non esistono, non esistono le lingue padane allora come ho già proposto, chiamiamo la nostra terra “Longobardia”, nel senso di eredi del Regno Longobardo “esistito”, eredi dei Longobardi noti in tutta europa come “, Lombard”, quindi un popolo, una terra noti e storici. Ma infine si tratta di un nome, per me possiamo anche chiamarlo “rabadan” (è l’ambaradan dei piemontesi), Thule, Oibrasil, l’importante non il nome ma la sostanza, l’importante non è il dito che indica ma quel che viene indicato….

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