di GIANFRANCESCO RUGGERI
I padani sono vittime di un grave e diffuso complesso di inferiorità, che non si limita agli aspetti linguistici, cui ho accennato in un precedente articolo, ma che investe ogni ambito della nostra società. È evidente che questo complesso di inferiorità è stato sapientemente e volutamente indotto dallo stato i-tagliano, con l’ovvia finalità di sminuire, denigrare e screditare qualunque peculiarità padana in grado di testimoniare una diversa cultura, una diversa storia, una diversa mentalità, in definitiva una differente identità.
Da un punto di vista linguistico è fin troppo facile dimostrare quanto appena detto, basti ricordare l’italianizzazione dei toponimi condotta con l’ignoranza tipica dei trogloditi, basti citare la delinquenziale distinzione tra “nobile lingua” e “rozzi dialetti” che non ha alcun fondamento linguistico, oppure basti pensare alla guerra senza quartiere che nelle scuole è stata condotta contro le nostre maderlèngue con un delirante corollario di terrorismo psicologico verso chi resisteva e continuava ad esprimersi in “dialetto”, cui venivano paventate sciagure di ogni tipo e genere. A questo proposito mi piace ricordare che mia nonna, Roncelli Elisabetta, classe 1912, in tutta la sua vita mi ha rivolto solo due parole in i-tagliano: “parla l’italiano… sedenò a scöla te fét i erùr!”
Non sempre però il complesso di inferiorità e l’azione di induzione italica è così evidente, ciò non toglie che questo complesso riguarda bene o male tutti gli aspetti della nostra vita.
Per lavoro mi occupo anche di paesaggio e pur non essendo un progettista famoso, anzi, credo di avere l’occhio un po’ più allenato rispetto al padano medio, così che certe italiche “stranezze” mi balzano all’occhio con facilità. Per capire di cosa parlo vi basta prendere il traghetto e sbarcare a Montisola, la stupenda isola lacustre che si trova nel bel mezzo del lago di Iseo, anche detto lago di Lovere se siete bergamaschi. Sbarcati a Peschiera Maraglio vi consiglio di rivolgere lo sguardo al versante boschivo posto alle spalle del borgo dove noterete un ampio nucleo di cipressi che con le loro punte svettano nel bel mezzo di un tipico bosco di latifoglie: sia chiaro, non parlo di un viale di cipressi, parlo di una porzione di bosco realizzata con cipressi (foto qui a lato).
La stessa situazione si nota ancor più facilmente se si visita il bel monastero di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo, ai piedi del quale potete osservare le famose torbiere, mentre alle vostre spalle di nuovo trovate un versante montano rimboschito con cipressi (seconda foto qui a lato). Credo sia evidente anche al meno esperto di voi che quei cipressi sono del tutto fuori luogo e allora perché sono stati impiegati? Questi bizzarri rimboschimenti sono il lascito della convinzione un tempo condivisa anche in ambito botanico, che l’i-taglia fosse un paese mediterraneo da cima a fondo. Una malsana idea di mediterraneità diffusa e generalizzata ha fatto si che si preferisse il cipresso, pianta originaria della Grecia, alle piante tipiche del luogo.
Non è un caso isolato, alla vegetazione infatti è stato spesso demandato il compito di veicolare i deliranti messaggi dell’ideologica italica. Nel 1912 l’i-taglietta conquista la Libia e l’ubriacatura coloniale è tale e tanta che incominciano a piantar palme un po’ ovunque; a Bergamo, per esempio, vengono messe sul piazzale della stazione, nei giardini della Rocca, ad alberare la centralissima via Tasso (foto in bianco e nero): per fortuna non ne è rimasta più nemmeno una!
Nel 1922 il sottosegretario all’istruzione Dario Lupi propone che in tutti i comuni si realizzi un Parco delle Rimembranze per ricordare i caduti della prima guerra mondiale e già nel 1923 ci sono quasi 1.100 parchi. Porto ancora una volta ad esempio il caso della mia città, perché è illuminante, infatti il parco delle Rimembranze di Bergamo è realizzato con la messa a dimora di sole 4 specie, che vengono scelte, perché “alberi della romanità” come recitano i documenti dell’epoca: l’alloro, il corbezzolo, il pino marittimo e l’immancabile cipresso!
Oggi forse non si verificano più certi eccessi, l’ideologia ha lasciato il campo alla botanica e si è capito che i rimboschimenti di cipressi non hanno alcun senso in Padania, ciononostante anche in questo settore il complesso di inferiorità dei padani è tuttora manifesto. Non c’è villetta a schiera che non abbia il suo bell’ulivo modaiolo, non c’è facoltoso imprenditore che non spenda svariate migliaia di euro per farsi spedire dalla Puglia un vecchio ulivo contorto, persino certi dirigenti leghisti hanno il loro bel ulivo monumentale in giardino e non manca il sindaco leghista che tappezza il suo paese prealpino con i pini marittimi, mentre più nessuno ricorda ed utilizza i vecchi murù, i gelsi di un tempo, le roveri e i pioppi cipressini, cultivar selezionata in Padania e che per secoli ha segnato i nostri viali di campagna come spesso ricordato anche da Sebastiano Vassalli nei suoi romanzi. Non c’è collina o collinetta dove il viale che la risale non venga immancabilmente alberato con i cipressi, persino nei vigneti padani si vedono sempre più spesso spuntare dei cipressi in un impiastricciato e maldestro tentativo di imitar la Toscana, che è bellissima, ma è un’altra terra.
Non dovete neppure credere che la subdola azione italica volta ad alimentare questo complesso di inferiorità sia venuta meno, si muove solo in modi diversi, ma è tuttora all’opera, prova ne sia che tutti voi conoscete la grave malattia che di recente ha colpito gli ulivi pugliesi, ne è persino nato un caso internazionale, così come conoscete il pericoloso punteruolo rosso che attacca e uccide le palme, dato che persino una nota trasmissione comica ha dedicato numerosi servizi a questa tematica.
E allora? Vi chiederete dove sta il problema, vi chiederete se sono così cattivo e fanatico da voler la morte di palme e ulivi. Certo che no, vi voglio solo far notare che in questi anni ci sono stati analoghi problemi su altre piante decisamente meno mediterranee di cui voi non sapete nulla, perché nessuno ve ne ha parlato, perché nessuno si è strappato le vesti.
Infatti mentre vi tirano scemi con ulivi e palme, nessun mezzo di informazione italico ha trovato il tempo per parlarvi dei boschi e delle culture di castagno che sono state letteralmente distrutte dal Dryocosmus kuriphilus: se lo conoscete è perché andate a castagne e per qualche anno non ne avete trovate! Allo stesso modo nessuno vi ha raccontato che un po’ di anni fa gli ippocastani, specie ornamentale diffusa soprattutto al centro nord, hanno subito gravissimi attacchi di Cameraria horidella, con piante completamente defogliate già a giugno-luglio mettendo a rischio la sopravvivenza di interi viali. In questo caso non posso non notare che mentre il cipresso è l’albero della romanità, i viali alberati con ippocastani sono in taluni casi un lascito asburgico: sarò maligno ma credo che per certi italici sia un motivo in più per lasciarli deperire senza alcun clamore.
La mia famiglia è originaria di Castegnù, nella mia città c’è un bellissimo viale di ippocastani lungo 4 chilometri, che guarda caso si chiamava un tempo Strada Ferdinandea in onore di sua maestà Ferdinando I d’Austria, mentre oggi lo chiamano viale Roma e viale Vittorio Emanuele II. Basta questo per farvi capire come stanno le cose, per farvi capire perché a me stanno a cuore castagni e ippocastani, mentre di palme ed ulivi non me ne frega più di tanto, li lascio volentieri agli i-tagliani. E ricordatevi che alle volte anche scegliere un albero diventa un atto indipendentista.
Padania libera… anche dagli alberi della romanità, papparappapà!
E’ ridicolo il concetto di italianità come quello di padanietà, oggi non sono certo la cultura le origini ed il passato ad unire o dividere (o almeno non dovrebbero), ma gli interessi i bisogni e le aspettative di una specifica comunità.
Non dimentichiamoci che gli italiani quando vanno in vacanza vogliono la pasta tutti i giorni, il caffè, salvo poi lamentarsi che fa schifo (è ovvio la miscela, le macchine, la qualità delle pasta non può essere la stessa), manco ci provano a mangiare cibi locali a loro sconosciuti. Si lamentano se l’animazione del villaggio non è in italiano, se alla reception non capisco l’italiano (il loro ovvero il romanesco….).
Gli italiani credo che siano tra i più ignoranti in lingue straniere ed il loro inglese, per i pochi che lo parlano, è quasi incomprensibile ad un inglese linguamadre.
Detto questo è ovvio che gli italiani arrivati nell’ex gallia cisalpina si sono accorti con orrore che c’era gente con cultura, tradizione, lingue e cibi diversi. Si sono subito dati daffare con i risultati che ben conosciamo ed aiutati in questo dalla nostra sopportazione e speranza che tutto abbia fine.
Gli italiani sono quelli che nella Savoia occupata durante la seconda guerra mondiale chiamarono la sua capitale Sciamberì, proprio così, senza nessun senso del ridicolo. Tralasciamo le violenze toponomastiche fatte in Valdaosta, Piemonte e Sud tirolo, ma me li vedo gli italiani ad occupare il Tirolo e la Baviera e la Svizzera, ad abolire lo schihplatter ed imporre la tarantella, abolire i corni svizzeri ed imporre il mandolino, vietare lo jodel ed imporre la canzone napoletana, proibire la polenta ed imporre la pizza. Fa ridere? Pensate a come ci sfottono per la polenta e alle pizzerie sorte ovunque, per il resto basta guardarsi intorno o accendere la tv….