“Con il Jobs act sarà più facile assumere, non licenziare. Eliminiamo il più possibile ricorso ai giudici. Verterà molto attorno all’indennizzo ma quelli che hanno già un contratto mantengono lo statuto del passato: questa normativa si applica ai nuovi ed è un elemento di certezza per loro. Per i nuovi, per i quali già avere un contratto a tempo indeterminato sembra una chimera, il sistema sarà più semplice e flessibile”.
Quando leggo queste affermazioni di Matteo Renzi mi torna in mente un televenditore che aveva uno spazio la domenica mattina su una emittente locale del bolognese, il quale usava ripetere questo slogan: “All’albero della Cuccagna non si spende, ma si guadagna”. Per lo meno quel signore non governava l’Italia, né il fatto che un numero più o meno consistente di persone gli credessero aveva una qualche conseguenza fiscale sulla esistenza mia e di altri svariati milioni di concittadini. Per di più quel televenditore mi ispirava umana simpatia, al contrario di Renzi.
Se c’era una cosa che rendeva rigido il mercato del lavoro in Italia, anche dopo le misure volute dall’allora ministro Fornero, era proprio la difficoltà (spesso impossibilità) per il datore di lavoro di porre fine a un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Quelle misure tentarono di spingere le imprese verso un maggior ricorso al contratto a tempo indeterminato rendendo più onerosi quelli a termine, e già questo affrontava la questione dal lato sbagliato, dato che sarebbe stato meglio rendere meno oneroso il contratto a tempo indeterminato. Per di più lo spazio di discrezionalità lasciato al giudice del lavoro in caso di applicazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori rese di fatto inefficaci i tentativi di aumentare la flessibilità in uscita.
Il punto, quindi, resta questo: le imprese non hanno mai avuto difficoltà ad assumere, bensì a licenziare. Lo sanno tutti. Quindi Renzi può usare il frasario da televenditore finché vuole, ma il Jobs act sarà efficace solo se aumenterà effettivamente la flessibilità in uscita.
Da questo punto di vista, il fatto che il nuovo contratto a tempo indeterminato si applichi solo alle nuove assunzioni perpetua la segmentazione del lavoro dipendente in Italia, tra chi è già assunto a tempo indeterminato e chi non lo è. Il tutto, ancora una volta, a discapito dei più giovani.
Ma l’Italia, si sa, non è un paese per giovani, anche se governa un quarantenne.