“L’1% più ricco della popolazione italiana detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta, il triplo rispetto al 40% più povero, che detiene solo il 4,9%. Per questo noi comunisti chiediamo che si faccia subito una tassa sulle grandi ricchezze al di sopra del milione di euro e che con quelle risorse si faccia immediatamente un Reddito Minimo per i disoccupati e si riducano le tasse a lavoratori dipendenti e pensionati. Occorre prendere 20 miliardi di euro dalle tasche dei ricchi e metterli nelle tasche di chi non arriva alla fine del mese”. La pubblicazione da parte dell’OCSE dei dati sulla distribuzione della ricchezza in Italia ha fornito a Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, un assist perfetto per rilanciare un evergreen dei comunisti: una patrimoniale con la quale finanziare l’istituzione di un reddito minimo.
Ferrero sostiene che occorre “prendere 20 miliardi di euro dalle tasche dei ricchi e metterli nelle tasche di chi non arriva alla fine del mese”. Una affermazione che fa fare a chi la pronuncia la figura del paladini dei poveri (o presunti tali) che in Italia, ma non solo, trova sostenitori tanto nei circoli comunisti quanto nella parrocchie.
Di fronte ad affermazioni del genere, però, è sempre bene chiedersi quale sia la colpa di chi ha una ricchezza elevata, e se sia sua la responsabilità della povertà di altri. Chiunque, infatti, potrebbe essere molto ricco perché ha rubato o violato in altro modo la proprietà altrui, oppure perché è un consumatore netto di tasse o di inflazione. Ma potrebbe anche esserlo semplicemente perché ha avuto successo nel fornire beni e servizi ad altri mediante scambi volontari.
A chi ruba deve essere imposto di restituire tutto il maltolto. Per i consumatori netti di tasse e inflazione occorre diminuire (tendenzialmente azzerare) l’intermediazione statale nell’economia e nella gestione della moneta, senza usare nuove tasse per correggere l’effetto di altre forme di tassazione. Ma dare ulteriori mazzolate fiscali a chi è ricco in virtù del successo nel fornire beni e servizi ad altri mediante scambi volontari sarebbe tanto ingiusto quanto economicamente controproducente.
Purtroppo capita spesso chi si oppone a provvedimenti come quelli proposti da Ferrero si concentri sugli aspetti economico-quantitativi, ma così facendo finisce paradossalmente per appoggiare il principio (socialista) sottostante tali provvedimenti. Per esempio, ritenere accettabile una patrimoniale da 20 milioni anziché da 20 miliardi, avalla l’idea che sia bene introdurre un’imposta (patrimoniale) per finanziare una misura di welfare state. In sostanza, si accetta la concezione di equità e giustizia tipica dei redistributori. Ma se è giusto finanziare quella misura con una patrimoniale di 20 milioni, dovrebbe esserlo a maggior ragione con una patrimoniale da 20 miliardi, perché si sosterrebbero molte più persone.
Viceversa, se è ingiusto (ed è ingiusto!) violare la proprietà altrui, nessuna imposta è giustificabile. Su questo credo dovrebbero riflettere molti liberali (o presunti tali) che preferiscono parlare di tasse sopportabili invece che di tasse da eliminare.
Hasta la miseria, siempre!