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Armenia, tra deportazione e stermino: tutto in un libro di un testimone

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Nel centenario del genocidio armeno, Libri Liberi, un piccolo editore di Firenze, pubblica una testimonianza dolorosa e tragica: la storia vera di Michel Mikaelian (1901-1984) che da adolescente visse la deportazione e lo sterminio della famiglia e dell’intero suo popolo. “Haigaz chiamava: Mikael… Mikael…” (100 pagine, a cura di Alessandro Litta Modignani, postfazione di David Meghnagi) racconta di un ragazzo innocente e laborioso, che assiste sgomento alle retate, alla scomparsa del padre, alle marce della morte nei deserti pietrosi e infuocati dell’Anatolia. Il piccolo Mikael è costretto a vedere gli stupri delle ragazze armene, i cadaveri in putrefazione sparsi ovunque, i suicidi della disperazione. Abbandona sotto un arbusto il corpo senza vita della madre, che fra poco sarà “il festino degli avvoltoi e dei topi” e arranca trascinando con sé, per mano o sulle spalle, il fratellino Haigaz di neanche due anni. Scampa miracolosamente alla grande mattanza della sua carovana, ma poi – apparentemente senza ragione alcuna – si allontana d’improvviso a passo svelto, mentre Haigaz lo rincorre invano, invocando ripetutamente il suo nome. Quel richiamo lo tormenterà per tutta la vita.

Mikaelian rimane “schiavo dei curdi” fino alla fine della guerra e alla liberazione, ma nel ‘22 il vento cambia ancora e l’armeno è nuovamente costretto a fuggire. Attraverso mille peripezie e pericoli, narrati con parole vivide, il giovane uomo attraversa il confine e raggiunge Aleppo, Beirut, la libertà. Rispettando la promessa fatta ai genitori, diverrà un rispettabile medico e fiero cittadino francese. Ma di Haigaz non si saprà più nulla.

Il racconto di Mikaelian, semplice e struggente, narra di fatti risaputi, eppure rinnova un dolore acuto e tormentoso. Il libro, oltre agli aspetti rievocativi, non è privo di richiami all’attualità e di spunti polemici. Nell’introduzione, Litta Modignani – esponente radicale per 40 anni – critica Emma Bonino per l’eccessiva accondiscendenza verso la Turchia odierna, e riprende nei confronti di Sergio Romano una polemica sviluppata sulle colonne del Corriere della Sera. Dal canto suo, Meghnagi propone un interessante collegamento fra genocidio armeno e questione ebraica, con un particolare riferimento al celebre romanzo di Franz Werfel “I 40 giorni del Mussa Dagh”, che non a caso fu messo al rogo dal nazismo. “Come scriverà Sholem all’amico Benjamin, un anno dopo l’ascesa al potere di Hitler, ogni riga pubblicata è una vittoria strappata alle potenze delle tenebre”.

L’AUTORE: Michel Mikaelian (1901-1984), scampato allo sterminio armeno del 1915, inizia la carriera medica in Etiopia, presso la “Compagnie du Chemin de Fer Franco-Ethiopien” ad Addis Abeba. Per due volte viene arruolato dalla Francia, il suo Paese d’adozione, e raggiunge – rispondendo alla chiamata del generale De Gaulle – le Forze Armate della Francia Libera. In seguito fu, per un ventennio, il responsabile medico del porto di Marsiglia.

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1 COMMENT

  1. Storie di infamie che sono sempre state commesse. Già nella Bibbia di alcuni popoli con i quali entrano in contatto, gli ebrei si curano di sterminarli, certo, ma era per esplicito ordine del Signore.
    Molto recentemente gli italiani in Istria e Dalmazia sono stati opera di pulizia etnica, ma non mi pare che alcuno, nè slavi, nè autorità italiane abbiano almeno chiesto scusa per l’atto o per in silenzio accondiscendente.
    Pulizia etnica c’è stata in Kosovo e chissà in quante parti ancora.
    Se un uomo vuole i beni di un altro, o la donna, li ruba, la violenta e poi subisce, si spera, la pena.
    Se sono in tanti a farlo, si parla di guerra, di pulizia etnica, … ed i misfatti rimangono impuniti.

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