di MATTEO CORSINI
Ci sono cose che Antonio Patuelli, presidente dell’ABI e già parlamentare liberale nella Prima repubblica, ripete in ogni intervento pubblico. Per esempio che servirebbero norme europee per regolamentare banche e mercati finanziari, da raccogliere in un testo unico.
A questo in tempi più recenti ha affiancato l’idea di avere anche una fiscalità livellata, perché “sono anacronistiche e pericolose le differenze fiscali fra stati membri della Ue ed ancor più dell’area Euro e dell’Unione bancaria, perché non garantiscono l’uguaglianza dei punti di partenza per le imprese e per la raccolta e l’allocazione del risparmio nella competizione del mercato unico dove il rischio di liquidità è rilevante”. Il tutto perché i Paesi meno indebitati “necessitano di minore pressione fiscale ed attirano investimenti e giovani culturalmente qualificati.”
Come ho osservato già diverse volte, tutto lascia supporre che l’armonizzazione avverrebbe verso l’alto. Posto che ogni manovra fiscale ha un effetto distorsivo e redistributivo, in realtà chi ha più spazio fiscale potrebbe comunque sfruttarlo, pur allineando le aliquote sui redditi delle società.
Quindi la soluzione sarebbe aumentare lo spazio fiscale di chi oggi è più indebitato, e l’unico modo per farlo consiste nel ridurre la spesa pubblica. Il problema è che, come osservò lucidamente Frederic Bastiat, tutti vivono nell’illusione di poter vivere alle spalle degli altri. Quindi le spese sono da tagliare, ma solo quelle che beneficiano altri.
Ergo, non va chiesta l’armonizzazione fiscale dal lato delle entrate, ma da quello delle uscite.