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Attaccano apple per giustificare una tassazione unica europea

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APPLE2di MATTEO CORSINI

Il caso della maxi multa da 13 miliardi che la Commissione europea ha affibbiato ad Apple, peraltro con la contrarietà del governo irlandese, continua a essere argomento dibattuto sui mezzi di informazione. Non credo debba stupire che in Italia prevalga l’orientamento di chi vorrebbe maggiore armonizzazione fiscale.

Per esempio, Massimo Riva su Repubblica porta avanti la tesi (non originale) che se si ha una moneta unica serve avere anche una tassazione unica sulle imprese. Sostiene Riva: “Si guardi ai nomi dei Paesi maggiormente coinvolti nelle intese di tax ruling. Si tratta sempre degli stessi Stati che, alcuni anni fa, hanno deciso di rinunciare alla propria sovranità monetaria in favore di una banconota comune. E lo hanno fatto non soltanto per ragioni ideali ma perché sospinti dalla necessità di porre fine al dumping valutario ovvero a quella pratica ricorrente delle svalutazioni competitive che rischiava di minare dalle fondamenta lo stesso mercato unico europeo. Scelta di grande valore storico, ma incompleta e manchevole sotto un altro aspetto essenziale.”

Pare di capire che, alla fine, l’Italia si trovi sempre a fare i conti con altri Paesi i cui governi decidono pensando ai propri interessi e non per ragioni ideali. Ma di cosa ci si deve stupire? Non solo i governanti non agiscono per ragioni ideali, ma ogni loro mossa è diretta al perseguimento dei propri interessi, neppure quelli del proprio Paese. Gli interessi di una fetta di elettori domestici sufficiente a restare al governo sono il mezzo, non il fine. E questo vale anche in Italia, ovviamente.

Prosegue Riva: Da che mondo è mondo, infatti, la signoria del Principe si sostanzia in due poteri – il battere moneta e il riscuotere le tasse – l’uno strettamente connesso all’altro. Ma nell’eurozona così non è: la moneta è uguale per tutti mentre il prelievo ordinario sulle attività d’impresa varia dal 34 per cento della Francia al 12,5 dell’Irlanda. Va bene, quindi, perseguire quegli accordi sottobanco che aggravano le disparità, ma ciò non deve far perdere di vista la grande foresta del dumping fiscale diffuso nella quale il cammino dell’euro rischia di perdersi.”

Posto che il Principe non dovrebbe né battere moneta, né tassare, non è affatto detto che il fisco debba essere uniforme. Ragionando allo stesso modo, ogni impresa che ha concorrenti con costi di produzione inferiori dovrebbe invocare un’armonizzazione, lamentando da parte loro una concorrenza sleale.

Secondo Riva: “La strada maestra è indicata dal percorso seguito per la creazione della moneta unica. Almeno per quanto riguarda la tassazione delle imprese, si tratta di concordare una sorta di serpentone fiscale con bande di oscillazione alla lunga convergenti verso un prelievo uniforme in tutti gli Stati.” E quale dovrebbe essere il prelievo uniforme? Chi lo dovrebbe stabilire? Suppongo che Riva non propenderebbe per un livellamento verso il basso, perché nulla vieterebbe a chi oggi ha una tassazione elevata di convergere verso il basso, ma ciò comporterebbe inevitabilmente la necessità di tagliare spesa pubblica, altrimenti ci sarebbe un’esplosione di deficit e debito.

Ciò detto, se tutta l’area euro convergesse verso una tassazione elevata, semplicemente perderebbe competitività nel suo insieme. Cosa che, bontà sua, non sfugge neppure a Riva: “È chiaro che un simile passo aprirebbe praterie alla concorrenza fiscale dei Paesi non aderenti alla moneta unica: occorreranno contromisure. Un’effettiva integrazione europea non può restare in balia di quei governi che vedono in Bruxelles solo una cassa per prelievi.”

Le “contromisure” non sarebbero altro che dazi, secondo il più classico (e sgangherato) schema protezionista. Che benefici avrebbero i cittadini europei? Suppongo che Riva risponderebbe che avrebbero un welfare state più ricco. E chi lo pagherebbe? Sempre i cittadini europei. Semplicemente avrebbero una (ulteriore) compressione di libertà, dovendo destinare meno risorse a ciò che vogliono essendo costretti a pagare, direttamente o indirettamente, più tasse.

Questi sono gli effetti dell’armonizzazione forzata.

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2 COMMENTS

  1. Negli Usa esistono tasse federali e poi tasse statali e locali.
    Ci sono stati in cui il trattamento fiscale è molto più favorevole per aziende e privati.
    Il che giustifica una migrazione fiscale interfederale.
    Mi pare che in unione europea si voglia fare i fenomeni, tentando di uniformare la fiscalità ovunque, senza differenza tra stati, e comunque con pesi crescenti.
    La patente dei cretini.
    Le aziende non devono rispondere agli elettori, ma ai soci.
    Quindi devono risparmiare per creare ricchezza, e di conseguenza risparmiano anche sugli oneri fiscali.
    Le aziende sceglieranno sempre di porre le loro radici dove il trattamento fiscale sarà più leggero.
    E se ne fotteranno delle risoluzioni della Ue, delle sentenze della corte europea, e degli inviti di tutte le altre entità burocratiche amministrative.
    Oggi sono in Irlanda.
    Domani , altrove.

  2. Premesso che ho considerato sempre l’Unione Europea un aborto di Stato, una scimmiottatura degli Stati Uniti e che la Padania starebbe meglio al di fuori, come la Svizzera, che dentro, come attualmente.
    Uno dei limiti che ho sempre trovato è la mancata armonizzazione fiscale. Mi spiego: nelle altre federazioni di Stati, le imposte sono le stesse, così le basi imponibili, i singoli Stati possono avere aliquote diverse sulle imposte sui redditi. L’assurdità di avere, per esempio, l’Iva al 22% in Italia, al 19,6% in Francia, al 19% in Germania non si è mai vista, tanto meno la normativa che porta alle dichiarazioni in dogana, per cui se vendi ad un privato usi l’aliquota nazionale, se vendi ad una impresa la medesima dovrà applicare l’Iva del suo paese, per non parlare della differenze di basi imponibili per la quale quello che è deducibile in Francia, in Italia non lo è pur avendo teoricamente aliquote simili ma con aggravio di pressione fiscale “celata” in Italia. L’armonizzazione avrebbe dovuto alla scomparsa di mostruosità come Irap, Studi di settore usati per fare cassa, balzelli locali su balzelli.
    Come dice l’autore dell’articolo l’armonizzazione in Europa porterebbe solo all’aumento delle aliquote per cui i paesi virtuosi con un sano bilancio statale dovrebbero in ogni caso imporre tasse gravose ai suoi cittadini per adeguarsi alle necessità di tassazione dei paesi peggiori (vd. Italia) con gli inevitabili dazi doganali perché non vi sarebbero danni concorrenziali. Vedo che purtroppo la tendenza è che invece che abbassare le tasse e gestire bene il pubblico si fa guerra agli Stati con aliquote basse definendoli paradisi fiscali, ostacolandoli, sanzionandoli.

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