Il 7 aprile, l’agenzia di stampa regionale Lombardia Notizie riportava una nota del Presidente Maroni, riguardante la non impugnativa, da parte del Consiglio dei Ministri di Roma, della legge lombarda n.3 del 2015. Quest’ultimo è il provvedimento, elaborato dai consiglieri del Movimento 5 Stelle ed approvato dall’Assemblea del Pirellone lo scorso 17 febbraio, che introduce il voto elettronico per il referendum consultivo. “Non impugnativa” significa che il Governo Renzi non solleverà eccezioni di incostituzionalità in merito a tale recentissima legge.
Maroni ha commentato con queste parole la scelta del Governo italiano:
“Finalmente da Roma arriva una buona notizia. Ora subito al lavoro per individuare il sistema più efficiente, più sicuro e meno costoso per portare i Lombardi a votare il referendum sull’autonomia, con l’obiettivo di fare della Lombardia una Regione a Statuto speciale“.
Questa dichiarazione è stata da alcuni interpretata come un via libera al referendum autonomista stesso. Altri, più prudentemente, si sono domandati se, per contro, la “legge” con cui il Consiglio Regionale ha approvato l’indizione della consultazione sull’autonomia rimanga, al momento, ancora impugnabile.
I termini per chiedere l’intervento della Corte Costituzionale sono fissati dall’art. 127 della Costituzione: dalla pubblicazione della legge regionale non devono passare più di sessanta giorni. Gli atti approvati dall’Assemblea del Pirellone, nella seduta di martedì 17 febbraio, sono stati pubblicati il successivo martedì 24, sui numeri 47 e 48 del Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia.
Quindi, stando al dettato costituzionale, mancherebbe ancora una decina di giorni abbondante per una possibile impugnazione governativa.
Ma di che atti stiamo parlando esattamente? Il 17 febbraio il Consiglio Regionale ha preso cinque deliberazioni consecutive, dalla numero 634 alla 638, collegate fra loro ma assai diverse nella propria rispettiva natura giuridica. La DCR (acronimo che sta per “Deliberazione del Consiglio Regionale”) 634 corrisponde alla vera e propria legge sul voto elettronico, che, in quanto tale, ha assunto una specifica numerazione nell’ordine dei provvedimenti di natura legislativa dell’anno 2015: è la legge 3.
Le DCR 635, 636 e 637 sono tre Ordini del Giorno presentati rispettivamente da Movimento 5 Stelle, Popolo delle Libertà e Lega Nord/Lista Maroni, in relazione al referendum autonomista. La DCR 638, infine, è la deliberazione contenente la proposta referendaria autonomista, inerente l’ormai famoso quesito sui maggiori poteri per la Regione Lombardia.
Dunque, la DCR 638 non è una legge regionale. In Lombardia, in altri termini, non ci troviamo di fronte ad una legge 15 o 16 alla veneta.
Ma che tipo di atto è, allora, questa “deliberazione”, apparentemente tanto generica quanto indefinita nella propria natura? Ed è ancora impugnabile dal Governo Renzi oppure no?
Per capirlo bisogna risalire alla legge regionale 34 del 1983, che contiene la normativa di riferimento per la materia referendaria. L’art. 25 di questa legge, che apre il Titolo III sui Referendum Consultivi, afferma ai commi 1, 2 e 5:
“Il Consiglio regionale, prima di procedere all’emanazione di provvedimenti di sua competenza, può deliberare l’indizione di referendum consultivi delle popolazioni interessate ai provvedimenti stessi” (comma 1)
“La deliberazione del Consiglio regionale che determina l’effettuazione del referendum consultivo deve indicare il quesito da rivolgere agli elettori, nonché l’ambito territoriale entro il quale viene indetto il referendum” (comma 2)
“Il Presidente della Giunta regionale indice, con proprio decreto, il referendum consultivo, in seguito alla trasmissione della deliberazione consiliare, di cui ai precedenti commi, da parte della presidenza del Consiglio regionale” (comma 5)
Come si vede, la DCR 638 è un atto politicante sostanziale e giuridicamente formale, di tipo propedeutico rispetto all’indizione vera e propria del referendum. In altri termini, se il Consiglio, dopo una valutazione che ha natura politica, ritiene di sottoporre una scelta ai cittadini, prima di emanare la relativa legge, può deliberare che venga indetto un referendum, demandando al Presidente regionale di procedere in tal senso con proprio apposito decreto.
Ci si potrebbe domandare, a questo punto, quale motivo abbia spinto il Consiglio regionale a voler sottoporre al voto referendario l’iniziativa per ottenere maggiore autonomia, invece di procedere subito con una legge ad hoc. Questo è un aspetto prettamente politico a cui dedicheremo magari un’altra analisi.
Adesso, dopo averne colta la precisa natura giuridica, è il momento di domandarsi se l’atto del Consiglio regionale sia ancora impugnabile da parte dello Stato italiano.
Una premessa: alla Corte Costituzionale il governo può ricorrere sia in via diretta, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, sia per conflitto di attribuzioni, ai sensi del successivo art. 134. La differenza principale tra queste due procedure riguarda proprio il tipo di atti impugnabili. Nel caso dell’art. 127 si parla di leggi regionali, mentre per il 134 la sfera di conflitto si amplia a tutti gli atti, anche amministrativi quindi e non soltanto legislativi, che invadano la competenza dello stato. In particolare la legge 87 del 1953 ha stabilito, all’art. 39, che
“Se la Regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato ovvero ad altra Regione, lo Stato o la Regione rispettivamente interessata possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento di competenza.
Del pari puo’ produrre ricorso alla Regione la cui sfera di competenza costituzionale sia invasa da un atto delle Stato.
Il termine per produrre ricorso e’ di sessanta giorni a decorrere dalla notificazione o pubblicazione ovvero dall’avvenuta conoscenza dell’atto impugnato.
Il ricorso e’ proposto per lo Stato dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegate e per la Regione dal Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa.
Il ricorso per regolamento di competenza deve indicare come sorge il conflitto di attribuzione e specificare l’atto dal quale sarebbe stata invasa la sfera di competenza, nonche’ le disposizioni della Costituzione e delle leggi costituzionali che si ritengono violate“.
A questo punto bisogna domandarsi se la DCR 638 possa essere impugnata in quanto tale, a prescindere dalla valutazione nel merito del provvedimento, su cui ci soffermeremo eventualmente in altra sede. In parole povere, una DCR di indizione di un referendum consultivo regionale rientra nella sfera degli atti impugnabili presso la Corte Costituzionale, da parte dello Stato, per conflitto di attribuzioni?
Confesso di non avere una risposta definitiva a tale quesito, dal momento che parliamo, peraltro, di una DCR di tipo propedeutico, come spiegato in precedenza, e quindi non di un atto avente forza a se stante. In altri termini, tale Deliberazione non convoca il referendum, fornendo una data precisa e avviando pertanto la macchina del voto. Tuttavia, prudentemente, bisogna ritenere che si tratti di un atto amministrativo la cui forza giuridica sia tale da non potersi sottrarre al sindacato di costituzionalità, qualora il Governo di Roma decida di agire in tal senso. Quindi, signore e signori, ci aspettano due settimane esatte di sospensione, di fatto, dell’efficacia della DCR 638. Fino alla mezzanotte del 25 aprile, infatti, il primo passo nel cammino dell’autogoverno lombardo potrebbe subire uno stop. Speriamo che ciò non accada e che, di conseguenza, la Festa della Liberazione 2015 assuma anche una sfumatura rosacamunista. Liberazione dal nazifascismo 70 anni fa, inizio di liberazione dal centralismo oggi. Avanti.
(ringrazio l’amica Carlotta Redi per la preziosissima collaborazione)