In un recente intervento al FMI, il presidente della BCE, Mario Draghi, provocato dalle critiche al quantitative easing (qe), ha risposto che la sua politica si è dimostrata più efficace del previsto (!), ma ha anche ammesso che «i bassi tassi di interesse inevitabilmente comportano qualche inefficienza nell’allocazione delle risorse». Qualche? Non si è accorto delle bolle che hanno creato nei mercati obbligazionari ed azionari? Non si è accorto che l’espansione dei bilanci delle banche centrali è perfettamente correlata a queste bolle? Non si è accorto dell’inflazione finanziaria e della deflazione nell’economia reale? Della volatilità, incertezza, distorsione dei mercati e del rischio sistemico che ne deriva? Introducendo tassi nominali negativi, Draghi notificava ai mercati: «D’ora in poi il debito vale più della liquidità immediata. Meno denaro contante in futuro vale di più del contante attuale». Soltanto lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie poteva essere l’autore di questo paradosso. E’ invece è stata la trovata di un banchiere per risanare l’economia europea. Come abbiamo più volte scritto, non si crea industria e lavoro con tali espedienti. A cosa è servito infatti tutto il denaro creato finora? A salvare temporaneamente il sistema finanziario europeo (ma a spese dei contribuenti), rinviando lo scoppio della bolla obbligazionaria e azionaria. Oggi le decisioni di investimento nei mercati globali sono prevalentemente orientate non a creare valore ma a evitarne la perdita. Probabili aumenti dei tassi provocherebbero un crollo epico del mercato del credito cioè della pietra angolare dell’edificio economico e finanziario. Da un credito efficiente dipende tutto: la nascita di nuove aziende, il mercato immobiliare, il consumo di beni durevoli, le pensioni e non ultimo la valuta stessa. Tuttavia per assolvere le sue funzioni, il credito deve rappresentare ricchezza autentica il che significa solvibilità del debitore. La solvibilità può essere garantita solo da solido collaterale. Ma la BCE con il qe ne sta facendo incetta aumentando l’insolvibilità sistemica.
Segni premonitori
La funzionalità del mercato del credito dipende dai titoli sovrani considerati, in teoria, l’attività finanziaria più sicura in assoluto a cui tutte le altre fanno riferimento nel valutare il rischio del credito. Ora, dieci giorni fa si è verificato un fatto eccezionale: la vendita in blocco di titoli sovrani, tedeschi, spagnoli, italiani, irlandesi, statunitensi e giapponesi con una perdita di capitale di quasi 450 miliardi di dollari. Con la discesa del prezzo sono aumentati i rendimenti. Il fatto ancora più eccezionale è che il rendimento dei bund tedeschi a 10 anni che si era attestato da un decennio sotto lo 0.05 è salito a 0.75. Quando mai si è visto un rendimento aumentare 15 volte in poche ore? (nel momento in cui scriviamo è a 0.61): un incremento anomalo sopratutto per il mercato tedesco, il più sicuro. Quali sono i motivi che hanno indotto gli investitori a sbarazzarsene? Erano stufi di parcheggiare il denaro in titoli che non rendono? Hanno avuto il timore della ricaduta del default del debito greco sull’eurozona? Oppure è il segnale di un cambiamento di aspettative, da deflazioniste a inflazioniste a seguito dell’aumento del prezzo del petrolio e della flessione del dollaro? Se chi detiene titoli con rendimenti infimi o addirittura negativi (che invece di rendere addirittura costano) percepisce un trend inflazionistico, li scarica immediatamente. Se i tassi aumentassero occorrerebbe più denaro per pagare i debiti, si liquiderebbero attività per fare cassa e i loro prezzi crollerebbero svalutando il collaterale. Il sistema del credito imploderebbe in 24 ore. Il rialzo dei rendimenti segnala un trend o una correzione? E’ difficile stabilirlo quando è in gioco la dinamica inflazione/ deflazione che rende il mercato totalmente incerto. La vendita improvvisa dei bund si è anche associata ad un aumento della domanda di oro fisico: segno di aspettative inflazionistiche e di sfiducia nell’euro. Ma sopratutto della vulnerabilità dei titoli sovrani, cioè del mercato del credito. Le banche centrali sono il problema.
Le banche centrali possono fallire?
Il loro bilancio è pura finzione. Ad esempio, la Federal Reserve ha un capitale di $57.6 miliardi e un attivo di $4 cioè una leva finanziaria di 75 a 1. La BCE ha un capitale di €96 miliardi e un attivo di €2.9 trilioni cioè una leva di 40 a 1 e al completamento del QE supererà 50 a 1 (€1 di capitale per garantire €50 di debito). Basta una lieve flessione del valore dell’attivo per incenerire il capitale. Praticamente entrambe sono insolventi. Per capirci: quando nel 2008 Lehman Brothers è fallita, aveva una leva finanziaria di 30 a 1. E’ stata sufficiente una diminuzione del 3% per azzerarne il capitale. Nel caso della BCE basterebbe meno del 2%. Ma, si afferma, le banche centrali non possono fallire perché hanno il privilegio di aumentare a volontà l’attivo. Allora ricordiamo che nel 2008 la banca centrale islandese fallì e il governo riuscì a salvarla indebitandosi fino al 100% del PIL. Come potrebbero i governi europei salvare la BCE se sono quasi tutti in bancarotta? E’ un problema prospettico ma esiste. Ci spieghiamo. La moneta circolante posta al passivo del bilancio della BCE, è garantita all’attivo dai titoli sovrani il cui valore dipende dal tasso d’interesse manipolato dalla banca stessa. Ma se il mercato cominciasse a rifiutarli, sconfesserebbe l’attivo del bilancio e quindi anche il passivo rappresentato dalla valuta. La corona islandese ha perso in questo modo il 60% nei confronti dell’euro e del dollaro nel giro di qualche giorno. Supponiamo che il mercato si liberi di colpo dei 5 trilioni di titoli europei a tassi negativi. La BCE, per eliminare l’enorme pressione al rialzo sui tassi, dovrebbe acquistarli in massa, ma creerebbe nel bilancio una posta attiva che il mercato giudicherebbe poco attendibile. Pertanto anche la valuta perderebbe credibilità e il costo del debito in euro salirebbe a livelli elevatissimi. Il castello di carte finanziario crollerebbe trascinando la banca centrale. Un’analogia: Tizio ha preso in prestito 1000 da Caio e gli ha firmato una cambiale. Finché tutti hanno fiducia nella solvibilità di Tizio, la cambiale circola come valuta. Ma non appena la gente viene a sapere che Tizio ha problemi finanziari la cambiale perde valore all’istante e Caio il credito. Il fallimento di una banca centrale avviene nello stesso modo e si chiama «crisi valutaria» che, a sua volta, è conseguenza di un sistema irrevocabilmente compromesso.
Go on, and kick off the can.