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Banche, che differenza tra repubblica di venezia e quella italiana

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di ENZO TRENTIN

Per i cultori meno appassionati della storia veneta, di seguito offriamo alcune noterelle sull’origine della banca di tipo veneziano. La banca di trasferimento o di giro, offre la convenienza per i mercanti di effettuare pagamenti mediante trasferimenti di credito sui libri dei banchieri invece di usare denaro contante. Questa opportunità era tanto più apprezzata quanto più il sistema monetario era complicato o in via di deterioramento. Con migliaia di depositanti che trasferivano crediti gli uni agli altri, un banchiere pagava gli acquisti con accrediti sui suoi registri, è cosi allargava le proprie operazioni commerciali, confidando che i depositanti non avrebbero chiesto denaro contante ma si sarebbero limitati a trasferire crediti ad altri depositanti.

I vantaggi e i pericoli di questa situazione apparvero con particolare evidenza nella carriera di Alvise Pisani. Già prima dei trent’anni questi aveva cominciato a gestire nel 1499 la banca fondata dal padre un ventennio prima. Improvvisamente il fallimento della più antica delle quattro banche esistenti (il banco Garzoni seguito dal fallimento della banca Lippomano che conta 1248 clienti, 700 dei quali patrizi) provocò l’assalto dei clienti a tutte le alte. Una volta scossa la fiducia, i mercanti non si accontentavano di accettare pagamenti mediante scritture sui registri bancari, ma volevano denaro contante. Se il banchiere, come nel caso del Pisani, aveva spedito il denaro in Inghilterra per importare lana o panno, o se correva voce che egli avesse perduto molta mercanzia per il naufragio di qualche nave, egli rischiava di essere sorpreso con le casse vuote.

Ben presto quella del Pisani fu la sola grande banca rimasta aperta. Nella piazzetta di Rialto, intorno al tavolo dove Alvise sedeva col libro aperto davanti, pronto a registrare trasferimenti e ritiri, vi fu un affollarsi frenetico di depositanti. Descrivendo la scena, un contemporaneo racconta che il Pisani si accingeva a fare le registrazioni sul suo libro secondo il solito; ma erano tanti coloro che desideravano ritirare il denaro che la penna gli fu strappata di mano da chi voleva che gli fosse saldato il conto.

Vedendo tanta furia, il Pisani mise da parte la penna, e dichiarò che tutti i depositanti, dal primo all’ultimo, avrebbero avuto ciò che a loro spettava. Mandò quindi avviso a suo zio (membro del Consiglio dei Dieci), e i capi dei Dieci giunsero a Rialto con un banditore pubblico per ristabilire l’ordine e annunciare la costituzione di un fondo di garanzia di 100.000 ducati. Primi nella lista dei sottoscrittori furono i parenti del banchiere; poi si radunarono i loro amici per impegnarsi anch’essi come garanti, e dopo vennero gli amici degli amici, quasi tutto Rialto.

Quando gli stranieri videro questo (racconta Antonio Priuli) tutti, per guadagnare simpatie – catalani, spagnoli, marrani, fiorentini, pisani, milanesi, lucchesi, senesi, bolognesi, genovesi e romani, e di quanti altri popoli erano rappresentati a Rialto – assunsero impegni di garanzia. É il Priuli commenta: la riunione di tanti gentiluomini venuti a far da garanti per il bene e la salvezza di una banca sulla quale riposava in così larga misura l’onore e la reputazione di Venezia, fu lo spettacolo più bello che si vedesse da parecchi anni.

Nonostante il successo di quel giorno nel capovolgere la psicologia del mercato, la banca di Alvise Pisani affrontò un altro assalto l’anno seguente. Il Pisani allora accrebbe ulteriormente la sua buona reputazione arrivando vestito di scarlatto, accompagnato da un pubblico banditore il quale proclamò dai gradini del ponte di Rialto che tutti dovevano venire a ritirare il loro denaro perché Alvise liquidava; e in effetti il banchiere rimborsò tutti per intero. Di conseguenza, quando quattro anni più tardi, in un periodo di denaro facile, egli aprì una nuova banca, gli fu possibile concentrare nelle sue mani quasi tutta l’attività bancaria.

La ricchezza e le alte relazioni politiche della sua famiglia lo avevano salvato durante la stretta del 1499, e lo aiutarono ad ampliare le sue operazioni fra il 1504 e il 1526. Vincoli matrimoniali rafforzarono i suoi legami con i membri più ricchi e più potenti della nobiltà veneziana, e uno dei suoi figli diventò cardinale. Particolarmente festosa fu la celebrazione del matrimonio di sua figlia con il figlio dell’uomo più ricco di Venezia, Giorgio Corner, fratello della regina di Cipro. Alvise diventò, come dice Marin Sanudo, «una potenza della terra». Nelle elezioni dogali del 1521 si parlò di lui come di un possibile candidato; e in quelle del 1523 egli fu un sostenitore eminente del candidato riuscito vincitore, Andrea Gritti, una nipote del quale si era sposata poco prima con un suo figlio.

Alvise Pisani non andò immune dai vituperi di cui spesso erano fatti oggetto i politici-banchieri. Dopo una festa particolarmente allegra certi giovani nobili scribacchiarono sotto il portico di Rialto insulti a tutti i banchieri che avevano colà le loro tavole. Le scritte furono rapidamente cancellate, ma il Sanudo riuscì a sapere quello che dicevano. Un banchiere era preso di mira per la cortigiana da lui mantenuta. Un altro per essere nelle mani di Anselmo, un ricco ebreo. Di Alvise Pisani era scritto: «Alvise Pisani rebelazzo [ribelle, traditore], sotto sto doge tu venderà il Palazzo». Ma le sue buone fortune durarono fino alla morte, che lo colse nella carica onorifica e ricca di responsabilità di Provveditore, mentre prestava servizio presso l’esercito franco-veneziano che fu decimato dal tifo nel 1528 durante l’assedio di Napoli. Alvise Pisani visse prima che la valuta cartacea rendesse cosa abituale finanziare le guerre con l’inflazione monetaria. La sua importanza nella storia della banca consiste nella misura in cui egli permise a Venezia di finanziarle con l’inflazione del credito bancario.

Tutt’altra storia ci propone l’attuale sgangherata Repubblica Italiana.

L’ennesima inefficienza statale (eufemismo) ha impoverito, oltre al territorio e al suo tessuto produttivo, circa 207mila azionisti veneti di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Le banche popolari, erano nate in Germania a opera dell’economista e uomo politico Franz Hermann Schulze-Delitzsch (1808-1883), compaiono in Italia per opera dell’economista e politico Luigi Luzzatti [ebreo veneziano] che con la pubblicazione nel 1863 dell’opera “La diffusione del credito e le banche popolari“, è stato il fondatore prima della Banca Popolare di Lodi e successivamente anche della Banca Popolare di Milano, dando impulso all’inaugurazione e diffusione di molte altre omologhe nei decenni successivi.

La Banca Popolare di Vicenza, venne fondata nell’omonimo capoluogo nel 1866. È la prima banca popolare in Veneto. Negli anni 2000 BPVi, attraverso un’azione di sviluppo proseguita fino al 2007, acquisì altri istituti bancari, tra cui Banca Nuova, operativa in Sicilia, e la Cassa di Risparmio di Prato in Toscana. Il nucleo storico di Veneto Banca (diventata una società per azioni nel 2015) è rappresentato dalla Banca Popolare di Montebelluna, fondata nel 1877. L’istituto nacque a supporto di un territorio privo di strutture industriali rilevanti e fortemente impoverito dalla massiccia emigrazione verso il continente americano. Sorse in base ai principi, che allora andavano diffondendosi in fatto di cooperativismo creditizio e di “amicizia di capitale e lavoro”.

Le due popolari in questione soccombono per una serie di questioni che la recente cronaca ha sviluppato ampiamente e che qui riteniamo superfluo ripercorrere. Principalmente la causa risiede nelle operazioni baciate. Queste sono finanziamenti, offerti a tassi di interesse più vantaggiosi, erogati da una banca a un cliente a patto che questi acquisti azioni della banca stessa. La concessione di un finanziamento da parte di una banca in correlazione con l’acquisto di sue azioni sovrastimerebbe il capitale, dando ai terzi una visione di solidità che non corrisponde a quella reale. Qui è opportuno rilevare l’articolo 2358 c.c., ai sensi del quale “la società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti, né fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni”, salvo che tali operazioni non siano “preventivamente autorizzate dall’assemblea straordinaria” e nel rispetto delle condizioni previste dalla stessa norma.

Nella vicenda di queste “popolari” lo Stato al solito non ha brillato, attivando deroghe al codice civile. Le procedure di risoluzione delle banche penalizzano “per principio” i subordinati e gli azionisti. Così l’acquisizione delle banche venete da parte di Intesa Sanpaolo si è conclusa con un bel regalo agli azionisti di quest’ultima, che ha acquisto a 1 euro di BPVi e Veneto Banca. Parallelamente ai privati è stata preclusa qualsiasi operazione di acquisto.

Come spesso accade non ha brillato nemmeno la magistratura con il suo ritmo routinario. In ogni caso per chi volesse seguire la vicenda Bankileaks.com [VEDI QUI] è il nuovo sito specifico dedicato dal network «VicenzaPiù» alla pubblicazione di fatti e documenti altrove non reperibili o difficilmente rintracciabili.

Gli amministratori di queste “popolari” di fronte ai magistrati dichiarano di non saperne niente, o di non ricordare. Le testimonianze, comunque, svelano decenni di guida autoritaria. Un regime di controllo ”militare” in banca emerge per la prima volta durante il processo BPVi.

Sul Crac della Banca Popolare di Vicenza: a dover affrontare un processo, a partire dal prossimo 14 gennaio, sarà anche l’ex direttore generale e Ad Samuele Sorato, la cui posizione era stata separata a fine 2017 dal filone principale per ragioni di salute. Il dibattimento sarà l’occasione, per Sorato, di chiarire la sua posizione in merito alle vicende che hanno portato lo storico istituto di credito al dissesto. E sarà a tutti gli effetti un nuovo processo, sempre per i reati di aggiotaggio, falso in prospetto e ostacolo agli organismi di vigilanza. Impossibile, infatti, «inserire» Sorato nel processo principale – iniziato a dicembre 2018 e già in uno stato avanzato -, quello che vede sul banco degli imputati i vertici dell’istituto (a partire dall’ex presidente Gianni Zonin) e Bpvi Spa in liquidazione coatta amministrativa.

Insomma, una della tante pagine dell’Italia unita. E che si vuole una e indivisibile. Attraverso una banale comparazione di questo spicchio di storie patrie si possono rilevare le due “ere morali”. Da una parte si erge un’etica professionale, dall’altra la metamorfosi della costumanza.

Ai giorni nostri assistiamo anche alla coartazione di militari, scolaresche e sportivi impegnati in gare internazionali nel canto dell’inno nazionale. Un’idea fortemente voluta dal massone Carlo Azeglio Ciampi quand’era Presidente della repubblica. E c’è chi si chiede se si possono rimproverare quei veneti che sempre più numerosi, a fonte dell’inno nazionale che recita “…fratelli d’Italia”, prorompono nell’esclamazione: «Gnanca parenti!»

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