All’indomani del provvedimento governativo che ha mandato in liquidazione Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza mediante la creazione di una bad bank pubblica e la cessione di asset in bonis a Banca Intesa per il corrispettivo di un euro (oltre a garanzie verso l’acquirente), in tanti hanno cercato di difendere l’operato del governo. Tra costoro, Marco Onado sul Sole 24Ore. Su un punto credo sia bene fare chiarezza, a prescindere da cosa si pensi in merito alla vicenda (fermo restando che, a mio parere, l’operato delle autorità italiane ed europee è indifendibile).
Sostiene Onado: “La tormentata vicenda rivela almeno tre verità sgradevoli. La prima è che la procedura europea, oltre che essere complicata dall’operare congiunto di autorità e istituzioni nazionali e sovranazionali, crea problemi ogni volta che si tratta di applicare i meccanismi di coinvolgimento dei creditori diversi dai depositanti, che era stata presentata come l’uovo di Colombo che avrebbe impedito per sempre l’utilizzo di fondi pubblici nella sistemazione di banche in dissesto. Si tratta di un principio di per sé ragionevole ma che era sconosciuto al momento in cui sono state emesse molte delle passività che possono oggi essere chiamate a partecipare alle perdite. Per di più, in Italia si è colpevolmente tollerato che titoli di questo genere venissero collocati a investitori privati inconsapevoli del rischio effettivo. Ogni crisi si trasforma così in un puzzle intricato in cui bisogna conciliare gli interessi generali di stabilità con quelli più particolari, ma non meno degni di tutela, dei risparmiatori che pensavano di aver comprato titoli sicuri emessi da una banca solida”.
Prima della direttiva BRRD, i salvataggi bancari erano effettuati con interventi a carico dell’esterno (bail-out). Non necessariamente erano interventi a carico della fiscalità generale; soprattutto nel caso di intermediari di ridotte dimensioni, di solito interveniva l’acquisizione da parte di una banca di maggiore dimensioni. Nonostante non fosse stabilito da alcuna norma di legge, c’era la convinzione diffusa che, in caso di necessità, avrebbe pagato Pantalone. Questo consentiva di mantenere quella che benevolmente si può definire fiducia, ma che realisticamente deve essere definita beata ignoranza sulla reale situazione patrimoniale di ogni banca, anche quelle definite “solide”.
Tipicamente una banca commerciale ha un attivo composto da attività per lo più illiquide (prestiti a imprese e famiglie) e un passivo composto per circa il 10 per cento da mezzi propri (a volte anche meno) e la restante parte (quindi attorno al 90 per cento) da debiti. Come se ciò non bastasse, la durata media dell’attivo è superiore a quella del passivo. Una parte consistente di quest’ultimo, infatti, è composto da depositi a vista o a breve scadenza. E’ evidente che un soggetto con uno stato patrimoniale del genere sia particolarmente esposto al rischio di divenire insolvente sia in casi di perdita di valore dell’attivo, sia in caso di mancato rinnovo del passivo (due fattori che, ovviamente, possono interagire).
Con particolare riferimento alle passività a vista, per legge si stabilisce che ciò rappresenti un prestito che il depositante fa alla banca, la quale, quindi, può usare quelle somme per erogare credito. La stessa somma, pertanto, è nella disponibilità sia del depositante (che ne è il legittimo proprietario), sia di coloro ai quali la banca ha concesso credito. A fronte dei depositi a vista la banca è obbligata a mantenere una riserva presso la banca centrale, che, però, rappresenta solo una piccola frazione del totale dei depositi. Questo principio, detto della riserva frazionaria, rappresenta il vero tallone d’Achille di tutte le banche.
Togliere il bail-out è corretto, perché chi è socio o creditore di una qualsiasi società dovrebbe fare carico dell’insolvenza della stessa. Tuttavia, togliere il bail-out sostituendolo con il bail-in senza mettere in discussione la riserva frazionaria, non può che generare ciò che ha fin qui generato. E’ vero che le obbligazioni bancarie (a maggior ragione se subordinate) sono diventate di fatto più rischiose con l’entrata in vigore della BRRD rispetto a quando furono emesse e collocate. Per questo trovo contraddittorio che Onado sostenga anche che “si è colpevolmente tollerato che titoli di questo genere venissero collocati a investitori privati inconsapevoli del rischio effettivo.”
Se questo ha senso parlando di titoli subordinati (ancorché anche per questi la BRRD abbia aumentato la rischiosità ex post), ne ha molto meno con riferimento alle obbligazioni senior. Le quali, se nel caso delle banche in crisi (in Italia e non solo) si fosse applicato veramente il bail-in, sarebbero state in tutto o in parte coinvolte nell’assorbimento di perdite.
In Italia le obbligazioni bancarie sono state, più che altrove, collocate presso clienti retail. E’ stato fatto per fregarli? Credo che a livello macro la cosa sia da escludere, perché il fattore determinante per la diffusione delle obbligazioni prima della crisi risale alla seconda metà degli anni Novanta, quando il legislatore aumentò al 27% la tassazione sui depositi, mentre per le obbligazioni l’aliquota era 12,5%.
Per una banca collocare un certificato di deposito o un’obbligazione, a parità di scadenza, non fa differenza. Ma la fiscalità la faceva, evidentemente. Questo (per lo più) spiega la diffusione delle obbligazioni bancarie in Italia presso i risparmiatori retail. Che questa circostanza non sia stata fatta valere dai negoziatori italiani la dice lunga sulla sostanziale inconsistenza che il terzo contribuente al bilancio comunitario ha quando si scrivono le norme europee.
Personalmente non ho mai giustificato la garanzia ai depositi a termine. Quanto ai depositi a vista, ogni fondo di tutela è destinato a essere insufficiente in caso di crisi sistemica. Quindi, in situazioni del genere, finirebbe sempre per pagare Pantalone. Solo depositi coperti da riserva al 100% sarebbero sicuri. Ma nessun politico o regolatore si sogna di proporre l’abolizione della riserva frazionaria, perché ci sarebbe molto meno credito e i tassi sul credito sarebbero molto più elevati. Resta il fatto che introdurre il bail-in senza mettere in discussione la riserva frazionaria è come volere la botte piena e la moglie ubriaca.
Le norme sui fallimenti bancari introducono una discrezionalità abusiva.
Tutto va a schifio se si perde di vista la vera cosa importante, che la banca commercia denaro ed è un’attività economica come altre.
Da come la vedo io basterebbe il codice civile per trattare la materia di fallimenti bancari.
Naturalmente, una volta che ogni distinguo perché banche, o ogni normativa legale particolare e di favore fossero superati, allora le banche stesse sottoposte ai rigori e alle norme del codice civile sarebbero le prime ad invocare una sostanziale modifica del sistema di riserva frazionaria.
Credo che il motivo per cui le banche in Italia non siano soggette ai rigori del codice civile è perché in poche parole sono le uniche che comperano ancora i titoli di Stato italiani. In poche parole usano i soldi della BCE (ed anche i nostri) che sarebbero invece destinati a sostenere l’economia per comperare dei titoli spazzatura ad un tasso d’interesse bassissimo (nonostante l’elevato rischo) e fuori mercato.
Non dimentichiamoci che in Italia non ci sono reali alternative, l’uso del denaro viene ostacolato ed impedito in tutti i modi ed anche avere un conto all’estero, nonostante vi sia l’Unione Europea, non è così alla portata di tutti, se esistesse la filiale della banca tedesca che un minuto dopo il versamento sposta i soldi su un conto all’estero forse anche il vecchietto preferirebbe la sana concorrenza della banca estera senza il problema dell’home banking o del bancomat.
Si è generato così un mostro, l’Italia esiste perchè le banche italiane gli comperano i titoli di Stato, le banche italiane grazie al supporto all’Italia godono di una totale immunità per i reati dei suoi vertici, nessuno indaga su come vengono gestite e a chi danno i soldi in prestito, l’Italia interviene sempre per evitare una crisi bancaria che se si estendesse provocherebbe il fallimento dello Stato.
Un suggerimento: tenete pochi soldi in Italia, il resto mettetelo in banche straniere, è legale, se si superano i 15.000 euro di giacenza media occorre dichiararli nel quadro RW, si pagano 35 euro di Ivafe per ogni conto estero, se siete pessimisti prendenteli in valuta estera, siete però a rischio di cambio ma se l’euro fallisse invece sarete contenti, se siete ottimisti prendeteli in euro, si può fare anche in Svizzra. Potete aprirli tramite le filiali in Italia non necessariamente dovete recarvi all’estero, c’è un conto francese Boursorama che è molto economico ed è solo online, e i denari potete spostarli con bonifici, quindi tutto tracciato, tutto si può dichiarare e nessuno potrà importunarvi, neppure Equitalia visto che dal 1 luglio può pignorare i conti correnti italiani.