Per oltre tre decenni è stato uno dei personaggi più potenti in Italia, uno dei principali detentori del potere nel sistema bancario, con una carriera a cavallo tra pubblico e quel privato che è molto a contatto con il pubblico (inteso come Stato), fin dai tempi in cui fu chiamato a gestire la crisi del Banco Ambrosiano nel 1982, dalle cui ceneri nacque il Nuovo Banco Ambrosiano, che nel corso dei successivi tre decenni è arrivato a essere Intesa San Paolo.
Mi riferisco a Giovanni Bazoli, che per anni è stato al vertice di quel gruppo bancario, avendo anche una forte influenza sulla componente bresciana di UBI, che oggi è oggetto di offerta (ostile) da parte della stessa Intesa.
Una persona che, a mio parere, potrebbe ben ritrovarsi nella formula “lo Stato siamo noi”. Ebbene, in una lunga intervista al Corriere della Sera, Bazoli ha affermato, tra le (tante) altre cose, a proposito di quanto sta accadendo in questo periodo di emergenza sanitaria:
- “Vedo una nuova consapevolezza della necessità dello Stato. L’Italia è storicamente minata da questa distanza tra uno Stato inefficiente e molti cittadini miopi ed egoisti. Aziende “naïf”, che però sono il tessuto portante del Paese, considerano da sempre lo Stato come un nemico da cui difendersi. La pandemia porta a rivalutare la sfera pubblica: oggi per garantire la salute, domani la stabilità del sistema creditizio e finanziario, dopodomani la pace. Tutti hanno percepito che da soli non avrebbero potuto vincere il male, che serviva un impegno comune. Il dramma può essere servito a ritrovare il senso civico. A riscoprire un orgoglio, una dignità nazionale. Gli italiani stanno dando al mondo, che non sempre li prende sul serio, una prova migliore di sé: una prova di generosità, grazie all’abnegazione eroica di medici e infermieri, ma anche alla compostezza nonostante alcune sfumature dell’intera popolazione. Forse ci stiamo un po’ riscattando agli occhi del mondo.”
Lo Stato non è storicamente solo inefficiente, e se molti cittadini e imprenditori lo considerano “un nemico da cui difendersi” non è perché sono “miopi ed egoisti”. Piuttosto, l’esperienza quotidiana ha insegnato loro, per un naturale spirito di autoconservazione, a essere diffidenti.
Credo che prima di emettere giudizi così liquidatori sarebbe necessario riflettere sul fatto che non tutti traggono benefici dallo Stato. Non tutti hanno nello Stato un interlocutore capace di fare impennare le fortune professionali ed economiche. Al contrario, molti di quei soggetti considerati “naïf” vanno avanti non già grazie allo Stato, ma nonostante lo Stato.
Al tempo stesso, è fuorviante indicare nello Stato il salvatore dell’economia o delle vite umane. Le risorse che oggi sono stanziate per cercare di evitare fallimenti massicci non sono altro che tasse che prima o poi dovranno essere pagate, non di rado da quegli stessi soggetti verso cui Bazoli dimostra disprezzo.
Nei momenti di difficoltà – penso, negli anni scorsi, ai terremoti che hanno interessato diverse regioni – una moltitudine di persone, non certo solo per senso dello Stato, hanno manifestato solidarietà spontanea. Lo stanno facendo anche adesso. Non perché tutti quanti si siano improvvisamente resi conto della necessità dello Stato.
Un’ultima considerazione: è antistorico sostenere che sia lo Stato a garantire la pace. Non sono forse gli Stati a iniziare (quasi) tutte le guerre?
Che Bazoli con lo Stato sia culo e camicia non ci vuole molto a capirlo. Il problema è la diffusa controcultura della necessità dello Stato e dei suoi “insostituibili servizi”, che ha inesorabilmente pervaso la comune maniera di pensare, per cui spesso risulta difficoltoso per l’ingenuo ed onesto cittadino individuare chi “ci marcia sopra”. E ogni giorno ne abbiamo una prova. Vedi, ad esempio, le mascherine.
Si tratta solo del testamento di un servo del potere di lungo corso, non da prendere troppo sul serio…