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I bitcoin son soldi veri, altro che “teoria quantitativa della moneta”

Da leggere

bitcoin-minerdi GIOVANNI BIRINDELLI

In un recente articolo[1], Gerardo Coco fa un’analisi economica delle criptovalute (come Bitcoin ad esempio). L’Autore si chiede se «impulsi magnetici, ossia “non cose” possano costituire il fondamento di un sistema monetario di un’economia complessa». La risposta che dà nell’articolo è “No”. Personalmente non condivido quest’analisi. In questo articolo provo a spiegare perché.

  1. Il ragionamento dell’Autore: l’esempio di Ricardo, la “teoria quantitativa” della moneta e l’equazione di Fisher

L’Autore basa la sua analisi sulla “teoria quantitativa” della moneta. L’analisi di Coco parte da un esempio per spiegare «il nocciolo della teoria quantitativa [che può essere riassunto nel modo seguente:] per mantenere il valore di una moneta bisogna limitarne la quantità». In quell’esempio, viene ipotizzato un mercato chiuso in cui circoli un certo numero di monete d’oro puro. «Data una certa velocità di circolazione e una certa quantità di merci si avrà un certo livello di prezzi». Se il governo toglie progressivamente da ogni moneta una quantità d’oro «finché tutto l’oro è tolto e le monete diventano semplici gettoni senza “valore intrinseco”», e se la quantità di moneta non aumenta, «la capacità di acquisto della moneta-gettone sarà la stessa della moneta aurea. Si conclude quindi che anche se la moneta è formata da una sostanza priva di qualsiasi utilità diretta, essa conserva valore (cioè capacità di acquisto rispetto alle merci), purché sia emessa in quantità limitata».

Può essere opportuno ricordare che nel caso delle criptomonete la loro quantità è fissa ed è stabilita arbitrariamente e a priori da chi ha sviluppato l’algoritmo. Nel caso di Bitcoin, per esempio, questa quantità è 21 milioni: questo è il numero massimo di Bitcoin “estraibili” (o “minabili”). Al momento in cui scrivo, ne sono stati “estratti” 15,615,725. Come nel caso dell’oro, la loro “estrazione” diventa sempre più difficile e costosa all’aumentare del numero di Bitcoin “estratti”.

Coco prosegue affermando che il fatto che chi ha creato una criptomoneta (p. es. Bitcoin) abbia fissato la sua quantità è stato un «errore clamoroso» dovuto a una «mal interpretazione» di Ricardo o al fatto che ne sono stati «dimenticati» gli insegnamenti: «[se i creatori delle criptomonete si fossero ricordati degli insegnamenti di Ricardo] avrebbero evitato clamorosi errori il primo dei quali è di aver fissato unilateralmente e a priori la quantità [di criptomoneta]. Nella realtà il denaro non può essere una quantità fissa. Ricardo, infatti, parla di quantità limitata, non fissa, e fa riferimento a un livello di prezzi e a una velocità. Se chiamiamo P il livello dei prezzi, M la quantità di moneta, V la sua velocità e Q la quantità di merci prodotte, l’equazione P=MV/Q, che esprime la teoria quantitativa nella sua forma più semplificata, può essere risolta solo dal mercato, non da un algoritmo. Altrimenti si cade nell’errore dei pianificatori che, “regolmentando”, ottengono risultati opposti a quelli desiderati».

Le difficoltà che ho ad accettare la linea di ragionamento dell’Autore sono talmente numerose e profonde che, pur essendo fra loro legate, sono costretto ad affrontarle per punti, una alla volta.

  1. Lista (parziale) di obiezioni

 Anche solo in questi primi pochi passaggi è possibile sollevare diverse obiezioni, e in particolare:

  1. l’assunto implicito, fatto nell’esempio, dell’assenza di libero mercato nel settore del denaro non ha alcuna ragion d’essere: tolto quell’assunto, le conclusioni a cui arriva l’esempio sono assurde;
  2. la “teoria quantitativa” della moneta non è una valida teoria economica.
  3. il concetto di “valore intrinseco” non ha alcun senso economico;
  4. il concetto di “velocità di circolazione” della moneta non ha, nell’ambito di un’equazione che vuole spiegare i prezzi, alcun senso economico;
  5. il concetto di “livello dei prezzi” non ha alcun senso economico;
  6. l’equazione P=MV/Q non ha alcun senso economico;
  7. non è affatto vero che «il denaro non possa essere una quantità fissa» ma semmai l’esatto contrario: qualunque quantità (specie se fissa) di denaro è ottimale;
  8. In una situazione di libera competizione di mercato nel settore del denaro, fissare una determinata quantità di denaro non significa affatto “regolamentare” il mercato e quindi commettere lo stesso errore dei pianificatori ma semmai l’opposto: significa conoscere la scienza economica e agire da imprenditori.
  9. Bitcoin (e molte altre criptomonete) non sono affatto “sostanze prive di qualsiasi utilità diretta”.

Quindi credo che i creatori delle criptomonete non abbiano affatto «mal interpretato» o «dimenticato» gli insegnamenti della “teoria quantitativa” della moneta, ma che la abbiano opportunamente scartata in quanto non scientifica. Inoltre ritengo che quelli che Gerardo Coco chiama «clamorosi errori» siano in realtà comportamenti perfettamente razionali e in linea con la scienza economica intesa nel suo complesso come lo studio dell’azione umana (cioè con la Scuola Austriaca di economia).

Nei paragrafi successivi discuterò, una per una, le obiezioni elencate sopra.

  1. Obiezione (a): Libero mercato nel settore del denaro

bitcoinNell’esempio riportato da Coco viene ipotizzato che non ci sia libero mercato nel settore del denaro. Questo assunto non ha alcuna ragione di esistere e, rimuovendolo, le conclusioni a cui arriva l’esempio (che in ogni caso trovo difficilmente condivisibili nel lungo periodo) non reggono.

In particolare, nell’esempio si assume implicitamente non solo che lo stato si occupi di monetaSupponiamo, ora, che il governo tolga da ogni moneta 10 grani d’oro…») ma addirittura, par di capire, che ne detenga il monopolio legale (e basterebbe assumere che lo stato si occupi di moneta per dire che non ci sarebbe libero mercato in questo settore). In assenza di monopolio legale del denaro da parte dello stato, le conclusioni a cui arriva l’esempio sarebbero palesemente assurde. Infatti, laddove lo stato togliesse il 20% di oro dalle monete, altri operatori vedrebbero aprirsi un’opportunità di offrire sul mercato monete d’oro puro. In presenza di un prodotto migliore (nel caso specifico, di una moneta che mantiene per intero la sua copertura aurea), i clienti si libererebbero il prima possibile dei “gettoni” statali e acquisterebbero le monete d’oro private.[2] A parità di prezzo, infatti, le persone non avrebbero ragioni di mantenere le monete con minor copertura aurea: la domanda di queste ultime di conseguenza tenderebbe a diminuire e, insieme a essa, il suo valore di mercato. Quindi non è affatto vero che, in generale, «anche se la moneta è formata da una sostanza priva di qualsiasi utilità diretta, essa conserva valore […] purché sia emessa in quantità limitata».

In conclusione, l’esempio fatto da Coco per introdurre la sua critica alle criptomonete configura una situazione di assenza di libero mercato nel settore del denaro. Tuttavia, una delle caratteristiche fondamentali delle criptomonete è proprio quella di essere monete di mercato: esse sono state pensate anche per sfidare in modo efficace (cioè escludendo la possibilità di aggressione legale, vedi oltre) il monopolio legale del denaro da parte dello stato. Quindi analizzare le criptovalute all’interno di un quadro teorico in cui lo stato mantiene il monopolio legale del denaro non ha, dal mio punto di vista, molto senso.

  1. Obiezioni (b, c): La “teoria quantitativa” della moneta e l’equazione di Fisher nel caso di una sola transazione

Correttamente, l’Autore ricorda che, nella sua forma più semplice, la “teoria quantitativa” della moneta può essere espressa attraverso l’equazione di Fisher:

P=MV/Q

Che può essere riscritta anche nel modo seguente:

MV=PQ

Dove:

P = “livello dei prezzi”

M = quantità di moneta

V = “velocità di circolazione” della moneta: il numero medio di volte che, in un determinato periodo di tempo, un’unità di denaro è scambiata contro beni o servizi;

Q = la “quantità totale di beni e servizi comprati col denaro” (non di beni «prodotti»).

Prima di fare qualche considerazione di carattere generale sulla “teoria quantitativa” della moneta, trovo utile discutere nel dettaglio questa formula in quanto ne costituisce l’essenza. Ora, nel discutere la formula di Fisher cercherò di sintetizzare la sua illustrazione più chiara, completa e precisa che io conosca: quella che Murray Rothbard espone in Man, Economy and State (pp. 727-737). Altre illustrazioni molto efficaci possono essere trovate per esempio in Money, Bank Credit and Economic Cycles di Jesús Huerta de Soto (pp. 522-535) e in A Scuola di Economia, di Francesco Carbone (p. 179 e seguenti)

Seguendo l’approccio dello stesso Fisher, Rothbard divide l’esposizione della formula di Fisher in due parti: il caso più semplice di una sola transazione economica e poi la sua estensione al caso generale “macro”, con più transazioni economiche.

Nel caso più semplice di una singola transazione, la “velocità di circolazione” della moneta è 1, quindi può essere trascurata. La formula così diventa:

M = PQ

matematicaSupponiamo che la transazione sia la seguente: Giuseppe acquista da Chiara due etti di zucchero al prezzo di 40 centesimi di euro l’etto. Dal fatto che questa transazione abbia avuto luogo, Fisher ne deduce che «due etti di zucchero sono stati considerati equivalenti a 80 centesimi di euro, e questo fatto può essere espresso in questo modo: 80 centesimi di euro = 40 centesimi l’etto moltiplicato per 2 etti[3]

Già a questo punto, per qualcuno che condivide la teoria soggettiva del valore, siamo nel regno dell’assurdo. Se infatti ci fosse stata questa “equivalenza” lo scambio non avrebbe potuto aver luogo. Se lo scambio ha avuto luogo allora vuol dire necessariamente che per Giuseppe 2 etti di zucchero valevano più di 80 centesimi, e che per Chiara 80 centesimi di euro valevano più di 2 etti di zucchero. Se fosse stato diversamente, cioè se ci fosse stata equivalenza, lo scambio non avrebbe avuto motivo di esistere. Quindi Fisher si sbaglia già in partenza: la teoria soggettiva del valore e la logica applicata all’azione umana ci dicono che nel caso in cui uno scambio abbia luogo, non c’è alcuna equivalenza.

Un altro problema dell’equazione di Fisher nella sua forma più semplice, strettamente connesso a quello appena osservato, è che essa è una tautologia: in altri termini, è un’ovvietà che non spiega nulla. Nelle parole di Fisher, «L’equazione così ha una parte relativa al denaro [money side: M, n.d.r.] e una parte relativa ai beni [goods side: che sarebbe PQ]»[4] e fra le due, appunto, ci sarebbe equivalenza. In realtà, la parte relativa ai beni non esiste: se moltiplichiamo un prezzo per una quantità otteniamo una quantità di denaro (non una quantità di beni), quindi l’equazione di Fisher significa solamente: 80 centesimi = 80 centesimi. Nelle parole di Rothbard, «Quello che abbiamo nell’equazione di Fisher, in breve, sono due parti relative al denaro, ognuna delle quali identica all’altra. In effetti, si tratta di un’identità, non di un’equazione […]. E tutto quello che [questa identità] ci dice sulla realtà economica è che il totale di denaro ricevuto in una transazione è pari al totale del denaro speso in quella transazione – sicuramente un’ovvietà di nessun interesse»[5]. E come dice Ludwig von Mises, «La teoria quantitativa [della moneta] non ci dà nulla. Soprattutto, non riesce a spiegare i meccanismi di variazione nel valore del denaro [che sarebbe il suo obiettivo principale, n.d.r.].»[6]

Lo scopo dell’equazione di Fisher era quello di spiegare quali fossero i fattori che contribuiscono a formare il prezzo di qualcosa (nel nostro caso, dello zucchero): e la sua risposta è M/Q. In realtà questa equazione, poiché l’unica cosa che dice è che 80 centesimi = 80 centesimi (o, il che è lo stesso, che e = denaro speso = denaro incassato), non spiega un bel nulla.

Se si vuole capire cosa produce il prezzo di qualcosa non c’è altra via che quella di ricorrere alla scienza economica, cioè alla logica applicata all’azione umana (e quindi anche alla teoria soggettiva del valore): «La sola conoscenza che possiamo avere dei fattori che determinano il prezzo è quella dedotta logicamente dagli assiomi della prasseologia. Nel migliore dei casi, la matematica serve solo a tradurre la nostra precedente conoscenza in forma inintelligibile; di solito, la matematica porterà il lettore fuori strada, come in questo caso. Nella transazione relativa allo zucchero il prezzo di quest’ultimo può essere fatto uguagliare un numero qualunque di equazioni che non spiegano nulla [truistic equations]; tuttavia esso è determinato dall’offerta e dalla domanda dei partecipanti al mercato e questi, a loro volta, sono governati dal livello di utilità che i due beni oggetto di scambio hanno nella scala di priorità di coloro che li scambiano[7] In altre parole, contrariamente a quello che è implicito nell’equazione di Fisher, il prezzo dello zucchero non deriva dalle “cose” (la quantità di denaro, M, e la quantità di beni scambiati, Q), ma dalle scelte delle persone in base alle loro preferenze individuali, cioè dall’azione umana: «Le cose, che si tratti di somme di denaro o quantità di zucchero o di qualunque altra cosa, non possono mai agire; non possono fissare prezzi o ordini di offerta e domanda. Tutto questo può essere fatto solo dall’azione umana: solo gli attori individuali possono decidere se comprare o meno; solo le loro scale di priorità individuale possono determinare i prezzi.»[8]

Quindi io credo che Coco abbia perfettamente torto quando afferma che «impulsi magnetici, ossia “non cose” non possano costituire il fondamento di un sistema monetario di un’economia complessa». Dato che il denaro è una merce come tutte le altre (solo che, rispetto alle altre, è la più commerciabile), esso può essere qualunque cosa o “non cosa” a cui le persone attribuiscano valore per le ragioni più varie che a molti possono sembrare assurde, incomprensibili e perfino delle superstizioni (qui non voglio assolutamente dire che non ci siano motivi razionali e concreti per dare valore a Bitcoin: farò un breve cenno a questo più avanti). Di fatto, la “teoria quantitativa” della moneta, che Coco adotta come guida del suo ragionamento, parte ancora dal presupposto che il valore sia nelle cose e non nelle persone: in altre termini, non tiene conto della teoria soggettiva del valore e quindi, dal mio punto di vista, non è una valida teoria economica.

  1. Obiezioni (d, e, f): L’estensione della formula di Fisher al caso dell’economia nel suo complesso: “livello dei prezzi” e “velocità di circolazione” della moneta

Fin qui abbiamo considerato l’equazione di Fisher nel caso semplice di una singola transazione e, per dirla con Rothbard, abbiamo visto che «nel migliore dei casi è superflua e triviale; nel peggiore, è sbagliata e fuorviante[9] Nel caso dell’estensione all’economia nel suo complesso, è molto peggio. In questo caso, la formula di Fisher prende la forma seguente che abbiamo accennato sopra:

MV=PQ

Dove, giusto per ricordare:

P = “livello dei prezzi”

M = quantità di moneta

V = “velocità di circolazione” della moneta: il numero medio di volte che, in un determinato periodo di tempo, un’unità di denaro è scambiata contro beni o servizi;

Q = la “quantità totale di beni e servizi comprati col denaro”.

Ora, per capire perché in questo caso la formula di Fisher è ancora più assurda che nel caso precedente, basta considerare il caso di due transazioni. Consideriamo quindi le due seguenti transazioni:

  1. Giuseppe acquista da Chiara due etti di zucchero (Q’) al prezzo di 40 centesimi di euro l’etto (p’)
  2. Giulia acquista da Riccardo un cappello (Q’’) al prezzo di 12 euro l’uno (p’’).

Per semplicità, discuterò prima la parte destra dell’equazione e poi la parte sinistra.

5.1 Parte destra dell’equazione: PQ

È chiaro che il totale del denaro speso (chiamiamolo “E”) è pari a:

E = (p’ * Q’) + (p’’ * Q’’) = (0,40×2) + (12×1) = 12,80 euro.

Fin qui nessun problema. Tuttavia questa non è la parte destra della formula di Fisher. La parte destra della formula di Fisher è quest’altra:

PQ

Dove P è il “livello medio dei prezzi” e Q è la quantità totale di beni e servizi comprati col denaro. Quindi Fisher è passato dall’equazione:

E = (p’Q’) + (p’’Q’’)

All’equazione:

E = PQ

Questo passaggio è forse il punto preciso più significativo per capire perché quelle “teorie economiche” che vedono parte “micro” e parte “macro” come due universi distinti e separati, in cui la parte “macro” vive da sé fra le nuvole e non deriva da una coerente teoria del capitale, non hanno alcun significato economico, nel senso che non hanno nulla a che vedere con la scienza economica intesa nel suo complesso come lo studio dell’azione umana.

Come ricorda Rothbard, infatti, questo passaggio «non può essere fatto in alcun modo»[10] e non può essere fatto perché Q e P sono concetti astratti che non hanno alcun significato reale né alcun rapporto con la vita economica: «Che cosa è Q? Come possono due etti di zucchero essere aggiunti a un cappello per arrivare a Q? Naturalmente, nessuna addizione di questo tipo può essere fatta e la Q olistica di Fisher […] è un concetto senza senso e non può essere utilizzato nell’analisi scientifica»[11]. In altri e ancora più semplici termini, se Giorgio chiede alla sua compagna «quanti soldi hai nel portafoglio?» e lei risponde «40 euro», Giorgio ha la risposta alla sua domanda. Se Giorgio chiede alla sua compagna «che cosa hai nella busta del supermercato?» e lei gli risponde: «1 kg di pasta, un coltello da cucina e una confezione di detersivo» Giorgio ha la risposta alla sua domanda. Ma se Giorgio chiede alla sua compagna «che cosa hai nella busta del supermercato?» e lei risponde «la spesa» o «Q», Giorgio non sa cosa mangerà per cena.

E quanto a P? Anche P, il “livello dei prezzi”, è parimenti un concetto senza senso: «Chiaramente, qui non c’è alcun livello dei prezzi; ci sono solo prezzi individuali relativi a beni specifici»[12]. Per superare questo problema, Fisher considera P come una media dei prezzi. Tuttavia, correttamente, Rothbard ricorda che «il concetto di una media dei prezzi è un errore comune. È facile dimostrare che non può mai essere fatta una media dei prezzi di merci eterogenee».[13] La ragione di questo è che, in linea col senso comune, “non si possono comparare le mele con le pere”.

Nello specifico, se prendiamo la media semplice (ma il discorso non cambia con altri tipi di medie), questa assumerebbe la seguente forma:

P = (p’Q’ + p’’Q’’)/(Q’ + Q’’)

Gli elementi al numeratore (i pQ) sono quantità di denaro e quindi sono elementi omogenei fra loro (quindi p’Q’ può essere addizionato a p’’Q’’ senza problemi). Tuttavia, gli elementi al denominatore (i Q) rimangono elementi eterogenei fra loro e addizionarli l’uno con l’altro sarebbe come “comparare le mele con le pere” (o più precisamente, in questo caso, lo zucchero con in cappelli). Come afferma Huerta de Soto, «i monetaristi fanno un salto nel buio quando assumono che l’altra parte dell’equazione [quella destra, n.d.r.] possa essere rappresentata con PQ, dove Q è un assurdo “aggregato” che richiede di sommare fra loro quantità di beni e servizi eterogenei fra loro scambiati in un determinato periodo di tempo. La mancanza di omogeneità rende quella una somma impossibile».[14]

Dato che P non ha alcun senso economico, possiamo già dire che l’equazione di Fisher a cui Coco ricorre per dimostrare che le criptomonete non possano costituire il fondamento di un sistema monetario di un’economia complessa non ha essa stessa alcun senso economico: «Poiché il concetto di P è completamente fallace, è ovvio che l’uso che Fisher fa della sua equazione per rivelare i fattori che determinano i prezzi è anch’esso fallace. Egli afferma che se E [la quantità di denaro speso/incassato, n.d.r.] raddoppia e Q [la quantità di merci scambiate, n.d.r.] rimane costante, allora P – il livello dei prezzi – deve raddoppiare. […] Questa conclusione non è nemmeno un’ovvietà che non dice nulla; è una conclusione falsa, in quanto né P Q possono essere definiti in un modo che abbia un senso. […] L’equazione [P=MV/Q] è quindi falsa, e il livello dei prezzi rimane puro mito, un concetto indefinibile.»[15]

5.2 Parte sinistra dell’equazione: la “velocità di circolazione” della moneta

Dopo aver considerato la parte destra dell’equazione (E=somma denaro speso/incassato=PQ) consideriamo adesso la parte sinistra:

E=MV

V, la “velocità di circolazione” della moneta, è, nell’ambito di un’equazione che vuole spiegare il “livello dei prezzi”, un concetto privo di senso economico. Infatti, al contrario di quanto sostiene Fisher (e, sembra di capire, anche Coco quando scrive: «Data una certa velocità di circolazione della moneta…»), V non è una variabile indipendentemente definibile.

Se fra le cinque e le sei del pomeriggio io spendessi 20 euro per un acquisto e il mio budget per quell’ora fosse di 40 euro, la “velocità di circolazione” della moneta in questo caso sarebbe V = E/M = 20/40 = 0,5. Questo vorrebbe dire che in un’ora io avrei speso il 50% del mio budget. Fin qui niente da dire. Il problema emerge quando pretendo di mettere la “velocità di circolazione” della moneta come variabile indipendente all’interno di un’equazione che dovrebbe spiegare il “livello dei prezzi”. Nel momento in cui facessi questo, farei una cosa assurda. Ancora Rothbard: «V è un concetto assurdo […]. La velocità non è una variabile indipendentemente definita. Fisher, infatti, può derivare V solo come qualcosa che sia pari in ogni situazione e in ogni periodo a E/M. [Come abbiamo visto, questo può dare informazioni utili] ma è assurdo inserire in un’equazione una qualsiasi quantità a meno che questa possa essere definita indipendentemente dagli altri termini dell’equazione. […] Poiché V è definita come pari a E/M, quello che in effetti abbiamo è:

MV = M(E/M) = PQ

e cioè, più semplicemente:

E = PQ

Cioè la nostra formula originale»[16] (il lato destro dell’equazione).

*   *   *

bitcoinatmFin qui ci siamo concentrati sugli aspetti “tecnici” dell’equazione di Fisher. Ci sono anche degli aspetti più generali che la rendono estranea alla vita (e alla teoria) economica ai quali farò qui solo un breve cenno.

Come abbiamo visto, la formula di Fisher dice che date una “velocità di circolazione” della moneta (concetto privo di senso nel contesto di questa equazione) e una quantità aggregata di beni scambiati (altro concetto privo di senso quando i beni scambiati sono eterogenei), un aumento della quantità di moneta produce un aumento del “livello dei prezzi” (concetto privo di senso economico). Ora, che l’inflazione (cioè l’aumento della quantità di moneta) tenda a produrre una perdita del potere d’acquisto del denaro è vero. Tuttavia tale perdita del potere d’acquisto del denaro (o aumento dei prezzi dei beni e servizi) non avviene in modo istantaneo, proporzionale e uniforme come è presupposto dall’equazione. Al contrario, avviene nel tempo e, dato il fatto che la nuova moneta entra nel sistema attraverso punti di accesso privilegiati, si creano:

  • effetti redistributivi: in particolare, avviene un trasferimento di risorse da chi riceve la nuova moneta per ultimo (quando i prezzi di diversi prodotti saranno aumentati) a chi la riceve per primo (quando quei prezzi devono ancora aumentare, e quindi sono più bassi);
  • distorsioni nei prezzi relativi di diversi beni e servizi (p. es. fra quelli di beni e fattori di produzione più vicini allo stadio finale del consumo e quelli di beni e fattori più lontani da esso). E queste distorsioni nei prezzi relativi (del tutto inimmaginabili in “P”) sono quelle che producono quelle distorsioni della struttura produttiva che alla fine necessariamente portano alla crisi.

Non disponendo di una teoria del capitale, la “teoria quantitativa” non può tener conto degli effetti dell’aumento della quantità di denaro sulla struttura produttiva. In altri termini, non avendo alcun contenuto scientifico ma solo un contenuto grafico, come potrebbe averlo una decorazione su un quaderno (Huerta de Soto la definisce un «ideogramma»[17]), la formula di Fisher non ha alcun senso economico. Come tutte le formule matematiche cadute sulla teoria economica dall’alto, essa non ha alcuna relazione con la realtà economica, nel senso che esprime un approccio macroeconomico completamente avulso dalle leggi che, nel piccolo così come nel grande, governano l’economia.

Poiché l’analisi economica che Coco fa delle criptomonete parte dal presupposto della validità della “teoria quantitativa” della moneta e della formula di Fisher, io credo che quell’analisi sia strutturalmente sbagliata.

  1. Obiezioni (g, h): Quantità di moneta fissa e “regolamentazione”

MONETE OROSecondo Coco, il «clamoroso errore» dei creatori delle criptomonete sarebbe stato quello di aver fissato arbitrariamente la quantità delle stesse nell’algoritmo: in questo modo essi si sarebbero sostituiti al mercato nel decidere quale è la quantità di denaro ottimale e quindi avrebbero commesso lo stesso errore dei governanti: quello della “regolamentazione”.

A prima vista, cioè senza entrare nell’analisi economica, questo ragionamento sembra filare. In realtà è del tutto sbagliato in quanto trascura il fatto che, come dice Ludwig von Mises, purché essa sia sufficientemente divisibile, qualunque quantità di denaro è ottimale: «La quantità di denaro e il valore dell’unità monetaria sono questioni di nessuna importanza in relazione all’utilità ottenuta dall’uso del denaro»[18]. Se, data una qualunque quantità di moneta sufficientemente divisibile, aumentasse la domanda di denaro, il processo di mercato farebbe aumentare il potere d’acquisto del denaro e quindi farebbe diminuire i prezzi: grazie alle forze di mercato, quindi, la stessa quantità di denaro sarebbe perfettamente adatta anche alla nuova situazione (vedi oltre per i dettagli). Il vantaggio di una quantità fissa di denaro rispetto a una quantità variabile in base alle decisioni arbitrarie di qualcuno (e perfino a possibili grandi scoperte minerarie improvvise) è che, nei processi di aggiustamento, si evitano quelle distorsioni della struttura produttiva di cui sopra, e quindi le crisi economiche. Nelle parole dell’Autore de Il Mistero dell’Attività Bancaria, «In accordo coi ricardiani e con Ludwig von Mises, possiamo [quindi] affermare che qualunque quantità di moneta risulti egualmente ottimale. In breve, non ha importanza quale sia l’offerta monetaria: qualsivoglia quantità M è adeguata a svolgere la propria funzione di scambio. […] Il problema della giusta quantità di moneta non è affatto un problema»[19]. Quindi per Bitcoin la cifra fissa di 21 milioni è una cifra ottimale tanto quanto lo sarebbero stati 10 milioni o 500 miliardi.

Nel fissare questa quantità di moneta i creatori di Bitcoin non hanno quindi commesso alcun «clamoroso errore» ma semplicemente hanno applicato la scienza economica, allo stesso modo in cui l’hanno applicata coloro che hanno fissato le quantità di Litecoin e delle altre criptomonete. Ricorrendo a una metafora (quindi con tutte le imperfezioni di questo strumento il cui obiettivo è solo quello di dare un’idea intuitiva del concetto), nel momento in cui Coco afferma che nel fissare la quantità di moneta i creatori della stessa si sono comportati da regolamentatori, è come se affermasse che nel momento in cui coloro che costruiscono un albergo decidono il numero di stanze che questo albergo deve avere essi stiano “regolamentando il mercato”. In sostanza, egli trascura non solo che ogni quantità di moneta è ottimale (dato che in ultima istanza sono le preferenze individuali che regolano il potere d’acquisto della moneta) ma anche che, se per qualche ragione ci fosse qualche monetarista che preferisse una moneta la cui quantità crescesse nel tempo e quindi si apprezzasse di meno di quella la cui quantità è fissa, il libero mercato nel settore del denaro sarebbe in grado di accontentarlo.

  1. Obiezione (i): Le caratteristiche fondamentali di Bitcoin trascurate dall’Autore

All’inizio del suo articolo, Gerardo Coco fa una breve introduzione di Bitcoin e della sua piattaforma tecnologica: la blockchain. In questa introduzione l’Autore trascura del tutto di menzionare la caratteristica fondamentale di Bitcoin: quella di essere una forma di denaro che, almeno finché non entra in contatto col denaro fiat (tipicamente negli exchange), oltre a garantire la privacy di chi la usa[20], non è aggredibile dai governi. Questi non possono abolirla come stanno abolendo il contante. Forse l’aver trascurato questo aspetto fondamentale è la ragione per cui Coco accosta Bitcoin e più in generale le criptomonete a «impulsi magnetici e entità matematiche privi di qualsiasi utilità diretta» (come abbiamo visto, anche se lo fossero questo non impedirebbe affatto che potessero essere una merce e quindi una forma di denaro). E questo è davvero curioso in quanto, avendo scritto la postfazione del libro Elogio del Contante di Leonardo Facco, egli è perfettamente a conoscenza dei danni prodotti dalla progressiva abolizione del contante e dei benefici di una moneta digitale che non solo garantisce l’anonimato di chi la usa ma soprattutto che non è aggredibile dallo stato. Una moneta che garantisse l’anonimato di chi la usa e che fosse aggredibile dai governi sarebbe aggredita come lo è il contante e anzi, essendo privata, lo sarebbe in modo ancora più brutale, quindi sarebbe del tutto inutile. Il fatto di poter acquistare una moneta d’oro o un televisore o un gioiello oppure un’infinità di altri beni e servizi senza che lo stato possa venire a saperlo e poterlo fare grazie a un mezzo di pagamento che non è aggredibile dallo stato è quello che non esiterei un istante a chiamare “utilità diretta”. E per me, come per altri, questa utilità è enorme. Tuttavia non è l’unica “utilità diretta” di Bitcoin. Bitcoin è una moneta molto più sicura del denaro fiat digitale e (una volta che uno ha imparato a usarla) è estremamente più facile da usare. È una moneta globale. Grazie a essa è possibile spostare quasi immediatamente somme illimitate di denaro da una parte all’altra del pianeta con costi di transazione praticamente nulli e nel totale anonimato (sebbene nella totale trasparenza). Apre il mercato del credito a quel 75% circa di persone che non vi hanno accesso, e rende questo mercato globale anche per le attività piccole e piccolissime. Attraverso piattaforme commerciali come OpenBazaar.org (esse stesse basate sulla blockchain) consente di acquistare e vendere beni e servizi di qualunque tipo. Altro che «impulsi magnetici o entità matematiche privi di qualsiasi utilità diretta»…

bitcoin-interna-nuovaPer molti versi Bitcoin è un cambiamento di paradigma. Pochissime persone lo conoscono, ancora meno persone evidentemente lo hanno capito e fra queste una parte minuscola lo usa. Ma l’infrastruttura sta crescendo, gli scambi stanno crescendo, la domanda sta crescendo e con essa, naturalmente, il prezzo. Non certo in modo lineare e senza scossoni: è una tecnologia troppo nuova, troppo dirompente e dalle potenzialità troppo enormi (ricordiamoci che è una moneta globale ed è ancora in larghissima parte sconosciuta) perché il prezzo possa fin da subito seguire la stessa dinamica di quello di una moneta di mercato matura. Tuttavia non c’è niente di assurdo nel fatto che si apprezzi. Qualunque moneta sana tende ad apprezzarsi. Coco scrive: «Se l’offerta di moneta resta fissa, il valore dipende ovviamente dalla domanda, e se c’è un’aspettativa di rialzo si arriva al paradosso di far apprezzare le valute digitali come quadri d’autore». Quello che Coco vede come un «paradosso» è il comportamento normale di tutte le monete sane in regime di libero mercato. Perché dovrei scegliere di essere pagato per un servizio in Euro se mi aspetto che il Bitcoin si apprezzi rispetto all’euro? Per una serie di fattori (p. es. l’aumento demografico, la crescita economica, ecc.) è normale che ci sia un aumento della domanda di moneta. Questo tuttavia, come abbiamo accennato sopra, non vuole affatto dire che ne debba essere aumentata l’offerta. Non è mai possibile ricordare abbastanza spesso infatti che ogni quantità fissa di denaro è ottimale e il mercato reagisce all’aumento di domanda di moneta semplicemente abbassando i prezzi e quindi aumentando il suo potere d’acquisto: «Ma non sarebbe forse necessario, qualcuno potrebbe chiedersi, fare in modo che venga emessa una maggior quantità di moneta al fine di compensare l’aumento della popolazione? La risposta è categorica: no! Non vi è alcun bisogno di mantenere una quota pro capite di moneta, né contestualmente alle nuove nascite né in qualunque altra circostanza. Se la quantità M restasse constante all’aumentare della popolazione, ciò farebbe lievitare la domanda di moneta […] e ciò porterebbe […] a un nuovo equilibrio con prezzi inferiori in cui la quantità M riesce comunque a soddisfare la maggior domanda in virtù di un potere d’acquisto più elevato[21] Quello che Coco vede come un problema (l’aumento di domanda di moneta) è, di nuovo, il tratto caratteristico di un qualunque sistema monetario sano.

Infine, l’affermazione dell’Autore che le criptomonete «non possono andar bene per un’economia creditizia dove le transazioni non sono regolate a pronti» non ha alcun senso. Senza dilungarsi in spiegazioni, basta vedere la piattaforma di credito Bitcoin www.btcjam.com.

Conclusioni

Dal mio punto di vista, o meglio da quello della Scuola Austriaca di economia nella quale personalmente mi riconosco, l’analisi che Gerardo Coco fa delle criptomonete e la teoria economica che porta a sostegno della sua tesi, sono fondamentalmente sbagliate.

NOTE

[1] https://www.miglioverde.eu/bitcoin-criptovalute-denaro-non-puo-unentita-matematica/

[2] Per questa ragione è vietato per legge far concorrenza allo stato nel settore del denaro e chi ci ha provato con monete auree digitali è finito in prigione: perché la concorrenza funziona, nel settore del denaro così come in quello delle scarpe. La caratteristica fondamentale delle criptomonete come Bitcoin è che esse non sono aggredibili dallo stato, ma questa caratteristica non è presa in considerazione dall’Autore, vedi oltre.

[3] Fisher I., 1907, The Purchasing Power of Money, citato in Rothbard M.N., 2001 [1962], Man, Economy and State (Mises Institute, Auburn), p. 728 – le quantità, unità di misura e la valuta sono state modificate per facilitare la comprensione.

[4] Fisher I., 1907, The Purchasing Power of Money, citato in Rothbard M.N., 2001 [1962], Man, Economy and State (Mises Institute, Auburn), pp. 728-729.

[5] Rothbard M.N., 2001 [1962], Man, Economy and State (Institute, Auburn), p. 729.

[6] Mises L., 1981 [1934], The Theory of Money and Credit (Liberty Fund, Indianapolis), p. 153.

[7] Rothbard M.N., 2001 [1962], Man, Economy and State (Mises Institute, Auburn), p. 730.

[8] Rothbard M.N., Op. cit., p. 730.

[9] Rothbard M.N., Op. cit., p. 731.

[10] Rothbard M.N., Op. cit., p. 733.

[11] Rothbard M.N., Op. cit., p. 733.

[12] Rothbard M.N., Op. cit., p. 733.

[13] Rothbard M.N., Op. cit., p. 733.

[14] Huerta de Soto J., 2009 [1998], Money, Bank Credit and Economic Cycles (Mises Institute, Auburn) p. 532.

[15] Rothbard M.N., 2001 [1962], Man, Economy and State (Mises Institute, Auburn), p. 734-735.

[16] Rothbard M.N., Op. cit., p. 735-736.

[17] Huerta de Soto J., 2009 [1998], Money, Bank Credit and Economic Cycles (Mises Institute, Auburn) p. 531.

[18] Mises L., 1981[1934], The Theory of Money and Credit (Liberty Fund, Indianapolis), p. 165.

[19] Rothbard M.N., 2013 [1983], Il Mistero dell’Attività Bancaria (USEMLAB, Massa), pp. 43-45.

[20] In Bitcoin c’è totale trasparenza delle transazioni ma gli indirizzi pubblici non possono essere ricondotti alle persone, quindi sono anonimi: questa caratteristica delle criptomonete viene riconosciuta dall’Autore dell’articolo.

[21] Rothbard M.N., 2013 [1983], Il Mistero dell’Attività Bancaria (USEMLAB, Massa), p. 45.

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11 COMMENTS

  1. Vorrei entrare nel merito della questione, per molti versi assai interessante, premettendo che:

    1 – sono un simpatizzante della Scuola Austriaca di economia,
    2 – non prendo per oro colato tutto quanto hanno scritto in materia Ludwig von Mises, Murray Rothbard, Huerta de Soto e gli altri esponenti della Scuola stessa,
    3 – non sto dalla parte né di Coco, né di Birindelli, né di Irvin Fisher, né della ‹sua› teoria quantitativa della moneta.
    4 – non condivido l’entusiasmo di Birindelli per i Bitcoin e, a tale scopo, cercherò di esporre le mie ragioni.

    Detto ciò, sarà mia cura sviluppare le argomentazioni sul tema, prendendo come spunto alcuni passi dell’articolo di cui sopra.

    A) – Birindelli, nell’esempio di Giuseppe che acquista da Chiara 2 etti di zucchero al prezzo di 40 cent/etto, afferma: «Se infatti ci fosse stata questa “equivalenza” lo scambio non avrebbe potuto aver luogo. Se lo scambio ha avuto luogo allora vuol dire necessariamente che per Giuseppe 2 etti di zucchero valevano più di 80 centesimi, e che per Chiara 80 centesimi di euro valevano più di 2 etti di zucchero».

    >> Non condivido. Penso che per i due attori il prezzo pattuito possa essere ritenuto equo e congruo, senza l’intima soddisfazione da parte di entrambi aver fatto un affare. Tantissime volte si vendono o si comprano oggetti più per necessità (fisica o psicologica) che per speculazione e, in senso lato, il prezzo stabilito tra i due fa comunque ‹storia› per le statistiche di mercato. Ciò è perfettamente coerente con la “teoria soggettiva del valore”.

    B) – Più avanti, a proposito del prodotto a destra dell’equazione MV=PQ, Birindelli scrive: «In realtà, la parte relativa ai beni non esiste: se moltiplichiamo un prezzo per una quantità otteniamo una quantità di denaro (non una quantità di beni), quindi l’equazione di Fisher significa solamente: 80 centesimi = 80 centesimi». E poi, qualche riga dopo, aggiunge: «…(o, il che è lo stesso, che e = denaro speso = denaro incassato), non spiega un bel nulla.»

    >> La formula invece è coerente e mantiene un suo significato così com’è stata scritta. Per esempio in Fisica, quando si stabiliscono delle relazioni tra grandezze diverse, è doveroso verificare che, dopo le relative semplificazioni algebriche, i termini a cavallo del segno uguale abbiano le stesse “dimensioni”.
    L’equazione m*v = F*t stabilisce l’equilibrio tra l’impulso della forza F con la quantità di moto del corpo. Qui le grandezze sono tra le più disparate. Abbiamo una massa, una velocità, una forza e un tempo. Non ce ne sono due di identica natura, eppure la loro interdipendenza rappresenta una delle ‹leggi› più famose della Dinamica. Nel sistema mks, a sinistra abbiamo N*s^2/m*m/s, e a destra, N*s. Nella sua veste “dimensionale”, togliendo i termini che si elidono, si arriva all’esatta eguaglianza: N*s=N*s. (Newton * secondi). La verifica delle dimensioni è fondamentale per essere sicuri di non aver posto “mele” = “pere”. Dunque e non è vero che l’eguaglianza “denaro speso = denaro incassato” non spiega un bel nulla. Verificare che “centesimi = centesimi” è corretto e sarebbe sbagliato se non fosse così. Per quanto riguarda la correlazione stabilita in MV=PQ, a sinistra c’è “denaro” * “numero_puro/tempo”; e a destra c’è la stessa cosa, “denaro” * “numero_puro/tempo”. Il tutto torna.

    C – Proseguendo nell’articolo l’A. ci ricorda l’osservazione di Rothbard: “Poiché V è definita come pari a E/M, quello che in effetti abbiamo è: MV = M(E/M) = PQ e cioè, più semplicemente: E = PQ. Cioè la nostra formula originale».

    >> Questa “svista algebrica” di Rothbard ha mietuto diverse vittime tra gli adepti della Scuola Austriaca, tra cui Frank Shostak nel suo articolo “Is Velocity Like Magic?”. Non è corretto estrarre un termine dall’uguaglianza e poi rimetterlo nella stessa equazione dicendo che abbiamo ottenuto una tautologia. Einstein trovò la relazione: E=m*C^2. Nessun altro scienziato si è mai sognato di dire che “la formula non significa nulla perché se al posto di E ci mettiamo m*c^2, si giunge alla banalità: m*c^2=m*c^2”. Alcuni si sono limitati a dire (erroneamente) che la “relatività generale” ha delle pecche, ma di certo non hanno esibito un ragionamento di quel tipo per dimostrare la sua inconsistenza.
    Che poi l’equazione MV=PQ abbia o non abbia un significato pratico di rilievo è un discorso a parte.

    D – Procedendo nella sua disamina, Birindelli scrive: «Che cosa è Q? Come possono due etti di zucchero essere aggiunti a un cappello per arrivare a Q?»

    >> Se, come è riportato nell’articolo dall’Autore stesso, poniamo Q= “quantità totale di beni e servizi comprati col denaro” non vedo alcuna stortura nel “sommare” lo zucchero con il cappello. Nella definizione di Q non viene specificato che i beni o i servizi devono essere dello stesso genere, ma si richiede solo la conta delle transazioni. Ripeto, se poi si vuol considerare se valga la pena oppure no costruire una teoria economica su quella relazione, è un altro discorso.

    E – Nell’esempio di Giorgio che chiede alla sua compagna cos’ha nella borsa della spesa, l’A. ritiene più corretto che lei gli risponda: «1 kg di pasta, un coltello da cucina e una confezione di detersivo» piuttosto che un laconico: «la spesa».

    >> Se ci impegoliamo nella ricerca dei particolari allora non la finiamo più. Se Giorgio vuol sapere cosa mangerà per cena allora faccia il favore di chiederlo esplicitamente, anziché formulare una generica domanda sul contenuto della borsa. Le cose che gli possono interessare sono tantissime, p.es. le calorie per 100g di quella pasta, il materiale di cui è composto il manico o la lama del coltello oppure in che misura il detersivo è biodegradabile. Ricevuta una risposta dettagliata a fronte di una domanda specifica, Giorgio potrà magari valutare se il prezzo pagato è congruente (non necessariamente un affare!) con quanto acquistato.

    F – Nella parte in cui l’A. parla dell’inflazione ci sono dei punti su cui concordo abbastanza e su altri meno. Laddove scrive: «[…] un aumento della quantità di moneta produce un aumento del “livello dei prezzi” (concetto privo di senso economico)» non sono d’accordo.

    >> Terminato l’«effetto Cantillon», il livello generalizzato dei prezzi si alza, inevitabilmente. E con il passar del tempo, insistendo nell’immissione di liquidità, tutti i settori ne risentiranno, dai “capital goods” ai “consumer goods”. Negli anni ’70, una Fiat-500 costava suppergiù 500mila lire (250 euro). Confrontate un po’ «cosa ha fatto il governo ai nostri soldi» nel frattempo!

    G – Sulla questione della “quantità di denaro ottimale” Birindelli cita Ludwig von Mises: «purché essa sia sufficientemente divisibile, qualunque quantità di denaro è ottimale». E poi più avanti riprende: «ogni quantità fissa di denaro è ottimale e il mercato reagisce all’aumento di domanda di moneta semplicemente abbassando i prezzi e quindi aumentando il suo potere d’acquisto».

    >> Bene, concordo ma fino ad un certo punto. In pratica, anche se l’unità monetaria fosse sufficientemente divisibile, diventerebbe assai difficoltoso usare le frazioni infinitesimali. In elettrotecnica si usano i “Farad” come unità di misura della capacità dei condensatori, ma in pratica le grandezze sono esplicitate in pico-Farad o tutt’al più in micro-Farad. I sottomultipli servono per non avere tra i piedi delle grandezze con svariati zeri dopo la virgola, oppure con esponenti negativi.
    Nell’ipotesi (per me favorevole) che, (1) l’unità monetaria venisse riagganciata all’oro con rapporto di conversione mantenuto fisso nel tempo, e che (2) la quantità di moneta (dunque di oro) rimanesse inalterata, ad un certo punto, secondo la “productivity norm” di George Selgin, si arriverebbe a comprare un appartamento in centro con 1 grammo d’oro. Essendo entrambi (oro e appartamento) dei beni soggetti alla valutazione del mercato è normale che anche il valore della moneta-oro oscilli da par suo. La comodità di utilizzo ne potrà stabilire poi la quantità in funzione delle esigenze pratiche. Io non mi sentirei di dire a priori che ‹qualsiasi quantità di moneta è ottimale›. L’«azione umana», e non la Banca centrale (!), deciderà liberamente il da farsi.

    H – Ed ora, finalmente, parliamo dell’argomento principe, cioè della “criptomoneta”. Nel caso specifico dei Bitcoin, Birindelli con entusiasmo afferma che «[…] non solo garantisce l’anonimato di chi la usa ma soprattutto che non è aggredibile dallo stato. […] Il fatto di poter acquistare una moneta d’oro o un televisore o un gioiello oppure un’infinità di altri beni e servizi senza che lo stato possa venire a saperlo e poterlo fare grazie a un mezzo di pagamento che non è aggredibile dallo stato è quello che non esiterei un istante a chiamare “utilità diretta”. E per me, come per altri, questa utilità è enorme.»

    >> Giusto. Ma il vero problema è lo «Stato» in quanto tale! Fino a quando non sarà abolito o comunque indebolito, al di là della soddisfazione che possono provare gli utenti di Bitcoin nel poter nascondergli le transazioni, ogni iniziativa di questo genere è destinata a rimanere sterile. Lo Stato potrebbe altresì accettare di perdere la tracciabilità dei vizi (o delle virtù) dei suoi sudditi nei loro acquisti, senza batter ciglio. Avendo dalla sua parte il potere legislativo ed esecutivo, nulla gli impedisce di promulgare una legge che vieti l’utilizzo della criptomoneta, abbinata a severissimi castighi per i trasgressori. Nel frattempo sarebbe anche capace di aumentare ‹quanto basta› le tasse sui beni immobili e su tutto ciò che non può sfuggire ai controlli. (La vicenda del SIMEC, la moneta locale ideata da Giacinto Auriti e sperimentata nel paese di Guardiagrele, conferma la mia ipotesi.) — Hai comprato un’auto pagandola coi Bitcoin? Male. Non appena ti fermeranno i carabinieri per un controllo, dovrai confessare. Se te la rubano e denunci il furto, idem. Hai comprato di nascosto un televisore? Male. Non appena lo porterai a riparare in un laboratorio qualificato, sarai pizzicato. (Ricordiamoci la possibilità di ottenere un mandato di perquisizione per frugare in casa di chi non vuol pagare il canone Rai.)
    Quando c’è da tosare il gregge, la fantasia dei nostri pastori non conosce limiti. Puoi forse cavartela cripto-comprando beni di rapido consumo le cui tracce spariscono in fretta. Ma, sic stantibus rebus, non è l’anonimato negli acquisti che ci difende dallo Stato. Le sevizie che è in grado di affibbiarci sono ben altre! (La legge Mancino sull’istigazione all’odio razziale, per esempio.)

    I – A proposito della “sicurezza” l’A. scrive: «Bitcoin è una moneta molto più sicura del denaro fiat digitale e (una volta che uno ha imparato a usarla) è estremamente più facile da usare.»

    >> Non sono d’accordo. Tutto ciò che “gira” dentro e attorno ai computer, proprio per la sua natura effimera, contiene una serie di falle impossibili da eliminare.
    I calcolatori elettronici, muniti di software adeguato, svolgono una funzione importantissima per ampliare le conoscenze umane e per migliorare la vita di tutti noi. La loro flessibilità e adattabilità è enorme. Senza di loro l’Enigma, la macchina crittografica di Hitler, sarebbe tutt’oggi una brutta gatta da… decifrare. Dall’esplorazione dello Spazio alla ricostruzione della doppia elica del Dna, dall’interpretazione dei dati del Cern alla chirurgia nelle sale operatorie, dalle simulazioni della meccanica quantistica alla navigazione strumentale, dalla scrittura elettronica tra le mura domestiche allo svago (magari discutibile) dei videogiochi… I computer, o comunque l’elettronica in generale, svolgono una funzione vitale ed insostituibile nel mondo moderno. Senza contare la struttura della rete Internet, che ritengo sia l’invenzione più libertaria del XX secolo.

    Però tutto questo bendidio presenta un drawback praticamente insanabile: la sua completa inaffidabilità per la conservazione dei “valori”.
    Se gli antichi Egizi avessero scritto la loro storia e disegnato i geroglifici su dei computer ora non sapremmo nulla di loro, anche se negli scavi dovessimo trovare gli hardware ancora sigillati. Se i notai degli anni ’70 e ’80 avessero scritto e depositato gli atti ‹solo› sui supporti magnetici di allora (es. floppy disk da 8″), senza conservarne una copia su carta o su pellicola fotomeccanica, attualmente non ci sarebbero più speranze di recuperare le informazioni dei contratti stipulati. Il continuo aggiornamento e la conseguente conversione dei dati nei nuovi formati (spesso incompatibili coi precedenti e sui nuovi supporti) costituiscono il cruccio di tutte le persone ‘informatizzate’ che per mestiere non fanno i guru dei computer. I dischi di vinile, le cassette VHS, così come quelle audio, si sono ormai praticamente estinti come dinosauri della modernità.

    Un altro inconveniente tutt’altro che trascurabile è costituito dai virus informatici. Questi sono i nemici più subdoli ed imprevedibili che rappresentano una minaccia costante per l’integrità e la custodia dei dati. Anche sui ‹data base distribuiti› grava implacabile la minaccia dell’infezione. Le connessioni in rete e i S.O. col passar del tempo diventano sempre più sicuri ma, nonostante ciò, non si può escludere a priori che i nostri Pc siano diventati completamente immuni dal contagio.

    La riservatezza del sistema Bitcoin si basa sulla “firma elettronica”. Per ottenere ciò viene implementato un algoritmo matematico ‹asimmetrico› detto “crittografia a doppia chiave: pubblica e privata”. Pur essendo a tutt’oggi una delle tecniche più affidabili, seppur gravose in termini di Cpu, la sicurezza della criptomoneta presta comunque il fianco a due inconvenienti che ne indeboliscono di molto la peculiarità:

    1) la possibile scoperta di una regola matematica che possa ridurre drasticamente i tempi per la scomposizione dei grandi numeri in fattori primi;

    2) la necessità inderogabile di ricorrere ad una Autorità Garante, riconosciuta tale da tutti gli attori, in caso di contestazioni sul diritto di proprietà.

    Punto 1. La scoperta di una fattorizzazione rapida non sarebbe solo un fatto clamoroso nell’ambito della ‹scienza esatta› ma, se ciò accadesse, le sue conseguenze sull’identità elettronica delle persone e sulla riservatezza dei loro dati sarebbero catastrofiche. Il sistema cripto-monetario cadrebbe in mille pezzi con effetti infinitamente più devastanti di quelli della Grande Depressione del 1929.
    (La dimostrazione dell’‹ultima congettura di Fermat› è sfuggita ai matematici per più di tre secoli e mezzo, finché Andrew Wiles, dell’università di Princeton, non riuscì nell’intento nell’anno domini 1995.)

    Punto 2. Se un utente Bitcoin dovesse mai aver bisogno di dimostrare che è proprio lui il proprietario dell’oggetto acquistato, dovrà per forza di cose recarsi presso un “ente di garanzia”, accreditato anche dalla controparte, per dirimere la questione. Tale Autorità, attraverso un algoritmo di verifica “al di sopra di ogni sospetto” (a sua volta “firmato” dalla software house emittente, etc., etc.) dovrà usare la chiave pubblica di ciascun contendente e verificare quale delle due genera una versione “leggibile” del certificato di possesso.

    Secondo me basterebbe solo questo per invalidare tutto l’impianto delle criptomonete.

    Per ultimo, ma non ultimo, bisogna considerare il fatto che, per la stragrande maggioranza delle persone, il meccanismo su cui si basa la segretezza del sistema Bitcoin è di una oscurità impenetrabile. Si richiede un atto di fede da parte loro.
    Birindelli stesso lo ammette: «Pochissime persone lo conoscono, ancora meno persone evidentemente lo hanno capito e fra queste una parte minuscola lo usa».
    La saggezza del buon ‹pater familias› impone di evitare il più possibile le proposte che non si conoscono appieno. Specialmente quando si tratta di soldi guadagnati con fatica. I titolari delle famigerate “obbligazioni subordinate” che sono rimasti senza un centesimo del denaro investito, ne sanno qualcosa. Prima magari no, ma ora certamente sì!
    Perciò io sono del parere che, a parte qualche baldo giovine, nato con in mano il joystick del Commodore 64, la maggior parte degli individui avveduti non se la sente di affidare i propri averi ai bit del Pc e a degli sconosciuti che allignano chissà dove, segnalati da altri sconosciuti quali garanti della bontà del software della ‘blockchain’ e di tutto l’ambaradan che le sta intorno.
    Oddio, non è che l’attuale uomo della strada sia consapevole e sufficientemente edotto sulle segrete cose dell’economia e sulla vera natura della moneta. Volendo fare il cattivo, direi che tra questi ignari ci sono fior di economisti, insigniti addirittura di premio Nobel, Paul Krugman, tanto per fare un nome.

    Generalmente, le persone comuni, che sono in altre faccende affaccendate, si fidano dello Stato quale mallevadore perché i foglietti di carta custoditi nel portafoglio e i numeri sull’estratto conto mantengano (più o meno) anche in futuro il valore attuale in fatto di acquisti di beni e servizi. Anche se fanno molto male a fidarsi dello Stato, vedono comunque in lui un papà che c’è e, nel loro immaginario collettivo, pensano che tramite il potere giudiziario li possa difendere dai soprusi. Dunque la questione della criptomoneta appare molto più fumosa e complicata rispetto all’idea, ahimè assai diffusa, dello Stato-protettore, anche se vampiro.

    Se poi quelle stesse persone vengono a sapere delle brutte cose come il fallimento della Mt.Gox, la più grande “banca” di cambio dei Bitcoin con sede a Tokio (v. Wikipedia), allora la loro fiducia si riduce inesorabilmente a zero.

    Per concludere, io sono del parere che i Bicoin si possono paragonare né più né meno ai buoni sconto distribuiti nei supermercati. Alla fin fine anche questi sono ‘soldi’… Se proprio uno muore dalla curiosità di partecipare al gioco, allora è bene che impegni una quota molto marginale dei propri averi per provare l’ebbrezza di fare il ‹carbonaro› e di non pagare l’Iva usando una moneta nascosta. (Anche se il cambio di moneta l’abbiamo già subìto nel 2002, con le conseguenze che tutti stiamo patendo…, e senza provare alcuna ebbrezza.)

    Per quanto mi riguarda io passerò alla criptovaluta solo quando la signora Maria, mia fornitrice ufficiale di uova fresche, insalata, pomodori, patate e zucchine accetterà solo pagamenti in Bitcoin.
    Prima no.

  2. Anche se è sempre una soddisfazione leggere Birindelli e Coco
    non entro più di tanto nelle discussioni teoriche, non ne sarei all’altezza però… ritengo
    sia più utile imho concentrarsi sul corso imprenditoriale integrando come umanamente possibile l’unica cosa realmente scarsa: la conoscenza interdisciplinare economico-giuridico-informatica rilevante necessaria di tipo pratico ed applicato.
    Per me le “criptovalute” rimangono certificati crittografici digitali la proprietà dei quali è trasferibile in sicurezza e senza un’autorità sopraordinata. Non poco! Ma non moneta.
    Siamo al cospetto di un esperimento che, per quanto diffuso trasversalmente su tutto il pianeta, costituisce solo uno degli utilizzi alternativi di tecnologie piuttosto mature. Un sub-set di tecnologie non miracolose ma dalle quali, complice il contesto politico-monetario mondiale, se n’è tentato di implementare un utilizzo alternativo non ancora sedimentato ed in continua elaborazione. Ciò fa ben sperare per l’umanità evidentemente, e da più punti di vista.
    La scarsità imposta allo strumento è una proprietà iscritta d’imperio dal creatore nel codice della procedura applicativa che coordina le funzionalità del ledger.
    Ad alcuni cripto-certificati è stata imposta una scarsità diversa e questi possono essere l’esatta copia di altri solo re-brandizzati e con scarsità fai da te impostata su numeri che nulla hanno di scientifico, se escludiamo limiti puramente informatici, cioè poco più che “ad minchiam”. Altre sono cannibalizzazioni con condimento di metafore a profusione e le cose nuove nuove si contano forse sulle dita della mano destra di un falegname.
    Che cose dimensionate “a caso” o anche fisse possano funzionare è pacifico, qualsiasi quantità è ottima dice Birindelli.
    Che possano proliferare ledger praticamente identici (attraverso la manipolazione degli stessi sorgenti open source) con scarsità diversa non è un problema.
    Di fatto però non è ancora chiara, e mi stupirei se lo fosse, la direzione della linea di sviluppo poiché i punti d’innesco dell’innovazione sono distribuiti come piace agli austriaci, cioè a livello di libera imprenditorialità individuale eventualmente coagulata in gruppi di lavoro, ma sostanzialmente non controllabili da nessuno.
    Da questo punto di vista, mi sembra un esercizio sterile fissarsi sulle proprietà quantitative di uno strumento. Detta proprietà dei 21.000K è stata sostanzialmente una necessità limite per poter licenziare senza ambiguità verso il mondo digitale contemporaneo una soluzione applicativa, un software concreto.
    Qualsiasi quantità fissa non costituisce un limite alla funzione monetaria.
    Un numero fisso costituisce un inconsistente vincolo alla possibilità creativa di scoperta di strumenti altrettanto utili agli scambi anche in assenza di moneta.
    Oggi delle potenzialità dei “cripto-certificati” ne sappiamo ancora quanto ne sapeva Colombo dell’America al primo sbarco.
    Questo non esclude comportamenti che convenzionalmente scimmiottino…. e con incidentale successo…. le proprietà di una moneta merce. Anche al limite di una moneta credito
    Non è escluso che mentre prossimamente:
    1) una tribù riterrà moneta una conchiglia,
    2) un’altra comunità considererà lo stesso oggetto, per ragioni distinte facenti perno sulla limitata ancorché non fissa disponibilità, la rappresentazione convenzionale o consuetudinaria accettata di quantità un altro bene.
    Se rimaniamo nell’alveo della riserva intera, il secondo uso sin da oggi potrebbe non essere banale e scommetto che è proprio li che potrebbero cadere pruriginosi interessi statalisti. Ma questa è solo una mia impressione.
    Rigore teorico incluso, ma solo in funzione di presidio generico, la questione è di partecipare all’evoluzione ovunque questa curiosità ci porti.
    Sporcarsi si o no le mani con la creta della conoscenza grezza?
    Un grazie anche al Miglioverde e tanto bene a tutti.

    • Non riesco a capire cosa voglia dire nel suo commento.
      io mi ricollego a Birindelli : qualsiasi merce puo’ essere denaro, dipende dalle azioni degli uomini. In fondo l’economia e’ la scienza dell’azione umana. Pertanto il denaro e’ stato tante cose dal bestiame alle conchiglie , alle tavolette di the , e negli ultimi tremila anni oro ed argento . Denaro sono anche anche le criptovalute ?
      Tutto questo dipendera’ solo dalle azioni degli uomini perche’ come spiega bene Birindelli sono le azioni delle persone che determinano cosa e’ o sara’ denaro. Le persone in fondo in fondo hanno bisogno di una merce che le permetta di poter scambiare beni e merci e come ha scritto Birindelli il Denaro e’ la merce piu’ commerciabile.
      Quindi mi permetta lo decidera’ solo la gente se bitcoin sara’ Denaro.

      • Come può essere diversamente? Quel che dico è che le utilità che il mercato adotterà potrebbero essere anche, ed in tempi diversi, distinte da quelle di chi oggi usa i cripto-certificati come moneta.
        Le scelte, le opzioni disponibili, le opportunità sono potenzialmente superiori e maggiormente articolabili rispetto al pratico uso convenzionale auspicato dal legittimo marketing di brands in competizione che liberamente invocano lo “spintaneo” 🙂 uso dei “…..coin”.
        Legare i cripto-certificati alla funzione di moneta (anche se il dibattito è utile pertinente ed interessante) è una speculazione parziale di un fenomeno che porterà comunque rilevanti affinamenti agli strumenti della libertà economica.
        Come avrà notato non ho mai citato il nome proprio di alcuno strumento particolare. Non è necessario! Ognuno liberamente faccia il tifo per quel che gli pare.

  3. L’articolo di Gerardo Coco mi aveva lasciato un po’ perplesso, ma non sarei stato in grado di articolare una risposta così chiara e approfondita come Giovanni Birindelli.

    Questo suo eccezionale articolo mi ha chiarito i dubbi.

    Complimenti comunque a entrambi per l’elevato livello del dibattito, e al MiglioVerde per averlo ospitato.

  4. wao , sono contentissimo, Il Miglioverde sta salendo di caratura in maniera spettacolare!!!

    Grazie Coco e grazie a Birndelli (e’ sempre piu’ un vero autriaco )

    lasciatemi solo citare Diego de Covarrubias y Leiva : il valore di una merce non dipende dalle sue caratteristiche ma dalle stime degli uomini anche se quelle stime sono folli.
    Anche il denaro dipende dalle stime degli uomini, e Birndelli per me ha pienamente ragione.

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