Oltre cento capolavori di Canaletto, Bellotto, Guardi e dei più importanti vedutisti del XVIII e XIX secolo, provenienti da collezioni pubbliche e private, sono in mostra a Palazzo Martinengo a Brescia. Il percorso espositivo, ordinato cronologicamente, prende avvio con le suggestioni dell’olandese Gaspar Van Wittel e da quelle del friulano Luca Carlevarijs, padri nobili del vedutismo veneziano che aprirono la strada allo straordinario talento di Canaletto, cui sarà dedicata la seconda sezione. Qui, le sue vedute dialogano con quelle del padre Bernardo Canal, del nipote Bernardo Bellotto e del misterioso Lyon Master, artista attivo nella bottega di Canaletto sul finire del quarto decennio del XVIII secolo.
A seguire, saranno proposti i lavori dei maggiori vedutisti attivi nel secondo e terzo quarto del Settecento: Michele Marieschi, Antonio Joli, Apollonio Domenichini e Antonio Stom e lo svedese Johan Richter.
La seducente bellezza della Venezia di Canaletto diventa un luogo vago e remoto nelle opere che Francesco Guardi realizzò nella seconda metà del XVIII secolo. La lunga parabola artistica del maestro, testimoniata in rassegna attraverso alcuni capolavori della produzione matura, si condensa nell’espressione pittorica di una città quasi fantomatica, vista in dissolvenza tra bagliori luminosi e indistinti aloni di colore che preludono alla pittura moderna.
Per quanto riguarda l’Ottocento troviamo in mostra dell’Ottocento Giuseppe Bernardino Bison, Vincenzo Chilone, Giovanni Migliara, Giuseppe Borsato, Francesco Moja e Giuseppe Canella che, inventando inedite angolature, atmosfere e contesti, rinnovarono l’immagine della Serenissima attualizzandola e arricchendola di dettagli che esprimono lo spirito del loro tempo. Nell’ultima sezione, dopo due sale dedicate rispettivamente ai membri della famiglia Grubacs e a Ippolito Caffi, si incontrano dipinti realizzati nella seconda metà del XIX secolo da Luigi Querena, Francesco Zanin, Guglielmo Ciardi, Pietro Fragiacomo e altri ancora che perpetuarono il fascino intramontabile di Venezia fino ai confini dell’epoca moderna.
Di particolare interesse le opere del bellunese Ippolito Caffi del quale si ricorda quest’anno il centocinquantesimo anniversario della tragica morte avvenuta durante la battaglia navale di Lissa. Caffi, a differenza della stragrande maggioranza dei veneti, determinanti per la vittoria della marina asburgica, si era imbarcato nella marina italiana ed era a bordo della “Re d’Italia” quando fu affondata. Era il 20 luglio 1866.
E’ presente anche una rarissima Venezia di grandi dimensioni del maestro bresciano Angelo Inganni, firmata e datata 1839, e che immortala Piazza San Marco. La mostra nella sede di via Musei 30 rimarrà aperta sino al 12 giugno.
Foto: “Il Canal Grande con la chiesa della Salute sotto la neve” di Ippolito Caffi (Belluno 1814 – Lissa 1866)
Pero’, l’Angela, dice che le bellezze di Venezia sono si di Venezia, dei veneziani, ma anche dell’ italia per cui degli italiani.
Gia’, ma pero’ I VENETI NON SONO ITALIANI..!!
La devono smettere di AMMAZZARCI in particolare culturalmente..!
Ma che parlino di roma (da sempre predona)… ne hanno tante da dire..?
E a roma appunto da sempre predona si dice: li possino…