di REDAZIONE
Mani tese, da una parte, ammonizioni sul futuro, dall’altra. Il primo ministro britannico David Cameron ha scelto di presentarsi a Edimburgo illustrando agli scozzesi uno scenario da bastone e carota. Evitare la secessione e con essa la fine del Regno Unito è una priorità per il premier che ha dichiarato di credere «anima e corpo» nell’unione. Tanto che Cameron si è detto disposto a concedere alla Scozia maggiori autonomie in cambio di un no al referendum prossimo venturo. Sganciarsi dal Regno Unito, ha d’altra parte ammonito, non sarebbe a costo zero. L’indipendenza potrebbe infatti avere delle ripercussioni sul seggio della Gran Bretagna in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e sul suo ruolo a livello internazionale. «Il seggio all’Onu, la partecipazione all’Ue, la nostra leadership nella Nato, il nostro deterrente nucleare, le nostre forze armate, sono tutte cose che appartengono al Regno Unito nel suo insieme», ha detto Cameron nell’appassionata requisitoria contro la secessione mentre sullo sfondo, alle sue spalle, spiccavano le torri del castello di Edimburgo. «Il Regno Unito non è un accordo banale che può ridursi a un minimo comune denominatore. È una cosa preziosa. È la nostra storia, i nostri valori, la nostra identità condivisa e il nostro comune posto nel mondo», ha proseguito il premier dicendosi «pronto a combattere per l’unità del Paese».
Cameron – che ha poi incontrato il primo ministro Alex Salmond – ha quindi ‘massaggiato’ l’ego scozzese dicendosi convinto che la Scozia possa «farcela da sola», così come in Europa esistono altre «piccole nazioni» capaci di far bene. «Ma siamo pratici: all’interno del Regno Unito la Scozia, così come l’Inghilterra, il Galles e l’Irlanda del Nord, è più forte, più sicura, più ricca e più equa». Sull’economia Cameron ha puntato molto. Perch‚ se è vero che Edimburgo potrebbe contare sui proventi petroliferi del mare del Nord, giudicati comunque «volatili», uscendo dall’unione si ritroverebbe con un sistema bancario «sfilacciato». Il riferimento sembra chiaramente destinato alle sorti di Royal Bank of Scotland (RBS), l’istituto bancario con sede a Edimburgo nazionalizzato da Londra allo scoppiare della Grande Crisi. Su chi ricadrà, insomma, il peso di quell’operazione? Non a caso Cameron ha poi battuto il tasto sul concetto di «solidarietà». «Quando una parte del Regno Unito soffre una battuta d’arresto, che sia una calamità naturale o un intoppo di natura economica, noi siamo qui per sostenerci l’un l’altro. Abbiamo raggiunto questi obiettivi insieme e gettare via tutto sarebbe molto, molto triste». Il primo ministro scozzese Alex Salmond ha però invitato Cameron a «precisare» i termini della sua proposta riguardo una maggiore devoluzione in modo che il popolo scozzese possa esprimere una «chiara decisione sul suo futuro». Ipotesi che non pare contemplata dal premier britannico. Che anzi punta a un referendum secco ‘dentro o fuori’ – niente terzo quesito sull’ipotesi di una maggiore autonomia. Bastone e carota, per l’appunto.
Almeno li promettono più autonomia (e la Scozia ne ha già), qui invece ….italietta,italietta.