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Capire l’attualità: le radici socialiste del Nazismo

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di DANIEL HANNAN*

Il 16 Giugno 1941, mentre Hitler preparava le sue forze per l’Operazione Barbarossa [invasione dell’Unione Sovietica, ndt], Josef Goebbels lavorava al “nuovo ordine” che i nazisti avrebbero imposto alla Russia, una volta conquistata. Non ci sarebbe stato ritorno, egli scriveva, per i capitalisti, per i preti e per gli Zar. Piuttosto, in luogo del degradato bolscevismo ebraico, la Wehrmacht avrebbe imposto “Der echte Sozialismus”: il socialismo reale. Goebbels non ha mai dubitato del fatto di essere un socialista. Egli concepiva il nazismo come una migliore e più plausibile forma di socialismo, rispetto a quella che veniva propagandata da Lenin.

Invece di diffondersi attraverso le nazioni, [il socialismo] avrebbe operato all’interno del Volk [Volk è una parola assai più pregnante di “popolo” dal momento che, fin dall’inizio del Romanticismo germanico, per i pensatori tedeschi Volk denotava una serie di individui legati da una “essenza” trascendente, volta a volta definita “natura” o “cosmo” o “mito”, ma in ogni caso tutt’uno con la più segreta natura dell’uomo. Costituiva la fonte della sua creatività, dei suoi sentimenti più profondi, della sua individualità e della sua comunione con gli altri membri del Volk, ndt].

Così totale è la vittoria culturale della sinistra moderna, che finanche il mero racconto di questi eventi finisce con l’essere stridente. Ma è una questione che pochi, all’epoca, avrebbero trovato particolarmente controversa. George Watson così ha scritto nel “The Lost Literature of Socialism”: “E’ chiaro oltre ogni ragionevole dubbio che Hitler ed i suoi collaboratori credevano di essere socialisti e che altri, inclusi i socialdemocratici, la pensavano allo stesso modo”.

Benito Mussolini and Adolf Hitler watch a Nazi parade staged for the Italian dictators’s visit to Germany.

L’indizio è nel nome. Le generazioni successive della sinistra hanno cercato di spiegare la presenza [imbarazzante] del termine “socialista” nel nome di quel partito [Partito Nazionale Socialista dei Lavoratori Tedeschi], definendola come una cinica trovata pubblicitaria, o un’imbarazzante coincidenza. Il termine, invece, indicava esattamente quello che il NSDAP si proponeva. Hitler, in effetti, disse a Hermann Rauschning [un prussiano che aveva brevemente lavorato per i nazisti – prima di respingere quest’ideologia e fuggire dal paese] che: “ho messo in pratica ciò che questi venditori ambulanti, questi pennivendoli, avevano timidamente cominciato a fare”, aggiungendo che l’intero nazionalsocialismo si basava su Marx. Hitler credeva che l’errore di Marx fosse stato quello di favorire la guerra di classe, invece dell’unità nazionale – ovvero di aver volto i lavoratori contro gli industriali, invece di arruolare entrambi [i gruppi] nel rispettivo ordine corporativo.

Il suo scopo, come sosteneva il suo consigliere economico, Otto Wagener, era quello di convertire il “Volk” tedesco al socialismo, senza eliminare al contempo i vecchi individualisti – termine con il quale indicava i banchieri ed i proprietari della fabbriche – che potevano meglio servire il socialismo, egli pensava, generando entrate per lo Stato. “Quello che il marxismo, il leninismo e lo stalinismo non sono riusciti a raggiungere – sosteneva Wagener – saremo in grado di ottenerlo noi”. I lettori di sinistra staranno ormai ribollendo. Ogni volta che tocco quest’argomento, quelli che si ritengono progressisti e considerano l’antifascismo come parte della propria ideologia, danno in escandescenze. Beh, ragazzi, forse ora sapete com’è che ci sentiamo noi conservatori quando associate liberamente il nazismo con “la destra”.

Per essere chiaro, non credo assolutamente che le sinistre moderne abbiano delle subliminali tendenze naziste, o che il loro odio per Hitler sia in alcun modo una finzione. Non è questo quello che voglio dire. Quello che voglio sostenere, in tutta sincerità, è che la continuità ideologica tra libero mercato e fascismo è un’idea altrettanto falsa. L’idea che il nazismo non sia che una forma di conservatorismo, seppur più estrema, si è fortemente insinuata nella cultura popolare. Ce ne rendiamo conto non solo quando dei foruncolosi studenti gridano “fascista” ai Tories [membri del Partito Conservatore britannico, ndt], ma anche quando gli esperti definiscono i partiti rivoluzionari anticapitalisti – come ad esempio il BNP [British National Party] e la Golden Dawn [in Grecia] – come “estrema destra”.

Su che cosa si basa questa connessione? E’ come se si dicesse, puerilmente, che quelli di sinistra sono compassionevoli, mentre quelli di destra sono brutti, e che i fascisti sono cattivi. Messa giù in questo modo l’idea sembra un po’ idiota … ma pensate ai gruppi di tutto il mondo che la BBC, ad esempio, definisce “di destra”: ovvero ai talebani [che vogliono la proprietà comune dei beni], oppure ai rivoluzionari iraniani [che hanno abolito la monarchia, sequestrato le industrie e distrutto la classe media], o a Vladimir Zhirinovsky [Vicepresidente del Parlamento Russo, membro dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e leader del Partito Liberal-Democratico Russo, ndt], che si strugge per lo stalinismo. La barzelletta che “i nazisti erano di estrema destra” non è che un sintomo della più ampia nozione riguardo il termine “destra”, che non è altro che un sinonimo di “cattivo”. Uno dei miei elettori, una volta, si lamentò con la BBC per un rapporto sulla repressione dei popoli indigeni del Messico, il cui governo veniva etichettato come “di destra”. Il partito al governo, egli fece notare, era un membro dell’Internazionale Socialista e questa cosa era rilevabile dal suo stesso nome: Partito Rivoluzionario Istituzionale. Impagabile fu la risposta della BBC. Sì, accettiamo il fatto che si trattava di un partito socialista, “ma ciò che il nostro corrispondente stava cercando di far passare è che si trattava di un partito autoritario”.

L’autoritarismo, nella realtà, è stata una caratteristica comune ai socialisti di entrambe le varietà [quelli di tipo nazionale e quelli di tipo leninista], che si attaccavano l’un l’altro nei campi di prigionia, e usavano reciprocamente i plotoni di esecuzione. Ogni fazione detestava l’altra in quanto eretica, ma entrambi disprezzavano gli individualisti del libero mercato perché irrecuperabili. Friedrich von Hayek [filosofo ed economista austriaco, fondatore della scuola liberista detta “austriaca”, ndt] sottolineò, nel 1944, che la loro battaglia fu molto feroce perché si trattava, in realtà, di una battaglia tra fratelli. L’autoritarismo – ovvero, tanto per dargli un nome meno carico, la convinzione che la coazione statale sia giustificata dal perseguimento di un obiettivo più alto, come ad esempio il progresso scientifico o una maggiore uguaglianza – è stato tradizionalmente una caratteristica sia dei socialdemocratici che dei rivoluzionari.

Jonah Goldberg ha lungamente descritto il fenomeno nella sua opera magna, “Liberal Fascism”. Molte persone si sentono offese dal suo titolo, evidentemente senza averlo letto perché, fin dalle prime pagine, egli rivela che la frase non era sua. Citava un impeccabile progressista, HG Wells, il quale, nel 1932, disse ai giovani liberali che dovevano diventare “liberal-fascisti” e “nazisti illuminati”. In quei giorni molti tra i più importanti intellettuali progressisti, tra cui Wells, Jack London, Havelock Ellis ed i Webbs, erano a favore dell’eugenetica, convinti che solo le ossessioni dei religiosi stavano trattenendo lo sviluppo di una specie più sana. Il modo asettico [senza rimorsi, ndt] con cui ne furono precisate le conseguenze, sono state ampiamente modificate nel nostro discorso [come del resto le reali parole di Hitler]. George Bernard Shaw, ad esempio, così ebbe a dire nel 1933: “Lo sterminio deve essere fatto su base scientifica [se mai uno sterminio sia mai stato effettuato con umanità e con rimorso] e fino in fondo … Se vogliamo un certo tipo di civiltà e di cultura, dobbiamo sterminare il genere di persone che non vi rientra”.

L’eugenetica, naturalmente, sfocia facilmente nel razzismo. Lo stesso Engels parlò di “spazzatura razziale”, riferendosi a quei gruppi che sarebbero stati necessariamente soppiantati una volta che il socialismo scientifico fosse stato attuato. Condite tutto ciò con una spolverata di anti–capitalismo e spesso otterrete l’anti–semitismo di sinistra, un qualcosa che abbiamo tagliato dalla nostra memoria, ma che una volta sarebbe passata senza obiezioni. “Com’è possibile che un socialista possa non essere antisemita?” E’ questo quello che Hitler aveva chiesto ai membri del suo partito, nel 1920. Gli intellettuali della sinistra contemporanea che criticano Israele sono, in segreto, anti–semiti? No. Non nella stragrande maggioranza dei casi.

Sono, i socialisti moderni, interiormente desiderosi di mettere nei campi di prigionia gli scettici del riscaldamento globale? No. Vogliono, i keynesiani, [introdurre] l’intero impianto del corporativismo, che fu definito da Mussolini come “tutto nello Stato, nulla fuori dello Stato”? Ancora una volta, no. Ci sono degli idioti, ovviamente, che finiscono con lo screditare ogni causa, ma la maggior parte delle persone di sinistra è sincera nel suo dichiarato impegno per i diritti umani, per la dignità personale e per il pluralismo. Il mio risentimento verso molte [non tutte] persone di sinistra, è semplice da descrivere. Rifiutando di restituire il complimento, assumendo quindi una [sorta di] superiorità morale, rendono il dialogo politico quasi impossibile. Usare il termine “destra” per significare un qualcosa di “indesiderabile”, ne costituisce un piccolo ma importante esempio. La prossima volta che sentite le sinistre usare la parola “fascista” come un insulto a carattere generale [ovvero riferito a tutta la destra, ndt], sottolineate delicatamente la differenza che c’è tra ciò che a loro piace immaginare dello NSDAP [Partito Nazionale Socialista dei Lavoratori Tedeschi], e ciò che questo partito ha effettivamente proclamato.

*The Telegraph

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1 COMMENT

  1. Ricordo, non molti anni or sono, gli insulti che ricevetti dai libertari sedicenti (ma non autentici) per aver affermato che il libertarismo è filosoficamente nell’area destra in quanto gli statalisti vogliono stare tutti a sinistra. Purtroppo gli equivoci sono iniziati con la decisione dei difensori di Luigi XVI di spostarsi fisicamente alla destra di chi in quel momento presiedeva l’assemblea degli stati generali. Ma erano molto più statalisti i monarchici dei girondini, anzi tra questi c’era chi non era statalista affatto. Mi accorgo, comunque, di essere in buona compagnia: la posizione non è una mia bizzarria personale ma qualcosa che scaturisce da un analisi approfondita ad opera di un analista autentico. Dubito, purtroppo, che ci sarà un giorno in cui tali pensieri possano avere l’onore della divulgazione.

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