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Catalogna: bella prova, ma gli stati non promuovono il progresso civile

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di ALESSANDRO MORANDINI

voto catalanoLa Catalogna ha quasi otto milioni di abitanti. Tra questi poco meno di due milioni sono sicuramente favorevoli all’indipendenza. Sono tanti, non hanno paura di recarsi alle urne e testimoniare il proprio desiderio di secessione, di sfidare lo stato spagnolo. Ma basta per ottenere l’indipendenza da uno stato che, non diversamente dall’Italia, ha sempre espresso, per voce dei suoi governanti, di non voler cooperare ad una soluzione pacifica del problema usando lo strumento referendario, concedendo cioè ai Catalani l’ultimo diritto che uno stato possa concedere, il diritto alla secessione?

Non basta. Non basta perché quella indipendentista appare una prospettiva che ha convinto solo un quarto della popolazione catalana a recarsi a votare, nonostante l’annullamento preventivo del voto da parte della corte costituzionale. Non basta perché se anche i numeri fossero diversi, se fossero, per intenderci, paragonabili a quelli che indicano alcuni sondaggi relativamente alla diffusione del medesimo desiderio nella regione Veneto (sondaggi che però non registrano quanti Veneti sarebbero disposti a recarsi alle urne dopo un pronunciamento contrario alla consultazione da parte della corte costituzionale), quei numeri resterebbero, data l’irrevocabile posizione dello stato spagnolo, privi di valore legale. Non basta perché il pronunciamento della corte costituzionale spagnola ha indotto quasi due milioni di Catalani tendenzialmente favorevoli alla secessione a starsene a casa. Non basta perché tutte le manifestazioni, consultazione compresa, stanno movimentando la politica catalana, ma non smuovono di un millimetro quella spagnola.

L’entusiasmo per questa ennesima esibizione di consenso è giusta e si può capire. Le istituzioni dell’indipendentismo in tutta Europa sembrano essersi innamorate della vicenda catalana. Vicenda che, ahimè, ci sta invece raccontando una storia ben nota dalle nostre parti. Una storia che gli stati-nazione hanno imparato e che, sembra, fatichiamo ad apprendere noi. Mi si perdonerà l’uso di un linguaggio inadatto a spiegare le cose della società, quel linguaggio che attribuisce facoltà individuali a gruppi sociali. Spero che i lettori più rigorosi e precisi per una volta mi concedano questa licenza, che ha lo scopo di sottolineare un difetto, un nostro difetto.

Ora, ci troviamo con in tasca i numeri sopra elencati, con le proposte di legge in Veneto, con le nuove aggregazioni macro-regionali, riconosciute dalle istituzioni pubbliche europee ma sconosciute alle persone, che non sanno che farsene visto che non servono quasi a nulla; ci troviamo ingarbugliati tra governi autoproclamati che non hanno la facoltà di governare, un proliferare di manifestazioni di autonomia, di indipendenza, di sovranità di questa o quest’altra regione, plebisciti a profusione, partiti, associazioni, comitati, clan, circoli. L’istituzione indipendentista non si fa mancare proprio nulla, ma in quanto ad efficacia ci troviamo in seria difficoltà in tutta Europa eccetto che nell’unico posto dove gli indipendentisti hanno già perso la loro partita, l’unico posto dove hanno avuto l’opportunità di giocarla: in Scozia.

E’ vero, la nostra è una battaglia di civiltà, oltre che indipendentista. Siamo motivati da altissimi ideali, irraggiungibili da chi vuole difendere l’unità dello stato con ogni mezzo. Ma qui sta il punto. Pensiamo che i nostri appelli, le nostre consultazioni autogestite, i nostri intricati ed infinti ricorsi alle corti ed alle assemblee di mezzo mondo, tutte di emanazione statale, possano promuovere quel progresso civile implicito nelle nostre rivendicazioni. E invece no. Ci dimentichiamo che lo stato promette di mettere ordine: tutto il corredo di esibizioni indipendentiste, fino a quando resta il sussurro di milioni di persone, lo sventolio di migliaia di bandiere, quell’ordine contribuisce a garantirlo, come fosse lo spettacolo della domenica.

Ed anche in Catalogna, tutto questo chiasso porterà forse qualche sassolino sulla bilancia del governo periferico, ma non scalfirà di un millimetro la sovranità spagnola fino a quando chi ha il potere di farlo deciderà di iniziare seriamente la lotta, e lì, e solo lì, si vede la forza di un popolo organizzato.  Solo la Gran Bretagna ha già superato con un balzo l’ostacolo più alto. Gli altri stati non riusciranno mai a farlo da soli. Hanno bisogno di un bel calcio nel culo.

 

 

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