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Catalogna, gilberto oneto si chiedeva: perchè loro si e noi no?

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di GILBERTO ONETO*

Dello straordinario cammino della Catalogna si sono accorti tutti. La Spagna in generale era un paese povero, oggi non lo è più. La Catalogna in particolare era trent’anni fa un paese assai più povero di quanto il suo passato e la sua civiltà gli avrebbero dovuto garantire: oggi è tornato a essere uno degli angoli più prosperi e vitali d’Europa. Il suo percorso verso il benessere è stato affiancato da quello verso la più ampia autonomia: le due cose sono andate avanti assieme e non avrebbe potuto essere altrimenti.

Più un paese è ricco in economia e cultura, più aspira a gestire liberamente sé stesso; più un paese è libero, meglio riesce a valorizzare le proprie risorse a vantaggio della comunità. É un legame, quello che unisce la prosperità all’autonomia che è stato dimostrato negli ultimi decenni dalle vicende di tutti i paesi europei che si sono resi indipendenti o che hanno ottenuto larghissime autonomie: non si conosce un solo caso contrario. Naturalmente si tratta di un “dettaglio” che l’informazione faziosa di casa nostra si guarda bene dal fare rilevare. Anzi, spende tutte le sue energie a cercare di dimostrare che la Catalogna (ma anche la Slovenia, il Paese Fiammingo, la Slovacchia, eccetera) sia un caso totalmente diverso da tutte le situazioni italiane e che nessuno dei nostri autonomismi – soprattutto quelli padano-alpini – può presentare anche solo lontane analogie con il caso catalano. I nemici di ogni riforma e libertà si affaticano a ripetere che la Catalogna ha un passato di indipendenza, ha una lingua propria, un sentimento nazionale…

Tutte cose che sarebbero inesistenti fra le Alpi e il Po. Per loro sono italianissimi i Sud-tirolesi, figuriamoci i Padani! Eppure non è proprio così. Anzi, il caso della Catalogna è molto interessante proprio perchè, per presupposti, somiglia più di tutti al nostro. La Catalogna è solo una delle Nazioni senza Stato che è imprigionata all’interno del Regno di Spagna, che si trova così ad essere una aggregazione forzata di molte diverse identità. Per certo la Catalogna è la comunità più ricca e popolosa. Anche in Italia sono molte le realtà che vorrebbero liberarsi dalle catene unitarie (Sudtirolesi, Sardi, Toscani, Siciliani) ma la Padania è la più grande, ricca e popolosa. Si tratta in entrambi i casi delle aree economicamente più forti, di comunità divise in diverse entità amministrative e sottoposte a una forte immigrazione.

La Catalogna ha subito negli ultimi 50 anni una fortissima immigrazione interna (soprattutto dall’Andalusia) e straniera, proprio come la Padania. La Catalogna ha oggi una koiné linguistica comune riconosciuta; la lingua padana – ha dimostrato Salvi – presenta straordinarie analogie nella formazione storica, nella variegazione e nelle possibilità di sviluppo con quella catalana: le mancano solo una codificazione condivisa degli elementi comuni e uno sponsor politico. Anche il Paese catalano è fortemente frammentato a livello istituzionale nella comunità nota come Generalitat (Barcellona), in quella valenciana, nelle Baleari, in parte dell’Aragona, Andorra, nel Rossiglione francese e nell’enclave di Alghero. La Generalitat di Barcellona rappresenta circa il 40% del totale dei catalani e più della metà del loro Pil. Anche la Lombardia ha un terzo della popolazione padana e produce la metà del reddito. Anche la Lombardia conserva il vecchio nome con cui era storicamente chiamata la regione padana: un dettaglio indifferente ai più ma sicuramente entusiasmante per i cultori della specificità identitaria. Anche la storia soccorre il gemellaggio: la Padania è stata Stato in passato anche più volte e più a lungo della Catalogna. Come lei non ha mai smesso di aspirare a esserlo di nuovo.

Perché allora da noi non succede lo stesso? Perché la Padania continua a farsi derubare dallo Stato centrale? Perché la Lombardia e le altre regioni padane non riescono a strappare nemmeno una frazioncina delle libertà conquistate dai catalani? Perché Roma non è Madrid innanzitutto. Perché lo Stato italiano non riesce a rispettare neppure le proprie leggi e quelle briciole di autonomia che promettono. E poi perché Formigoni non è Pujol e continua a declinare la politica (e le sue ambizioni) in scala italiana.

Perché il gruppo dirigente della Lega (che pure ha avuto in passato più consensi degli indipendentisti catalani, e su tutto il territorio padano) non è mai davvero riuscito a “entrare nella parte” e ha sempre avuto come massima aspirazione quello di italianizzarsi. Pujol non ha mai perso tempo a organizzare Miss Catalogna, a comprare e vendere immobili e prati, non ha fondato banche che hanno scialacquato i risparmi dei militanti più convinti, non ha mai utilizzato i suoi voti e gli ideali della sua gente come merce di baratto per auto blu o per avere ciambelle di salvataggio per sciamannate operazioni gestionali. Proprio come era successo alla Lliga catalana, anche la Lega a un certo punto ha smesso di voler essere il partito di rappresentanza di una comunità intera e si è rifugiata nelle vecchie contrapposizioni ideologiche. Perché loro sì e noi no? Perché la lotta per l’autonomia è una cosa seria. Perché nella libertà bisogna crederci. Si deve lavorare seriamente.

Perché la libertà bisogna meritarsela. Perché i Padani non si sono ancora compiutamente resi conto né dell’abisso in cui stanno precipitando né degli enormi vantaggi che deriverebbero dalla libertà politica. Perché la nostra gente non ha ancora deciso di sbarcare da quella che Gianni Brera chiamava “la barca di cuiuni” per salire a bordo di un transatlantico di lusso chiamato Padania.

*Firmato Brenno, Anno XIII, N. 72 – Luglio-Agosto 2007 Quaderni Padani – 1 Perché loro sì e noi no?

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