di GIANLUCA MARCHI
Dopo la Scozia tocca alla Catalogna. Venerdì il Parlamento Catalano ha approvato a larga maggioranza il provvedimento con cui si dà copertura legale alla convocazione della “consultazione sovranista” per il 9 novembre prossimo, e fin da subito la notizia è stata accompagnata dalal sottolineatura che si tratta “solo di un referendum consultivo”. Di conseguenza se nel voto del 9-N (questa la sigla con cui si identifica quel momento storico) dovessero vincere i SI, la Catalunya non diventerà indipendente seduta stante. In realtà la situazione è abbastanza complessa, ma l’osservazione non è sbagliata in quanto la consultazione (formalmente non viene chiamata referendum) non è vincolante come invece lo era per la Scozia.
Vediamo come stanno le cose. Artur Mas, il presidente della Generalitat, ha deciso nel dicembre 2013 di convocare un voto sull’indipendenza optando per la strada di una “consultazione non referendaria” (cioè non vincolante), dopo che il Parlamento di Madrid aveva bocciato la sua richiesta di trasferire alla Catalogna la competenza per organizzare un referendum vero e proprio (una possibilità prevista dall’articolo 150 della costituzione spagnola). L’obiettivo della nuova legge approvata due giorni fa è quello di aggirare il divieto stabilito dalla costituzione spagnola al suo art. 149, che riserva allo Stato la competenza esclusiva di convocare “consultazioni popolari per via di referendum”. Insomma, già in questa battaglia legale emerge chiaro il braccio di ferro in corso fra Barcellona e Madrid.
A questo punto, però, sorge legittima una domanda: come mai Madrid, a fronte di una consultazione popolare senza valore giuridico rispetto alla Costituzione, intende ricorrere al Tribunal Costitucional contro quello che considera solo un artificio giuridico? In altre parole perché il governo conservatore guidato da Mariano Rajoy non lascia via libera al voto del 9 novembre, visto che il risultato della consultazione non impegna in termini formali alcuna istituzione dello Stato a comportarsi di conseguenza? Per una semplicissima ragione: perché un voto favorevole all’indipendenza della Catalogna, sia pure con valore consultivo, assumerebbe un significato politico dirompente, un rischio che il governo centrale non vuole correre. In altri termini Madrid verrebbe a quel punto costretta da Barcellona a sedersi al tavolo dei negoziati per avviare una lunghissima e complessa trattativa, che potrebbe concludersi o con la devoluzione di maggiori competenze alla Generalitat (soprattutto in materia di fisco e di welfare) o con la concessione dell’indipendenza, il che significherebbe la fine della Spagna per come l’abbiamo conosciuta.
La legge approvata dal Parlamento Catalano dovrà essere ora controfirmata da Mas prima di entrare in vigore, firma che potrebbe avvenire già domani contestualmente al decreto di convocazione delle urne. Il giorno successivo il provvedimento dovrebbe apparire sul Bollettino Ufficiale catalano e a quel punto il governo madrileno avrà tempi ristreti per opporre ricorso. Mas, nel commentare la vittoria del No nel referendum scozzese, ha ribadito che il processo catalano per l’indipendenza dalla Spagna va avanti. “Ciò che è accaduto in Scozia non è un passo indietro per la Catalogna, perché ciò che davvero vuole la Catalogna è votare”. Diritto di votare: è ciò che pretende l’80% dei catalani, compresa una fetta consistente di coloro che poi voterebbero NO all’indipendenza.